(di Woody Allen, 2020)
Anche con quello che non è il Woody Allen migliore alla fine si riesce comunque a divertirsi parecchio; è questo il caso di Rifkin's festival, ultima opera in ordine di tempo del regista newyorkese, non una delle più memorabili ma un film che a ogni modo intrattiene bene e offre parecchi spunti di riflessione, non privo di un'aura malinconica in sottotraccia, soprattutto se pensiamo al transfert in atto tra regista e contenuto del film, alter ego compreso (questa volta affidato a Wallace Shawn), in una narrazione dove traspaiono la lunga storia di Allen, i suoi gusti (soprattutto quelli cinefili) e l'inevitabile vecchiaia comprensiva di acciacchi e rimpianti per ciò che non c'è più ma che l'Allen uomo continua probabilmente a cercare. Allen si lascia alle spalle le polemiche che circondano il suo privato, si allontana da New York e torna a girare in Spagna ottenendo un risultato decisamente migliore rispetto al precedente film girato in terra iberica, quel Vicky Cristina Barcelona non troppo convincente: i protagonisti sono qui coinvolti in una ronde di relazioni, platoniche e non, che danno vita a legami caratterizzati da grandi differenze d'età, un Allen indubbiamente sprezzante del pericolo vista l'aria che tirava per il regista all'epoca dell'uscita del film proprio su questo argomento.Sebbene lungo la visione del film l'impressione che tutto viaggi su binari già posati da tempo immemore non manchi di affacciarsi alla mente dello spettatore, non si può non riconoscere ad Allen quella voglia inesauribile di cinema che spinge il regista ormai ottantaseienne a sfornare film a getto continuo trovando spesso esiti affatto disprezzabili come nel caso di questo Rifkin's Festival. Ancora una volta abbiamo un alter ego nei classici panni di quello che era il personaggio alleniano di sempre, questa volta interpretato da Wallace Shawn, un po' più giovane di Allen, fisico pasciuto ma che ben si accorda a riproporre fisime e ipocondrie tanto note quanto amate dai vecchi fan. Spicca in Rifkin's festival una vena malinconica: l'età avanza, le grandi domande sono ancora senza risposta (e queste non arriveranno), le cose che donavano sale alla vita sono ormai fuori portata: ci si invaghisce ma non si conclude, si viene accantonati, per fortuna c'è sempre il cinema ma anche questo è un cinema del passato, in bianco e nero, fatto di ricordi, in bianco e nero anch'essi e che prendono vita in 4/3, il protagonista è un uomo sorpassato che vive in un mondo che per molti versi appartiene ormai ad altri, anche la sua chiusura intellettuale non aiuta e la cruda realtà dei fatti è incontrovertibile, la vecchiaia è arrivata. Allen ne approfitta per omaggiare i registi che ama, ne riprende scene fondamentali, addirittura vezzi di regia guardando al Godard di Fino all'ultimo respiro e poi ancora a Bergman con Il settimo sigillo e Persona, a Fellini, a Welles con Quarto potere, al Truffaut di Jules e Jim e a diversi altri ancora, tutto in modo divertito e divertente; forse tutto già visto ma proprio non si può chiedere di più a un regista che nel corso degli anni ci ha davvero regalato tanto.
E' sempre il solito Woody, a cui però stavolta gli è mancato il guizzo.
RispondiEliminaSi, non tra i suoi migliori ma comunque piacevole.
EliminaSolo un saluto, amico mio compagno storico di blog.
RispondiEliminaUn abbraccio!
Ciao Luke, che bello sentirti! Un abbraccio! Anzi due!
EliminaCredo sia anche illogico aspettarsi qualcosa di rivoluzionario da Allen, dopo ottanta film. Però mi ha dato la sensazione di quando rivedi un amico dopo molto tempo :)
RispondiEliminaAssolutamente d'accordo, è la stessa sensazione che provo anche io con gli ultimi Allen.
EliminaSe Allen ti piace, penso che ogni suo film sia immancabile e ripaghi sempre la visione al cinema.
RispondiEliminaSi infatti per male che vada alla fine hai passato un'oretta e mezza (o due) in modo piacevole.
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