sabato 7 novembre 2020

INTERVENTO DIVINO

(Yadon ilaheyya di Elia Suleiman, 2002)

In Intervento divino temi e struttura sono simili a quelli che Elia Suleiman svilupperà qualche anno più tardi per Il tempo che ci rimane, ugualmente autobiografico (per accenni); se nel film più recente il regista trova una maggior compiutezza pur rimanendo su una scansione episodica degli eventi, questo Intervento divino appare sì più slegato ma pervaso da una maggior forza, nella presa di posizione politica così come nello sguardo e nel messaggio veicolato attraverso la solita sequenza di situazioni assurde e surreali, proprio come sembrano quelle scaturite dall'insensato conflitto israelo-palestinese nel quale Suleiman si trova preso nel mezzo, avendo origini palestinesi e cittadinanza israeliana. È delegato completamente alle immagini il compito di veicolare i messaggi che Suleiman ha a cuore, i dialoghi nell'economia del film sono pochissimi e assecondano il senso del tragicamente ridicolo che si respira lungo tutta la sua visione, ben sapendo che dietro le situazioni  grottesche proposte e vissute dall'impassibile regista, ancora una volta anche protagonista, si nascondono morte, tragedia, umiliazione.

Sulle colline di Nazareth, un Babbo Natale cerca di sfuggire ai suoi inseguitori, figura pagana che semina pacchi e regali ignorati dal manipolo di giovani decisi a fargli la pelle. Un uomo in auto percorre una strada di quartiere salutato con un cenno da tutti i suoi vicini per ognuno dei quali l'uomo ha pronto un insulto rapido e colorito. Un anziano panciuto in canottiera compie atti di distruzione apparentemente casuali, un uomo attende un autobus che già sa non passerà mai. Una turista si perde cercando il centro storico, chiede aiuto a una pattuglia della polizia, un agente le farà dare le indicazioni dal prigioniero appena arrestato, più pratico della zona. Una donna pulisce le scale di un giardinetto che è una discarica a cielo aperto, un uomo butta ogni giorno la spazzatura nel giardino del suo vicino di casa. Al checkpoint tra Nazareth e Ramallah si disputano sfide a colpi di sguardi e di musica pop.

Frammenti di follia all'interno di vite per forza di cose normalizzate, dall'abitudine, dall'inevitabilità, tra vari segmenti completamente anarchici (e occhio ai noccioli d'albicocca) spicca ancora una volta il legame di Suleiman con la figura paterna e un'amore impossibile per una donna di Ramallah, città al di là del checkpoint, i due amanti sono costretti a incontrarsi sullo sterrato nei pressi del confine, zona franca nella quale lasciarsi andare ad amplessi fatti di soli contatti tra le mani, veicolo erotico per un'amore clandestino che troverà compimento solo grazie a un palloncino con su la faccia di Arafat. Nella tragedia ci si ritrova a ridere di situazione ai limiti del comprensibile se non addirittura oltre, facendo ricorso all'assurdo ma anche all'onirico Suleiman ci mette di fronte a una situazione amarissima, per affrontare la quale non sembra si possa far altro che ridere. Ma il protagonista, Suleiman stesso, non ride mai e in qualche modo fa sentire noi spettatori un po' meno autorizzati a farlo. 

Con un'accozzaglia di elementi minimi Suleiman ci dice moltissimo, trasmette il disagio e la rabbia per una situazione per molti inaccettabile, Cinema alternativo, non immediato ma di un certo valore, Premio della Giuria al Festival di Cannes.

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