(The killing of a sacred deer di Yorgos Lanthimos, 2017)
Tanto sarà immerso nel fango e nel lerciume (e anche nella merda) il successivo lavoro di Yorgos Lanthimos La Favorita (prima sua collaborazione con Emma Stone e incetta di riconoscimenti), tanto è limpido, glaciale e pulito questo precedente Il sacrificio del cervo sacro, entrambi film molto riusciti, anche in maniera parecchio differente tra loro, a dimostrare l'intelligenza e l'ecletticità stilistica del regista greco, uno tra i contemporanei capace di dar vita a dibattiti e schieramenti sia tra la critica che tra il pubblico, cosa questa che già di per sé sottolinea il raggiunto status quantomeno di artista molto interessante da parte di Lanthimos, ormai uno dei registi a cui guardare nell'ambito della cinematografia mondiale di oggi. È curioso notare come nell'arco di un solo anno Lanthimos passi da un film all'apparenza freddissimo, preciso e asettico in ogni suo passaggio a uno vitale, grottesco per alcuni tratti, sporco e costellato da personaggi pieni di desideri e aspettative; c'è da dire che per La Favorita il regista non si è occupato della fase di scrittura, affidata questa a Tony McNamara che sarà poi di nuovo sceneggiatore per il greco con il più recente Povere creature!, a ogni modo allo spettatore scegliere l'esito a lui più congeniale, ciò che importa è che la scelta, quale che sia, passi comunque da opere decisamente meritorie e significative.Steven Murphy (Colin Farrell) è un cardiochirurgo tenuto in grande considerazione nell'ospedale in cui opera; l'uomo vive nella sua bellissima casa con la moglie Anna (Nicole Kidman), una donna di classe e oftalmologa di successo, e con i due figli, il piccolo Bob (Sunny Suljic) e l'adolescente Kim (Raffey Cassidy). Senza che la sua famiglia ne sia a conoscenza Steven incontra spesso un giovane, Martin (Barry Keoghan), i due più che altro parlano, il giovane sembra essere affezionato al medico e tiene in considerazione le sue opinioni e il suo apprezzamento. Da principio la loro relazione non è chiara: non sono parenti, non sono amanti ma c'è un qualcosa, probabilmente nel loro passato, a legarli. Dopo qualche tempo Martin viene finalmente presentato in famiglia, il ragazzo ci mette davvero poco a fare breccia nel cuore di Kim, Anna invece lo trova semplicemente un ragazzo a modo, ben educato seppur proveniente da una realtà non così agiata ed elegante come quella dei Murphy. Poi sarà la volta per Steven di dover conoscere la mamma di Martin (Alicia Silverstone), una donna sola che mostrerà un certo interesse per il dottore. Pian piano si scoprirà il legame che c'è tra Steven e Martin e la storia prenderà pieghe sempre più difficoltose e inspiegabili che porteranno Steven a dover prendere decisioni estreme.
Il titolo del film di Lanthimos, che di primo acchito potrebbe risultare enigmatico ai più e intelligibile solo per chi conserva rudimenti di conoscenza in materia di miti greci, si rifà all'Ifigenia in Aulide, narrazione nella quale i protagonisti si troveranno a confrontarsi con il volere di dei ben più benigni di quello con il quale avranno a che fare i personaggi dell'opera del regista greco. In realtà ne Il sacrificio del cervo sacro non ci sono dei, la malasorte che affligge i componenti della famiglia Murphy è ben identificabile ma Lanthimos non ce ne esplicita mai la natura mantenendo così per tutta la durata del film un'ambiguità che pian piano diventa più comprensibile, o quantomeno indirizzabile, ma che non si scioglierà mai fino in fondo se non risalendo appunto al mito. Il contesto, sequenza iniziale a parte che presenta un'operazione a cuore aperto, è di una glacialità impeccabile. Nella messa in scena tutto è ordinato, simmetrico, pulito, rilucente; la famiglia dell'alta borghesia qui narrata è algida, di una freddezza che si esplicita anche nel sesso tra marito e moglie dove la fantasia frequente della coppia consiste in una moglie che finge di essere completamente anestetizzata, come nelle operazioni del marito, e così si concede senza passione alcuna. Allo stesso modo il dottore reagisce di fronte a un pericolo che mette a rischio la stessa vita dei suoi cari, senza grandi scatti emotivi, in preda a una razionalità impotente che solo in pochissimi casi mostrerà quel minimo di umanità necessaria che la situazione richiederebbe, radicata forse in una convinzione di superiorità di lui verso tutto e tutti, anche nei confronti della moglie che in fondo vede "solo come un'oftalmologa". Lanthimos lavora sulla colpa, sull'assunzione di responsabilità e su un terribile contrappasso, una colpa che il protagonista, mentendo a sé stesso e agli altri, tende a giustificare autoassolvendosi ("un chirurgo non sbaglia") tentando comunque in qualche modo di mitigarne il rimorso che ne deriva. È quando i nodi vengono al pettine, quando in qualche modo da quella situazione surreale, pericolosa e inspiegabile si dovrà infine uscire che Lanthimos diventa cattivissimo, mettendo in pessima luce tutti i suoi protagonisti principali. Nel far questo il regista sporca (giusto un po') la sua pulizia formale e apre le porte al caos, un caos che non si può combattere ma solo accettare, un'operazione da compiere caricandosi sulle spalle tutte le conseguenze del caso che sublimano in una sequenza finale davvero agghiacciante. Così giustizia è fatta, non ci sono scappatoie, non ci sono appigli che denaro, posizione, prestigio possano offrire. Ottima la prestazione del cast che vede emergere un Barry Keoghan sottilmente inquietante che rivaleggia senza timori con star più blasonate di lui e che trovano casa in maniera comoda nella compostezza messa in scena dal regista greco.
Non ne colsi subito la grandezza quando lo vidi, ma mi è cresciuto dentro col tempo. Film incredibile, a suo modo...
RispondiEliminaChe belli quei film che sedimentano e poi sbocciano pian piano.
Elimina[Rischio spolier] La tragicità della scena quasi finale mi rimarrà impressa per un bel po' di tempo: quella specie di "triello passivo" nel salotto di una casa borghese con gli spari che non risolvono la situazione al primo tentativo mentre pensi che non può finire così. E invece.
RispondiEliminaSì, terribile, più ficcante di un "Funny games" ad esempio.
EliminaCon questo film non sono proprio entrato in sintonia, alla fine riuscito ma personalmente deludente.
RispondiEliminaNonostante la glacialità voluta di diversi passaggi a me invece è piaciuto molto.
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