(Le pacha di Gerorges Lautner, 1968)
Esce nel Sessantotto in Francia, con tutto quello che ciò comporta, La fredda alba del commissario Joss per la regia di Georges Lautner (che dirige film già da dieci anni) e con protagonista un Jean Gabin ormai monumento nazionale e che all'epoca contava ben sessantaquattro primavere, un ruolo composto, come si addice alla non più giovane età dell'attore, ma carico di un'energia e di una solidità difficilmente riscontrabili nelle interpretazioni dei suoi partner più giovani. La fredda alba del Commissario Joss è un polar secchissimo e molto duro, una durezza sottolineata dalle scelte non certo di comodo di un commissario di polizia che vede morire un amico d'infanzia, un collega, un frignone lamentoso e cacciaballe, un tormento d'uomo che forse nelle sue ultime ore ha commesso anche diversi sbagli, ma come dice Gabin nonostante tutto "cosa ci posso fare, era pur sempre un mio amico"; e allora a questo amico bisogna offrire un ultimo omaggio: giustizia, se necessario vendetta.
La vicenda muove da un colpo classico al portavalori. Un carico di gioielli di valore inestimabile sta per essere trasferito da Parigi verso altra destinazione, l'Ispettore Gouvion (Robert Dalban) è responsabile della scorta al portavalori. Durante il viaggio il convoglio viene attaccato da una banda di malviventi capeggiati dal già noto alla polizia Quinquin (André Pousse); nell'operazione muoiono degli agenti, qualche sospetto ricade su Gouvion, sarà compito proprio del suo amico d'infanzia, il Commissario Joss (Jean Gabin) fare luce sulla faccenda, purtroppo anche Gouvion non avrà un futuro troppo lungo ad attenderlo.
Il film è asciutto, durata breve, dialoghi secchi e ficcanti di Michel Audiard (padre dell'ottimo regista Jacques) che svolge un lavoro indovinatissimo, un Gabin che giganteggia anche solo con un'alzata di spalle, una scelta musicale che scandisce il film con partiture modernissime di Serge Gainsbourg (che compare nel film) e una regia esemplare, calibrata al millimetro nelle scene d'azione, anche queste essenziali nelle riprese e nei movimenti di macchina ma con perfetta scansione dei tempi, attenta a valorizzare l'espressività degli attori anche quando poco loquaci. Si intuiscono i movimenti sessantottini nei locali dove Joss indaga, c'è aria di trasgressione, liberazione, sessualità più aperta e naturale e ci sono gli elementi tipici del noir, il denaro ovviamente, ma anche la donna, la femme fatale che può portare anche l'uomo probo all'errore, al passo falso che gli costerà più di qualcosa. In uno scenario freddo, ghiacciato, quasi polare volendo usare un riferimento al genere, vediamo un uomo vicino alla pensione che con una certa indifferenza, un po' di fatalismo e un pizzico di cinismo, costruisce poco a poco la conclusione di tutta la vicenda in barba alle maglie dei regolamenti, della buona creanza e forse anche di una basilare umanità. Quello che rimane è una giustizia che travalica i confini della legge, addomesticata e benedetta anche dall'alto. Un finale crudo che non concede il passo al buonismo, scorretto e chissà in quanti casi anche veritiero.
Su tutto un Gabin che sarebbe da studiare, parola per parola, passo dopo passo, sguardo dopo sguardo e gesto dopo gesto. Un gigante francese, altro che Napoleone!
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