martedì 8 febbraio 2022

AFTER LIFE

(di Ricky Gervais 2019/2022)

Viaggio sentito nell'elaborazione di un lutto, nella (non) accettazione di una perdita incolmabile, un viaggio durato tre stagioni e diciotto brevi episodi durante i quali l'ideatore e protagonista Ricky Gervais riesce a farci ridere a crepapelle per straziarci il cuore l'attimo dopo, il piccolo mondo di After life si frantuma più e più volte, si piange e poi si torna a ridere, proprio come accade nella vita, almeno per chi, incontrati i grandi dolori che questa ci sottopone, riesce in qualche modo a sopravvivergli. In fondo sta qui il succo di After life, trovare un modo, volontariamente o meno, per sopravvivere al dolore, per ricominciare, scavare e scavare e scavare fino a trovare la consapevolezza che la vita merita di essere vissuta, oltre la sofferenza, perché ci sarà sempre qualcuno da aiutare, qualcuno che avrà bisogno di un nostro gesto gentile, di un sorriso, di due chiacchiere davanti a un caffè, di quella solidarietà minima, di prossimità, che deve partire da noi e che è l'unico modo e l'unica terapia per farci andare avanti in un mondo pieno di stronzi (e a suo modo anche il protagonista un poco lo è), soluzioni semplici, all'apparenza anche irrealistiche ma non di meno, con la giusta spinta di volontà, affatto impossibili da realizzare. Il microcosmo che fa da sfondo al dolore di Tony (Ricky Gervais) è composto da quelli che la società considera dei perdenti, degli strambi, dei falliti, degli emarginati o semplicemente dei deboli. È all'interno di questo contesto che Tony, devastato dagli eventi, si trova a dare e ricevere, elaborando gli stadi del lutto e riversando la rabbia e il dolore derivanti dalla perdita della moglie Lisa (Kerry Godliman) sul suo prossimo. Saranno i colleghi e amici del Tambury Gazette, il giornale free press per cui Tony lavora, a cercare di tirare fuori dal pantano emotivo e dai propositi di suicidio il neo vedovo; loro e il cane che Lisa gli ha lasciato saranno gli appigli per evitare un naufragio preannunciato, insieme al vecchio padre con l'alzheimer (David Bradley), all'infermiera Emma (Ashley Jensen) che del padre si prende cura e ad Anne (Penelope Wilton), una simpatica signora incontrata al cimitero che sta affrontando lo stesso lutto che ha colpito Tony.

After life alterna la comicità cinica e caustica di Ricky Gervais a momenti di grandissima commozione, è un percorso ciclico che affronta il tema del dolore sotto diversi punti di vista, è una serie che poteva esaurirsi in maniera perfetta e convincente con la prima stagione, le due annate successive sono ampliamenti del discorso, visioni laterali del tema che lo arricchiscono ma che inevitabilmente tendono anche un poco a ripetere; ciò non vuol dire assolutamente che il lavoro di Gervais non rimanga piacevole per tutta la sua durata, anzi, si nota però qualche sbavatura, qualche personaggio frettolosamente abbandonato (la stagista Sandy), qualche forzatura magari anche volontaria (Tony sembra diventare un novello Cupido), eppure ci si gode il viaggio fino alla fine. Nel descrivere il percorso del protagonista che non riuscirà mai, come è normale che sia, a dimenticare Lisa, ad andare avanti per davvero, sono diversi i momenti toccanti, il finale della seconda stagione ad esempio nel quale Emma assume il ruolo di vera salvatrice, straziante la scena del limone, quel cercare in un'altra persona quella sensibilità, quelle abitudini che chi così tanto ha contato per Tony riusciva a rendere uniche e a posteriori così importanti. Il messaggio di speranza finale, costruito su una chiusura quasi fiabesca con l'atmosfera della fiera del paese, non può che essere condivisibile, magari utopistico, capace però di farci sentire tutta la forza di quel che potremmo fare nelle nostre vite ma che diviene irrealizzabile in una società che vuole l'individuo un'isola pronta a gareggiare solinga contro tutte le altre, in una competizione per lo più atta a vincere ed elargire dolore e sofferenza. Molto divertenti, anche se spesso abbozzati, gli strambi personaggi di contorno come il postino Pat (come la classica serie inglese per bambini, interpretato da Joe Wilkinson), la prostituta, o meglio professionista del sesso, Daphne (Roisin Conaty), Matt (Tom Basden), il cognato di Tony che non può nemmeno dar sfogo al suo dolore per la perdita della sorella impegnato com'è a controllare che Tony non si suicidi da un momento all'altro, o ancora l'apparentemente spigliata Kath (Diane Morgan) che soffre di una solitudine schiacciante. Insieme agli "scoop" di cui Tony e il collega Lenny (Tony Way) si occupano, sono proprio tutti questi personaggi a offrire divagazioni sul tema della sofferenza fungendo sia da motori comici che da spunti per altre riflessioni sul dolore declinato in sfumature differenti, sulle inadeguatezze, sulle solitudini e sulla vita di chi non è così fortunato come in fondo lo è sempre stato Tony finché ha avuto Lisa.

Accompagnato da un'ottima selezione musicale (e fuori dal finestrino dell'auto tutta quella musica di merda con cui la gente ci tortura orecchie e cervello), After life ci regala momenti di altissima televisione, ci frange l'anima ma allo stesso tempo riempie il cuore, passa dalla volgarità più becera a momenti di pura illuminazione discostandosi dallo standard di altri prodotti offrendo una cifra stilistica originale, marchio del suo autore e probabilmente di pochi altri. Forse di nessuno.

2 commenti:

  1. Piacevole, ma non mi ha colpito. Mi è sembrato che nel provare ad essere provocatorio a tutti i costi, abbia sortito l'effetto opposto...

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    1. Io non conoscevo lo stile di Gervais e la prima stagione mi è piaciuta tantissimo, nelle due successive le cose si ripropongono un po' però la visione è sempre piacevole, nel complesso mi è piaciuta davvero parecchio.

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