(di Éric Lavaine, 2014)
Scuole di pensiero. C'è chi sostiene che a certa commedia francese piaccia un poco parlarsi addosso, c'è invece chi apprezza i film in cui si discetta degli avvenimenti quotidiani, di quegli aspetti dell'esistenza che prima o poi potrebbero toccare un po' tutti quanti e che tutti potrebbero vederci protagonisti. Insomma, la vita. Ok, sta bene, ma quale vita? Tra poco ci torniamo. In Barbecue abbiamo un gruppo di amici di lungo corso, uomini e donne, prevalentemente coppie o ex coppie e un single. Durante un evento sportivo uno di loro, Antoine (Lambert Wilson), ha un infarto. Rimessosi senza conseguenze dal piccolo inconveniente, Antoine decide di cambiare vita: lascia il lavoro, decide di prendersi il suo tempo, smette di fare attenzione al cibo, la fa finita con lo sport, ricomincia a fumare, mette da parte tutte quelle cose fatte fino a cinquant'anni nella convinzione di trarne giovamento. Invece l'infarto è arrivato lo stesso, inaspettato, e allora fanculo tutto (e magari potessimo farlo tutti, infarto o meno), sembra sia arrivato il momento di vivere davvero. L'episodio è solo il punto di partenza per raccontare le vicende di questo gruppo di amici, i loro caratteri, l'evolversi dei rapporti tra di loro, le cose dette ma soprattutto quelle non dette per paura di offendere o ferire qualcuno, i loro drammi (?) e via discorrendo.
Come si diceva prima, e qui torniamo al punto, la vita. Ok, sta bene, ma quale vita? No, perché in Barbecue accade che siano tutti molto benestanti, a parte il povero Jean-Mich (Jérome Commandeur) che sembra essere di estrazione proletaria (ha un lavoro normale in officina) e guarda caso è l'unico che ha l'aria di essere un po' ignorante, non ha una donna, è imbranatello, non distingue un vino da centinaia e centinaia di euro da uno in cartone (e sai che dramma). Ora non so se sia più stupido questo stereotipo o più insultante per la figura femminile il fatto che ovviamente nessuna donna stia con il morto di fame, mentre chi è meglio sistemato economicamente ha naturalmente una compagna. Ma qui forse è la mia indole proletaria e un poco spazientita che prende il sopravvento, andiamo oltre. Il grande dramma diffuso all'interno della compagnia, salvo rare eccezioni, sembra quello derivante dalla difficoltà di tenere gli organi genitali all'interno delle rispettive mutande, insomma si è tradito, si tradisce, probabilmente si tradirà, si fanno volentieri esperienze piacevoli, si fatica ad accettare quelle degli altri, gelosie, ritorni di fiamma, happy ending. Tutto in una cornice di sufficienza e noncuranza molto ammirevole, i ragazzi (uomini ormai) sanno come prendere la vita. Si cresce (?), tutto si risolve per il meglio, l'amico possidente di terreni che sembrava sul punto di subire un tracollo finanziario si riprende, siamo tutti contenti. I figli che pure ci sono, sono relegati su uno sfondo di cui non ci si cura, al massimo gli si consiglia di scopare, fumare e vivere felici (ottimi consigli per carità, ovviamente il figlio in questione è maschio) e poi cos'altro? Sì, ecco, la noia e la sincerità. In un mucchio di tematiche che lasciano il tempo che trovano forse questi sono i due aspetti che davvero possono accomunare un po' tutti, l'idea di non dire, di non essere sinceri per non offendere, di camminare lungo la linea senza deviazioni, per il quieto vivere. La noia, non solo quella subita ma anche inevitabilmente quella procurata agli altri. Qualcosa di interessante su cui riflettere.
Il film in realtà non è poi terribile, si lascia guardare, corre via innocuo; non c'è ironia, non c'è spessore, ma nemmeno ci si annoia. È il tipo di film che nell'ambito del fumetto verrebbe definito una sequenza di teste parlanti, una vicenda cioè dove sono i dialoghi a farla da padrone, con una presenza scarsa o nulla di sequenze dinamiche o, come in questo caso, di una storia. Però, per passare una serata senza pensieri, sono dell'idea che sia sempre meglio qualcosa di più proletario, forse come direbbe Lavaine, qualcosa di più ignorante. Ridateci gli action anni '80.
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