mercoledì 28 giugno 2023

DOV'È LA CASA DEL MIO AMICO?

(Khane-ye doust kodjast? di Abbas Kiarostami, 1987)

Abbas Kiarostami è stato un regista iraniano che ha vissuto gli anni della giovinezza e della sua prima maturità nell'Iran pre-rivoluzione khomeinista, un Paese con una serie di problemi non certo di poco conto ma con un maggiore livello di libertà rispetto alla controparte odierna, più propenso a guardare a un modello occidentale (anche a causa delle solite ingerenze statunitensi) e a una società volta al capitale e al commercio. In questo panorama Kiarostami comincia a muovere i suoi primi passi nell'editoria e nella pubblicità, occupandosi di illustrazione per ragazzi prima e di pubblicità per la televisione poi. Solo i suoi primissimi lavori da regista arrivano prima della presa di potere della repubblica islamica sciita, questo Dov'è la casa del mio amico? per esempio arriva quasi un decennio dopo la rivoluzione e risente quindi di un clima di rinnovate proibizioni. Ma lo sguardo di Kiarostami sui bambini, aiutato forse dall'esperienza già fatta con l'editoria per i più piccoli, sembra tenere il regista lontano, almeno all'apparenza, da temi scottanti. Occupandosi dell'animo dei ragazzi protagonisti di questo film, di uno in particolare, e della posizione difficile dei più giovani all'interno della società iraniana, Kiarostami riesce a creare un piccolo gioiello di infinita dolcezza, riuscendo a trovare dei piccoli interpreti capaci di bucare lo schermo con un solo sguardo, in maniera tanto semplice quanto meravigliosamente toccante. In Dov'è la casa del mio amico? si respira tutta la purezza disinteressata dell'infanzia, il bello di quelle esistenze innocenti che spesso gli adulti finiscono per tradire e deludere.


Nel villaggio di Koker il piccolo Ahmed (Babek Ahmed Poor) affronta un nuovo giorno di scuola. Il maestro (Kheda Barech Defai) prima redarguisce la classe per la caciara fatta dai bambini in sua assenza e poi prosegue controllando i compiti fatti a casa dagli alunni. Quando arriva il turno del compagno di banco di Ahmed, Mohamed Reza Nematzadeh (Ahmed Ahmed Poor), il bambino subisce una reprimenda perché per la terza volta ha presentato i compiti al maestro su un foglio volante e non sul suo quaderno. Il bambino si giustifica dicendo di aver dimenticato il quaderno a casa di suo cugino (che sta nella stessa classe e che riconsegna il quaderno a Nematzadeh), il maestro inizia così tutto un discorso sull'importanza della disciplina e ammonisce il ragazzo dicendogli che se capiterà di nuovo un episodio simile verrà espulso dalla scuola. Nematzadeh piange, Ahmed lo guarda attonito e dispiaciuto, la mattinata passa, i bambini tornano a casa. Lì Ahmed aiuta sua mamma con qualche faccenda domestica, ascolta i rimbrotti della nonna, si prende cura del fratellino neonato. Al momento di fare i compiti Ahmed si accorge di aver preso per errore non solo il suo quaderno ma anche quello di Nematzadeh, identico al suo. Angoscia, il compagno è senza quaderno e l'indomani verrà espulso da scuola se non farà lì sopra i suoi compiti. Ahmed tenta di far capire alla madre come debba assolutamente portare il quaderno al suo amico, il problema è che Nematzadeh abita a Poshteh, un paese parecchio distante dal suo. Visto che la madre si dimostra sorda alle richieste del bambino, Ahmed disobbedendo decide di partire a piedi per Poshteh alla ricerca della casa del suo amico, in modo da fargli riavere il quaderno ed evitargli l'espulsione dalla scuola. Inizierà così una piccola odissea.


Diverse settimane fa abbiamo parlato di un'altra piccola odissea in viaggio compiuta da un protagonista bambino, il giovane T. S. Spivet che partiva dagli stati centrali degli U.S.A. alla volta dello Smithsonian di Washington per ritirare il premio per una sua meravigliosa invenzione, incontrando sulla strada strani figuri e ogni sorta d'avventura. In questo film iraniano degli anni 80 non c'è il lato grottesco del viaggio (molto ridotto peraltro), mancano l'aspetto irreale della vicenda (l'invenzione incredibile di Spivet) e il fantastico, c'è invece tutta la dimensione terrena e umana che Kiarostami ricrea, come da lui stesso dichiarato, guardando al neorealismo italiano, creando meraviglia con lo sguardo di un bambino, con la profondità morale delle sue scelte (che strano, questi bambini non sparano piombini alle maestre, non le accoltellano!), con la caparbietà e l'innocenza di un bimbo che vuole fare la cosa giusta percorrendo per farla anche la strada più difficile. Alla purezza e alla generosità del piccolo Ahmed vi è la contrapposizione di un mondo adulto che non solo non ascolta e non prende in considerazione quanto di giusto hanno da dire questi bambini, ma sembra addirittura non sentirli nemmeno pur mantenendo l'arroganza di volerli educare con metodi fallaci e ciecamente riprenderli anche quando questi sono palesemente dalla parte della ragione e della saggezza. Emblematica in questo senso la figura del nonno che racconta come sia necessario picchiare i giovani almeno ogni due settimane per mantenerli adusi alla disciplina anche quando non hanno fatto nulla di sbagliato. Nonostante tutte queste figure metaforicamente sorde (la mamma di Amhed, i nonni, il papà di Nematzadeh, il vecchio di Poshteh), il film di Kiarostami non mostra segni di violenza se non appunto nella mancanza d'ascolto e nella costrizione per alcuni bambini al lavoro duro (il mal di schiena di uno dei compagni di Ahmed), gioca invece sulla tenerezza suscitata dallo splendido Babek Ahmed Poor che con il suo sguardo dolcissimo riesce a catturare lo spettatore nel giro di due secondi netti. Sullo sfondo la vita dura e semplice di una zona rurale dell'Iran, lontana dalle città e dalla frenesia moderna per un cinema capace di riempire i cuori, non per nulla Kiarostami è considerato uno dei maestri del cinema iraniano al quale guarda anche il suo "allievo" Jafar Panahi.

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