mercoledì 16 febbraio 2022

A RIVER CALLED TITAS

(Titas Ekti Nadir Naam di Ritwik Ghatak, 1973)

La World Cinema Project è una fondazione voluta e creata da Martin Scorsese volta a rintracciare, restaurare, preservare e divulgare opere cinematografiche dimenticate provenienti dalle più svariate aree del mondo; attualmente, con i progetti in corso d'opera, dal 2007 a oggi la WCP ha recuperato circa una cinquantina di titoli altrimenti difficilmente visibili per gli spettatori promuovendone la diffusione, tra queste opere compare anche A river called Titas del regista Ritwik Ghatak ora disponibile nel catalogo di Raiplay. Il cinema di origine indiana, al quale A river called Titas appartiene, non è di certo tra i più diffusi qui in Italia; se esuliamo dall'esplosione di Bollywood legata a film con caratteristiche in qualche modo vicine al musical, ai numeri danzanti e al sapore esotico, il cinema proveniente dall'India è a noi pressoché sconosciuto, Ritwik Ghatak ne è stato uno dei maggiori esponenti insieme al più noto Satyajit Ray che citava proprio Ghatak come una delle maggiori influenze per i giovani registi nati con la generazione successiva alla loro. È un cinema molto diverso dai colori e dalla vivacità ai quali oggi colleghiamo istintivamente l'idea di Bollywood e del cinema indiano. A river called Titas è un film del '73 girato in bianco e nero che per temi e indole è più vicino alla nostra corrente neorealista, ovviamente con i dovuti distinguo derivanti dalla storia molto diversa dei due paesi d'origine. I temi sociali, i racconti della povera gente, le difficoltà morali e materiali di uomini e donne in condizioni di vita non sempre semplici, uniti allo sguardo sulla cultura dei luoghi, sulle tradizioni, sono la spina dorsale di questo film che si potrebbe definire fluviale, non solo per l'onnipresenza del fiume Titas, ma anche a causa della mole di personaggi ritratti e della lunghezza del film che supera le due ore e mezza di durata. Il lavoro della WCP ce lo restituisce in condizioni davvero ottime che esaltano la ricerca sulle inquadrature di Ritwik Ghatak.

Kishore (Prabir Mitra) è un giovane pescatore che vive in un villaggio di capanne lungo le rive del fiume Titas, in quel territorio che è oggi l'attuale Bangladesh. Insieme a un suo compagno Kishore parte per una battuta di pesca fermandosi poi per breve tempo in un altro villaggio. Qui, frettolosamente e quasi con l'inganno, Kishore si trova a sposare la giovane Rajar (Kabori Choudhury) sebbene al suo villaggio abbia già una donna con delle mire molto forti su di lui, Basanti (Rosi Samad). Nel ritorno verso casa la neo sposa viene rapita, solo anni dopo riuscirà a rintracciare il villaggio di quel marito di cui non sa praticamente nulla, arriverà al villaggio natale dell'uomo con un figlio di ormai dieci anni di nome Ananta (Shafikul Islam). Nel frattempo però Kishore ha perso il senno, sarà proprio Basanti a prendersi cura del ragazzo quando Rajar non potrà più farlo, ma gli uomini e il destino sono spesso cattivi, solo il fiume Titas continua a scorrere imperturbabile, almeno fino a un certo punto...

L'attenzione del regista Ritwik Ghatar è tutta focalizzata sulla povera gente e sulla vita che questo gruppo di pescatori indiani conduce sulle rive del fiume. La vicenda è corale, a quella dei protagonisti si incrociano le storie di altri personaggi; il regista si tiene lontano dalla facile agiografia della "povera gente", in fondo abbiamo sempre sentito il motto per cui la solidarietà sta di casa tra gli ultimi. Beh, non qui, a parte per quel che riguarda il buon cuore di Basanti, Ghatar dipinge una società molto chiusa in caste che ha la tendenza all'abbandono dei più sfortunati, la stessa madre di Basanti vorrebbe liberarsi di Ananta che, indifeso, viene dalla donna visto solamente come un peso, un'inutile bocca in più da sfamare. Non mancano quindi interessi contrastanti, piccole rivalità e meschinità in una realtà dove è necessario industriarsi per andare avanti, legati al fiume che indifferente scorre. Sotto il punto di vista estetico il WCP ha effettuato un gran lavoro di restauro che permette di ammirare le belle riprese di Ghatar, inquadrature tutte ben pensate, spesso fisse o quasi, alcune davvero molto attraenti con il bianco e nero luminoso a riprendere gli effetti di luce sull'acqua, alcuni passaggi più dinamici e ravvicinati sui volti a sottolineare qualche momento di tensione e conflitto, qualche scarto onirico. Purtroppo la narrazione mantiene una certa distanza dai personaggi, non c'è quell'empatia che i protagonisti potrebbero far nascere, la coralità in questo senso non aiuta e si ha sempre l'impressione di guardare dal di fuori, con distacco, una vicenda (o più vicende) alla quale si fatica ad appassionarsi, mettiamoci anche il fatto che a queste condizioni due ore e mezzo non passano proprio in un attimo e a un certo punto la fatica si fa sentire. Consigliato quindi? Dipende, per l'appassionato di cinema che guarda anche con una "fame" storica e di conoscenza senz'altro sì, altrimenti non è detto che l'esperienza si riveli soddisfacente a tutti, però, ogni tanto, può valere magari la pena investire un po' d'impegno in più in qualcosa di diverso. A voi la scelta.

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