(di Carlos Reygadas, 2002)
Film difficilissimo questo esordio di Reygadas che al suo debutto nel lungo viene già riconosciuto come un talento naturale con la menzione speciale Camera d'Or a Cannes, premio assegnato ai migliori registi esordienti; difficile non tanto nella comprensione dello sviluppo, molto lineare se non addirittura al limite dell'inesistente, quanto nella reale possibilità di assorbire il cinema di Reygadas e per la necessaria propensione a entrare in contatto stretto con un'opera che richiede un coinvolgimento profondo e una visione oltremodo assorbita e partecipe. Il regista dichiara a più riprese una sorta di devozione per autori di altissimo livello, anche loro artefici di un cinema non proprio di facile intrattenimento: Ozu, Antonioni, Eizenstein, Rossellini, Kiarostami, etc... Questo Japón è stato accostato fin dall'epoca della sua uscita (2002) ad alcune opere di Tarkovskij, film metafisici, avvolgenti e ostici allo stesso tempo. Con questa premessa è facile comprendere come Japón non sia proprio il film adatto da guardare il sabato sera in famiglia con i popcorn in mano, non si può però non ammirare registi relativamente giovani (Reygadas gira Japón all'età di circa trent'anni) capaci di andare contro ogni logica che il buon senso potrebbe dettare a chiunque ambisse a un minimo di ritorno commerciale dalle proprie opere.Un uomo abbandona la città e si dirige verso una zona interna e scarsamente popolata del Messico, lungo il suo viaggio incontrerà un gruppo di cacciatori ai quali chiede indicazioni per raggiungere un piccolo paesino sperduto. Questi accettano di dare un passaggio all'uomo; alla domanda sul motivo per cui l'uomo si stesse dirigendo in una zona così impervia il protagonista senza nome risponde semplicemente di star recandosi in quel luogo per porre fine alla sua vita. Senza fare ulteriori domande i cacciatori lo accompagnano. Giunto sul posto, dopo aver parlato con una sorta di sindaco locale, l'uomo trova ospitalità per qualche giorno nel fienile di una donna anziana, qui si dovrà preparare per il suo ultimo gesto. La vita tranquilla della montagna, i vasti panorami, una ritrovata conoscenza di sé stesso, la gentilezza della donna, le pietre circostanti, fanno ritrovare una certa serenità all'uomo che non riesce da subito a compire l'estremo gesto. Con il passare del tempo tornano anche certi appetiti da appagare, viatico per ritrovare senso in un'esistenza ormai fiaccata, da cosa non è dato sapere e forse non è così importante.
Film enigmatico fin dal titolo che, come si può desumere dalla scarna trama riportata più sopra, non ha nessuna attinenza con il suo contenuto. Fin dalle prime immagini si ha la sensazione di venire trasportati nel passato, nonostante l'esordio di Reygadas sia relativamente moderno (certo, sono passati già vent'anni) il regista gira in Cinemascope creando un senso di straniamento nello spettatore (il film andrebbe visto in sala nonostante i moderni schermi domestici) che ha la sensazione di essere trasportato negli anni 60 del secolo scorso. Il film è strutturato tra piani sequenza e camera a mano con un'attenzione sui luoghi e sul paesaggio che assume un'importanza preponderante all'interno dell'economia dell'intero film. Come si accennava prima, Japón richiede pazienza e impegno, mette in scena un moto interiore del protagonista spesso molto difficile da percepire se non con un atto di fede verso il cinema (che per carità, facciamo più che volentieri), un ritorno alla vita da una situazione che supponiamo di disperazione a quella di una serenità ritrovata che passa anche dalla pulsione sessuale per una donna anziana che matura con naturalezza e dolcezza nel protagonista. Reygadas non manca di mostrare una situazione che altri registi non avrebbero mai avuto il coraggio di prendere nemmeno in considerazione, ne esce una scena tenera per alcuni aspetti (la cura dell'uomo), geriatrica per altri, indubbiamente originale. Con film come Japón sta tutto nell'entrare in sintonia con il sentire dell'autore, devo ammettere che per chi scrive questo non è avvenuto completamente e se penso a esiti come lo Stalker di Tarkovskij, film chiamato in causa da alcuni critici, pur comprendendone le analogie, mi sembra comunque si parli di film che stanno su due mondi diversi, almeno nella capacità di precipitare lo spettatore in un mondo altro, in un'esistenza altra. Il voto è un 6.5 dato per il coraggio di Reygadas, uno sterile numero che potrebbe facilmente diventare un 5 (o anche meno) per lo spettatore che ha difficoltà a rapportarsi con questo genere di pellicole, come un 8 per chi riuscirà a farsi tirare dentro, nell'animo del protagonista. A voi la scelta se togliervi o meno la curiosità di sapere quale rapporto possiate avere con opere decisamente fuori dai soliti canoni.
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