(di Benedek Fliegauf, 2010)
Il dilemma etico di fondo che muove la visione di Womb è di quelli importanti, complessi e affascinanti. È un dilemma per noi ancora poco attuale o quotidiano, ma potremmo esserci vicini, scientificamente siamo a un passo; la vicenda narrata dall'ungherese Fliegauf non stonerebbe infatti all'interno della splendida serie tv britannica Black Mirror che ci mostra, agghiacciandoci, futuri possibili che potremmo trovarci davanti semplicemente girando l'angolo.
La storia è ambientata in una landa indefinita, su una costa di qualche mare del Nord, in quello che potrebbe essere un futuro prossimo apparentemente identico al nostro presente. La piccola Rebecca (Ruby O. Fee) vive con l'anziano nonno, un giorno incontra sulla spiaggia il coetaneo Thomas (Tristan Christopher). Col tempo i due bambini stringono una grande amicizia, affezionandosi sempre più l'uno all'altro, poi la bambina sarà costretta a trasferirsi per seguire la madre in Giappone. Passano gli anni, Rebecca (Eva Green) torna sui luoghi della sua infanzia, va alla ricerca di Tommy (Matt Smith) che non li ha mai lasciati. L'incontro tra i due, dopo i primi attimi di sorpresa, spazza via tutti gli anni di lontananza, Tommy ha sempre tenuto Rebecca nel cuore, alimentando il fuoco di un amore del ricordo, il sentimento è ricambiato con trasporto. Purtroppo il destino decide di mettersi di mezzo una volta ancora, Rebecca perde Tommy, di nuovo. Ma non è il nostro tempo che vede svolgersi la vicenda, è un tempo altro, un tempo in cui gli esseri umani possono essere clonati, Rebecca decide così di riavere Tommy, di riaverlo portandolo in grembo, di riaverlo per amarlo d'un amore tutto nuovo, altrettanto potente ma completamente diverso.
Le scelte stilistiche di Filegauf immergono la vicenda in una sensazione costante di sospensione, quasi di irrealtà, a scandire il passare del tempo l'ottima idea del regista di riproporre più volte le stesse inquadrature, soprattutto quelle con protagonista Rebecca (a letto, nella vasca), in momenti diversi della narrazione, ad anni di distanza. Le sensazioni sopra descritte sono sottolineate al meglio dalla fotografia di Péter Szatmari: toni grigi e blu, plumbei, che contribuiscono a fermare l'incedere degli eventi in singoli momenti, sospesi nella realtà.
Nonostante le cose sembrino filare lisce all'inizio, è inevitabile che l'amore tra la Rebecca madre e il Thomas figlio nasca malato, morboso e che col crescere del bambino, che assomiglierà sempre più al Tommy adulto amato da Rebecca in precedenza, le cose non potranno che divenire più difficili. Matt Smith ed Eva Green danno corpo a emozioni e situazioni forti, in maniera del tutto naturale, la Green porta al film un amore del tutto trattenuto, delicato quando è nella sua accezione più naturale, altrettanto interiorizzato ma tormentato nella seconda parte del film, in entrambi i casi con immutata bravura. Lo spettatore è abituato probabilmente a vedere Smith nei panni del Doctor Who, qui l'attore dimostra ancora una volta di essere davvero in gamba, portando in scena un personaggio che qualche punto in comune con il suo Dottore ce l'ha anche, più duttile nel ventaglio di emozioni esplicitate rispetto a quelle scritte per il personaggio di Rebecca, bella prova per entrambi i protagonisti.
Dà da pensare Womb, la percezione di ciò che è eticamente giusto e ciò che è sbagliato è soggettiva, quando sarà davvero il momento di scegliere su argomenti eticamente rilevanti come questo, bisognerà per forza mettere da parte profitti ed egoismi. Scommetto che non ci riusciremo.
Film angosciante, che mi ha dato da pensare per giorni e che, indubbiamente, pone molte domande scomode. Appena ci si riesce a scrollare di dosso la malinconia del paesaggio brullo dove si muovono i protagonisti, ovvio.
RispondiEliminaGran bel film, mi è piaciuto molto, spunti davvero importanti.
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