domenica 18 novembre 2018

DUE PARTITE

(di Enzo Monteleone, 2009)

Due partite è una commedia (molto) amara, una piece teatrale in due atti trasposta in seguito per il grande schermo. Nel contesto narrato in questi due atti, ben distinti tra loro, il nome del regista Enzo Monteleone sembra quasi quello di un intruso; nonostante la regia di Monteleone risulti discreta e funzionale, a completare il quadro di un progetto completamente al femminile manca giusto una donna dietro la macchina da presa. Sì, perché Due partite, scritto da Cristina Comencini, vive di donne, otto per la precisione, la loro controparte, gli uomini, al massimo vengono evocati, entrano nelle chiacchiere di questi due gruppi di amiche, sono un'eco lontana e allo stesso tempo fondamentale nella vita di otto protagoniste interpretate in maniera vivace da una selezione indovinata di bravissime attrici nostrane. Purtroppo queste figure maschili così poco presenti (in tutti i sensi) ma avvertite in maniera pesante, quasi mai risultano essere positive per l'altra metà del cielo: spesso situazioni contingenti, doveri, tradimenti, pensare comune e tradizione sfociano in un'infelicità repressa, mascherata, capace di condizionare l'esistenza di queste donne tra loro così diverse.

Anni 60, interno giorno. A casa di Beatrice (Isabella Ferrari) si trovano per la solita partita a carte del giovedì le amiche Gabriella (Margherita Buy), Claudia (Marina Massironi) e Sofia (Paola Cortellesi). Le loro tre figlie, tutte femmine, giocano nell'altra stanza; le quattro amiche ne approfittano per chiacchierare e tirare qualche bilancio delle proprie esistenze, a volte con leggerezza, in maniera informale e divertita, spesso con un pizzico di cattiveria e molta amarezza. Beatrice è la più positiva, l'attesa del suo primo figlio la colma di speranza, vede il futuro ancora radioso, sente la mancanza della madre scomparsa ed è in apprensione per i dolori del parto. Claudia, che di figli ne ha avuti tre, di certo non ha la capacità di rassicurarla, anzi, rigira il dito nella piaga, forse per superficialità involontaria, forse per distribuire anche ad altri il dolore che prova a causa di una marito che la tradisce a ripetizione e che la costringe a un'esistenza dalla facciata felice e perfetta: tutto per il marito, per i figli, per la famiglia... ma per se stessi cosa resta? Sofia, al contrario, ingabbiata in un matrimonio e da una figlia che non voleva, tradisce il marito con una serie di amanti, mantiene due case per potersi "sfogare" e gioca, gioca a carte, il giovedì, con le sue amiche, e non vorrebbe sentire tante chiacchiere. Gabriella invece era una pianista di successo, aveva una passione innata per la musica alla quale ha dovuto rinunciare a causa del suo matrimonio. Erano gli anni 60, si andava verso tutta una serie di rivoluzioni importanti, ma tanti risultati ancora non erano così facili da raggiungere per le donne, rapporti appaganti e felici erano spesso difficili da costruire.


Anni 90, interno giorno. Altre quattro amiche, per la precisione le figlie delle donne di cui sopra. Alla fine anche Beatrice avrà una femmina, andando a chiudere il quadro. Le bambine che giocavano nella stanza accanto, e che da piccole non abbiamo mai visto, sono cresciute, hanno la fortuna di essere nate in un'epoca dove la figura femminile si è molto emancipata, dove si sono fatti enormi passi avanti, la morale è meno restrittiva, la libertà più alla portata di tutti. Eppure costruire questa benedetta felicità non è ancora per niente facile, molto è cambiato ma sembra che non sia cambiato quasi nulla. Rossana (Claudia Pandolfi) non riesce a vedere quasi mai il marito a causa degli impegni di lavoro di entrambi, non ha figli, si sente un po' sola, il suo matrimonio diventa "intimo" solo nella casa al mare. Sara (Carolina Crescentini) ha una carriera di successo che la porta sempre in giro e un marito mansueto, sempre preoccupato per lei, un uomo affidabile che lei non sopporta più. Cecilia (Valeria Milillo) è completamente ossessionata dall'idea di avere un figlio che sembra non arrivare mai, mentre Giulia (Alba Rohrwacher) è  intrappolata in un tragico circolo vizioso che porta dolore e sofferenza. Gli anni passano, i costumi cambiano, ma l'atavica guerra dei sessi continua a mietere vittime, per mani spesso inconsapevoli, disattente, egoriferite.


Il film si regge solo sui dialoghi, sulle bellissime riflessioni che prendono vita grazie a otto attrici in gran forma, c'è praticamente unità di luogo, con prerogative del genere non era difficile cadere nella noia e nel verboso. Invece il connubio tra Comencini e Monteleone funziona benissimo, in tutto il primo atto si ammira oltre alla prova delle attrici, anche tutto il décor che ricostruisce abilmente l'atmosfera delle case italiane dei 60, il sottofondo musicale dove, soprattutto con Mina, i brani riprendono temi dibattuti dalle protagoniste che con gli stessi pezzi musicali giocano, si ammira tutta un'epoca e si segue con piacere e attenzione quella che alla fine è semplicemente la vita di queste splendide donne. Il secondo atto è forse meno affascinante per scenografia e costumi ma mantiene alto il livello dei contenuti e delle riflessioni scaturite dalla visione di Due partite, un film dallo sguardo totalmente femminile. A noi uomini non resta che riflettere su quelle che potrebbero essere effettivamente le nostre innegabili mancanze, comunque consapevoli che l'infelicità non è un fenomeno genetico né tanto meno una prerogativa a senso unico.

4 commenti:

  1. L'ho rivisto recentemente, non un capolavoro ma sicuramente un bel film, anche piuttosto anomalo per il panorama italiano.

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    1. Si, l'impianto teatrale, ben trasposto per lo schermo, rende il film abbastanza originale per il mercato nostrano, non unico, ma ben riuscito e onesto, l'ho preferito ad esempio al tanto strombazzato Perfetti sconosciuti.

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    2. Così a memoria non credo di aver visto Perfetti Sconosciuti, però mi ricordo che l'ultimo di Infascelli,quello con Castellitto e la Buy, pur essendo piacevole tradiva di più la sua origine teatrale che invece qui è ben "mascherata".

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    3. Invece a me quello di Infascelli manca.

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