lunedì 2 settembre 2019

LEBANON

(di Samuel Maoz, 2009)

Negli ultimi decenni sono stati prodotti numerosi film che ci hanno mostrato la guerra e gli orrori a questa legati sotto gli aspetti più diversi: dagli abusi dei soldati narrati in Redacted di De Palma allo stress post traumatico dei reduci di American Sniper di Eastwood, dalla resistenza del privato ne Il giardino di limoni di Riklis fino alle tragedie della popolazione civile in Sotto le bombe di Aractingi, passando per The hurt locker della Bigelow, Green Zone di Greengrass e da una pletora di altri titoli ancora. In ognuno di questi film, sviluppato in maniera diversa, si assorbe, anche inconsciamente volendo, un messaggio che della guerra e della sua disumanità ci fa avere orrore, un messaggio che dunque è sempre utile ripetere, a fini educativi (universalmente validi) e con scopi conoscitivi, questi sì differenziati a seconda del film che si va a vedere. Nel calderone affollato dei film di guerra Lebanon si ritaglia un posto d'onore, il film Leone d'Oro a Venezia è uno degli esiti più interessanti del filone, sia per le scelte di regia inusuali e molto riuscite, sia per i contenuti morali legati alla sfera delle emozioni dei protagonisti del film.

Lo scenario è quello della prima guerra del Libano, 1982. Agli ordini dell'ufficiale Jamil (Zohar Shtrauss) ci sono quattro ragazzi di leva, tutti componenti dell'equipaggio di un carro armato dell'esercito israeliano. Schmulik (Yoav Donat) è l'ultimo arrivato, il novellino incaricato di far fuoco e di attivare le armi del carro, compito delicato in quanto il ragazzo dovrà coprire l'avanzata del drappello di fanteria che procede allo scoperto. Assi (Itay Tiran) è il capocarro, quello che dà gli ordini, un giovane con poco carattere, Hertzel (Oshri Cohen) è l'uomo di fatica, carica le armi, carattere ribelle ma anche il più lucido del gruppo, Ygal (Michael Moshonov) è il pilota del carro. In poco tempo quella che doveva essere una serie di piccole missioni volte a far attraversare alla pattuglia diversi centri abitati si trasforma in un vero e proprio scenario d'orrore, sempre più incerto e pericoloso e psicologicamente insostenibile.


La scelta del regista è forte, Maoz ci narra l'intera vicenda dall'interno dell'abitacolo del carro, un luogo poco illuminato, sporco, spesso in movimento e poco stabile, uno spazio claustrofobico nel quale dovranno convivere quattro paure, tutto quello che accade all'esterno lo vediamo attraverso il puntatore del carro, anche questo con una visibilità molto ridotta, uniche concessioni al mondo fuori sono la prima e l'ultima inquadratura del film su un campo di girasoli. Anche i contatti con il comandante della truppa e con un altro paio di personaggi avvengono sempre grazie all'ingresso di questi nel carro, nulla di ciò che accade fuori viene ripreso se non passando dal puntatore di Schmulik. Ottima la regia di Maoz che costretto in spazi angusti riesce a inventare anche qualche bella trovata, qualche bel movimento di macchina, vedi ad esempio una delle primissime sequenze, l'ingresso nel carro di Schmulik, ripreso dal basso in quello che sembra un carro allagato d'acqua, si scopre subito una visuale ingannevole, un solo centimetro d'acqua sul fondo del carro e la macchina piazzata a dovere dona alla scena un effetto spiazzante, così tra piccoli accorgimenti e piani ravvicinatissimi sui protagonisti Maoz porta a casa una sfida non così facile da vincere con ottimi risultati. Ottimo lavoro psicologico sui personaggi, ragazzi giovani e inesperti che si trovano a rischiare la vita senza sapere per cosa e nella situazione di dover decidere in pochi secondi se uccidere o meno quello che sembra il loro nemico, a volte ragazzi, donne, vecchi, civili innocenti. Poi ci sono la coscienza, il rimorso, l'orrore, la paura, il legittimo desiderio di tornarsene semplicemente a casa. Dietro l'angolo la follia che aspetta.


Ottima direzione di un cast indovinato, tensione palpabile, dilemmi morali a profusione e quello che è il sentimento più comune che si evince da molti film di questo tipo: un'ingiusta e ingiustificata, folle e irricevibile passione della razza umana per la guerra che continua a rovinare vite in maniera impietosa e indiscriminata. Concetto noto che in Lebanon viene presentato in maniera molto forte (non mancano diversi pugni allo stomaco) attraverso le esperienze di quattro ragazzi, tramite i loro dialoghi, il terrore, la paura, il rimorso. Un film non solo necessario ma anche pregevole dal punto di vista artistico.

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