(Glengarry Glen Ross di James Foley, 1992)
Americani è il secondo film d'attori (dopo Barbecue) che mi è capitato di vedere nel giro di pochi giorni, pellicola di dialoghi, interpretazioni, bravura attoriale, sequenze strette in interni, a volte oppressive e soffocanti, chiuse nell'abitacolo di un'auto squassato dalla pioggia, all'interno di una cabina telefonica, illuminate artificiosamente davanti al bancone di un bar. La differenza tra i due film sta forse in un'unica parola: attori. Per fare un film d'attori ci vogliono degli attori, di quelli bravi, e qui ci sono tutti: Jack Lemmon, Al Pacino, Ed Harris, Kevin Spacey, Alec Baldwin, Alan Arkin, elencati più o meno in ordine di merito, relativamente alle loro interpretazione in questa particolare occasione.
Foley dirige un gruppo affiatato che dovrebbe esserlo anche all'interno dell'economia della vicenda narrata, tutti professionisti impiegati alle dipendenze della stessa azienda, chiamati a remare nella stessa direzione sotto l'unica bandiera che ormai conti davvero nel mondo occidentale: quella del profitto personale, in primis ovviamente quello dei vertici aziendali. Essendo tutti venditori, per lo più in difficoltà, ben presto l'affiatamento e la cooperazione vanno a farsi benedire per lasciare spazio all'individualismo più bieco, alla disperazione, all'astio, all'invidia e a tutte le peggiori idee che uomini sull'orlo del fallimento possano arrivare a concepire.
La Mitch & Murray si occupa di proprietà immobiliari, terreni e lotti da vendere. Nell'agenzia in questione le cose non vanno bene, le vendite sono scarse, la sede centrale manda il mastino Blake (Alec Baldwin) a motivare i quattro venditori gestiti dal passacarte John Williamson (Kevin Spacey): ne escono minacce, umiliazioni e scoramento. La gara del mese prevede crudelmente una nuova Cadillac per il vincitore, un set di coltelli per il secondo classificato, il licenziamento per gli altri. Ricky Roma (Al Pacino) è in testa alle classifiche da diversi mesi, è un affabulatore, un mistificatore che con la chiacchiera che tutti potete immaginare se avete avuto l'occasione di vedere all'opera Al Pacino al suo meglio, riesce a intortare i clienti, se li cucina a dovere fino a portarli all'unico gesto che veramente conta, l'apposizione di quella cazzo di firma sulla linea tratteggiata. Non c'è nient'altro. Shelley Levene (Jack Lemmon) è il maestro del passato, un venditore sul viale del tramonto con problemi familiari ed economici assillanti, cerca le ultime indispensabili zampate per amore d'una figlia malata, non trova comprensione, i contatti dell'azienda sono usurati, gli spiragli di luce ormai pochissimi. Dave Moss (Ed Harris) è un calderone di rancore, insoddisfazione, livore, fallimento e auto assoluzione pronto a scoppiare in ogni momento, giusto contraltare per George Aaronow (Alan Arkin), un venditore ormai sconfitto, leso irrimediabilmente nell'autostima, insicuro e incerto sul da farsi.
Non c'è nessuna solidarietà tra i protagonisti, solo competizione, opportunismo, gesti di facciata e disonestà che scoperchiano il marciume di una società del lavoro competitiva fino alla distruzione del perdente, che non è più un uomo in difficoltà, non è nemmeno più un uomo. È un'etichetta: quella del fallito, quella della merda senza valore, accantonabile e calpestabile. Americani è un film dove prima della vicenda narrata, di cui non sto nemmeno a dirvi troppo, si apprezzano il messaggio di fondo ma soprattutto le interpretazioni degli attori coinvolti, e se nella vicenda finzionale la classifica dei loro meriti è chiara e legata a cifre indiscutibili, quella ipotetica per la migliore interpretazione sarebbe combattuta fino all'ultimo frame e incoronerebbe un vincitore solo sul filo di lana. La sceneggiatura è solida, scritta da un professionista indiscusso come David Mamet, adattata da una sua stessa opera teatrale, tiene viva l'attenzione senza cali di ritmo nonostante sia tutto basato sui soli dialoghi, tutto è aiutato dalla bella scelta dei brani in colonna sonora, pezzi di Donald Fagen, Duke Ellington e contributi di Al Jarreau e Wayne Shorter.
Per avere successo in operazioni come questa ci vogliono i nomi (non per forza solo famosi), e qui i nomi ci sono.
Il titolo originale è Glengarry Glen Ross: non posso davvero dare torto a chi ha deciso di tradurlo/tradirlo in Americani. Naturalmente non siamo davanti a capolavori della traslitterazione come French Connection in Il Braccio Violento della Legge o come McQ in E' una sporca faccenda, tenente Parker ! ma pazienza.
RispondiEliminaVisto al cine in via Torino quell'anno con la mia fidanzata del tempo in giorni in cui tra prime cineforum e essays vedevo tre/ quattro film in sala. Pacino che intorta Jonathan- prossimo papa Bergoglio - Pryce. Considerato che Al è stato anche Satana in The Devil's Advocate, la cosa prende una atmo da vangelo apocrifo eretico. Brr. Tutti molti bravi, comunque. Primo film in cui " riconosco" Kev Spacey. Aveva esordito come rainatore ossigenato della Streep in Heartburn, ma non mi era rimasto impresso lì.
Jack Lemmon nel film è The Machine e praticamente aggiorna il suo personaggio di Salvate la Tigre.
Ritroveremo la caratterizzazione di Baldwin aggiornata al secolo successivo nel personaggio di Vin Diesel in 1 km da Wall Street. Chi aveva le antenne alzate probabilmente nel raffronto tra i due androidi sanza anima avrà avuto modo di capire in che direzione stava andando il ventunesimo secolo. Brr. Ciao ciao
La traduzione questa volta ci sta, l'originale sarebbe stato effettivamente poco comprensibile. Cast in formissima, il primo di Spacey mi manca, credo che qui sia davvero in uno dei primissimi ruoli importanti, così come mi manca anche il Vin Diesel che citi, indagherò. Comunque riflessioni da brividi.
EliminaSai che questo non l'ho mai visto?
RispondiEliminaTra l'alro, filmoni così, con cast simili, ormai sono rari.
Erano prerogativa soprattutto degli anni '80 e '90 :)
Moz-
Qui il cast è veramente enorme per qualità, se ti capita recuperalo.
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