lunedì 6 luglio 2020

SORRY WE MISSED YOU

(di Ken Loach, 2019)

Altro grande film che si aggiunge alla lista dei lavori militanti portati a termine da Ken Loach, voce coerente e troppo isolata che continua a gridare contro le ingiustizie perpetrate ai danni di un proletariato sfruttato da una classe imprenditoriale cinica e sfrontata. Sembra quasi un anacronismo parlare ancora di proletariato, in realtà Sorry we missed you (il riferimento è al messaggio che lascia il corriere quando non trova in casa il destinatario) è di un'attualità brutale, si sono solo modificati i luoghi rispetto al recente passato, non più le miniere dell'epoca tatcheriana, le fabbriche dove si lavora a cottimo e scenari simili, qui siamo nell'epoca moderna degli acquisti online, un'epoca dove tutti noi alimentiamo lo sfruttamento di lavori sottopagati e usuranti, qui ci si concentra sul mondo delle consegne, ma pensiamo anche a chi lavora nei magazzini del colosso Amazon, nelle grandi catene di distribuzione e via discorrendo. Loach continua a parlarci della schiavitù moderna, quella di chi non è riuscito a ritagliarsi un posto al sole ed è costretto ad accettare lavori che non vorrebbe fare o che farebbe anche volentieri, come nel caso del protagonista del film, ma a condizioni economiche, salutari e di stress che rientrino in una gestione dignitosa delle ore lavorative e che possano riflettere la stessa dignità nella vita di tutti i giorni. Il messaggio che tutti dovrebbero tenere a mente è che queste persone sono vittime, a volte dei loro errori, molto più spesso di semplici scelte, quasi sempre di una società cieca eretta su fondamenta completamente sbagliate. Il lavoro non nobilita l'uomo, salvo in determinati casi, molto spesso semplicemente lo schiavizza.


Dopo anni di lavori manuali in ambienti difficili da sopportare Ricky Turner (Kris Hitchen) decide di mettersi in proprio, diventare un padroncino, comprarsi un furgone per le consegne e affiliarsi a un grosso magazzino che lavora per i grandi marchi di distribuzione. Il titolare del magazzino mette subito le cose in chiaro: "tu non lavori per noi, lavori con noi", come a dire niente diritti e tanti saluti. Le prime difficoltà iniziano da subito, bisogna investire per il furgone e i soldi non ci sono, i Turner pagano l'affitto, hanno due figli da mantenere, la piccola Liza (Katie Proctor) e l'adolescente turbolento Sebastian (Rhys Stone) e al momento possono contare solo sulle ore che Abbie (Debbie Honeywood), la moglie di Ricky, fa come infermiera domiciliare, lavoro che la tiene lontana da casa tutto il giorno. Abbie sarà così costretta a vendere la sua auto e iniziare ad andare a lavoro con i mezzi pubblici, cosa che tra orari spezzati, turni serali e distanze lunghe carica di stress la madre di famiglia che non avrà più tempo per seguire i figli. Il nuovo lavoro di Ricky per essere minimamente remunerativo lo costringe a giornate lavorative di quattordici ore, sempre in giro nel traffico, tra imprevisti, indirizzi errati, clienti scortesi e multe, sanzioni, e comprensione zero da parte dei datori di lavoro. I soldi non aumentano e la famiglia si sfascia.


Quella che Loach ci racconta è una storia di sofferenza come tante ce ne sono al mondo, anche nei paesi occidentali che si considerano liberali e democratici. Se nel precedente Io, Daniel Blake a negare la dignità al protagonista era uno Stato sordo e cieco, qui è il mondo del lavoro a essere profittatore e disonesto, e i due contesti purtroppo vanno spesso a braccetto. Il tema centrale è quello della tensione familiare che si crea in seguito a situazioni lavorative disagevoli. Ancora una volta Loach tira fuori dal mazzo degli sconosciuti quattro splendidi interpreti, Hitchen mette in scena un padre amorevole che perde completamente il polso della situazione familiare per assenza, stanchezza cronica, nervosismo, stress; insieme a Rhys Stone tratteggia un rapporto padre/figlio difficile e conflittuale inasprito dalla situazione contingente, la madre che come spesso accade nella realtà è il collante che tiene unita la famiglia con la sua forza, anch'essa interpretata magnificamente dalla Honeywood, sarà quella che avrà la reazione più estrema e genuina, quella per la quale tutti noi spettatori (almeno quelli con il cuore al posto giusto) abbiamo parteggiato. Menzione particolare per la vispa Katie Proctor, una splendida bambina che mostra molta più maturità del fratello più grande.

Loach riesce sempre a farci versare qualche lacrima, il suo è un Cinema schierato e di parte su un argomento del quale sembra non fregare più un cazzo a nessuno, in testa queste ridicole sinistre che scaldano i banchi in parlamento e che sono quelle che storicamente e per tradizione ideologica dovrebbero avere a cuore le persone che lavorano. Allora ben venga il Cinema di parte e schierato di Loach, vedi mai che qualche coscienza si smuova. Purtroppo l'impressione è che si predichi solamente ai già convertiti.

2 commenti:

  1. Il film è davvero molto bello e coinvolgente.
    Magari potrebbe pure far riflettere sui nostri compotamenti di clienti ( Davvero non possiamo fare niente per cambiare nemmeno un qualcosina?comprare online? Ci interessa la reputazione delle ditte? cosine del genere insomma)

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    1. Vero, ognuno ha le sue idee sui consumi, io per anni ho cercato di portare avanti una piccola battaglia contro i colossi dell'online non acquistando da loro ad esempio, purtroppo è diventata una sorta di monopolio su alcune merci per cui alla fine sei costretto a rivolgerti a loro (mi è capitato con i libri di testo della scuola di mia figlia), ma è una battaglia per cui si sono ormai arresi tutti, a taluni non è mai interessato il disgregarsi del tessuto commerciale sul territorio, difficilmente si tornerà indietro, quello che infastidisce è che governi e cittadini permettano che siano loro a dettare le regole. Comunque si, gran film che probabilmente solo a Loach sarebbe venuto in mente di fare.

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