(The conversation di Francis Ford Coppola, 1974)
C'è una bellissima sequenza iniziale sui titoli di testa di questo film di Coppola, una panoramica dall'alto di una piazza di San Francisco circondata dal verde (Union Square), la folla, un mimo che cerca di guadagnarsi da vivere, la musica inframezzata da suoni indecifrabili, incatalogabili, quasi alieni. Disturbi. L'occhio dello spettatore, quello della camera, scende progressivamente verso l'asfalto, la gente passeggia, il mimo cazzeggia. Rumori, cani. Si stringe sul mimo che inconsapevole si avvicina a Harry Caul (Gene Hackman) protagonista del film, il mimo lo lascia, la camera lo segue, è lui l'artefice indiretto di tutti quegli strani suoni che si odono, il massimo esperto d'intercettazioni in un'America post Watergate paranoica fino al parossismo. Tra la folla una coppia, giovani amanti osservati a vista, spiati, occhi, microfoni direzionali, sistemi d'amplificazione, un furgone per la registrazione, auricolari. Quattro uomini al lavoro, stralci di conversazione, l'impiego di forze e tecnologia allora all'avanguardia lascia pensare a un grande complotto politico, ma forse è soltanto la paranoia o sono i primi assaggi di un voyerismo di futura diffusione? Per Harry è solo lavoro, né più, né meno.
Con in mente i numi tutelari Hitchcock e Antonioni, rispettivamente per quel che riguarda l'impianto giallo anticonvenzionale e per il rapporto dello stesso con la tecnologia, Coppola ci presenta un paese impaurito, paranoico, che attraversa un momento non facile, impressione confermata anche dalla fotografia che restituisce una San Francisco lontana dall'essere una metropoli scintillante, e lo fa concentrando tutto il possibile nella figura di Harry Caul, un uomo che si porta un trauma grosso sulle spalle, una perdita dell'innocenza, forse l'ennesima se rapportata a quella di un paese messo in ginocchio dalle malefatte del suo Presidente, una perdita di fiducia e un enorme senso di colpa.
Questi drammi si traducono nella vita privata di Caul in una sola parola: solitudine. A nulla servono le fugaci compagnie femminili, i convegni, le festicciole improvvisate con quelli che sono colleghi e non amici. Ciò che resta al calar del sole è solo solitudine. E paranoia, strisciante, impalpabile, un pericolo che si annida ovunque: alle spalle, sotto la tappezzeria, nelle intercapedini dei muri, sotto le assi di un pavimento di legno, nel passato, nel senso di colpa incancellabile. Solitudine e un sax.
L'intreccio giallo passa in secondo piano davanti alla messa in scena di un personaggio magnifico interpretato da un Gene Hackman inappuntabile, perfetto, qui supportato dal bel volto di John Cazale e da un giovanissimo e infido Harrison Ford. Coppola è bravissimo a rendere al meglio un'atmosfera pesante dove sembra aleggiare quasi una presenza incorporea sulle sorti della coppia d'amanti e sulla sanità mentale dello stesso Harry, a poco valgono le brevi sequenze oniriche nel rafforzare un sentimento di per sé espresso già benissimo nelle scene "canoniche".
Ma il giallo ha una sua funzione, ci spiazza, ci riporta ancora e ancora sugli stessi elementi, su quegli stralci di conversazione, a quel pomeriggio di sole a San Francisco nella piazza di Union Square. Si ascolta, si riascolta, si ricostruisce. Percezione. Inganno. Tutto si traduce in una discesa agli inferi veicolata da una paranoia senza misure, accompagnata dalla musica, fino al suo stadio terminale.
La conversazione è Cinema maiuscolo, d'altri tempi come oggi si fatica a fare. Palma d'oro a Cannes, candidato all'Oscar come miglior film, si arrese solo davanti a Il padrino parte II, neanche a dirlo dello stesso Francis Ford Coppola quell'anno in totale stato di grazia.
Grande film. Grande Gene. Nota che praticamente lo stesso personaggio torna nel Nemico Pubblico del compianto Tony Scott che "cita" La Conversaz anche in una fotina per documento che è la facciotta da travet di Harry Caul.
RispondiEliminaSono passati solo 43 anni, ma il mondo è tanto cambiato ed un remake vedrebbe Harry confuso e felice di essere il ragno tecnologico della rete. No secrets. No regrets. Meglio regnare nella rete infernale che servire nel paradiso di coloro che credono di non essere sempre e comunque ascoltati e visti ed odorati e manipolati. Non avrebbe baffetti ed occhiali da CAF, ma un taglio hipster ed un fedora colorato sulle ventitrè dall'alba al tramonto e camicia a quadri e bermuda da maggio a ottobre. E saprebbe tutto e di poco, in fondo, gli importerebbe.
Del seguito "apocrifo" con Caul sapevo, lo vidi pure all'epoca, un ulteriore aggiornamento sarebbe forse interessante ma ancor più triste...
EliminaAll'università un amico mi fece una testa così con questo film dicendomi che dovevo assolutamente vederlo. Mi prestò la videocassetta (erano i tardi anni '90) e devo dire che in effetti mi piacque, anche se le pretese autoriali erano un po' eccessive e non poteva certo competere con gli altri registi che citi.
RispondiEliminaIl finale è fenomenale!
Grandissimo finale, Coppola a mio avviso eccede solo un filo nelle brevi sequenze oniriche, comunque non invadenti, per il resto trovo il suo lavoro qui magistrale, poi per carità, Hitchcock, Antonioni, gente alla quale anche Coppola guarda con grande riverenza.
EliminaCiao gran bel post su un film che amo, l'ho visto più volte. Direi attuale.
RispondiEliminaGrazie Enri, sei gentile. Film assolutamente attuale e soprattutto grandissimo, un'interpretazione magnifica, finale splendido. Che Cinema!
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