(Le derniere métro di Francois Truffaut, 1980)
L'ultimo metrò riprende a sette anni di distanza i temi che Truffaut aveva già affrontato in maniera differente con Effetto notte, film nel quale venivano portate sotto i riflettori le vite dei membri di una troupe cinematografica impegnata a girare il film Vi presento Pamela, andando a creare un cortocircuito tra le vicende degli attori e delle maestranze con quelle dei protagonisti del film; Truffaut allo stesso modo con L'ultimo metrò racconta storie di teatro dove le esistenze degli interpreti si intersecano con quelle dei personaggi da loro portati in scena, a differenza di quanto fatto col film precedente immerge la sua storia nella Storia, con precisione nel contesto della Parigi occupata dai nazisti, una città in cui vige il coprifuoco e dove tutti vivono in maniera circospetta e per lo più al coperto e dove il teatro, i cinema, sono una delle poche consolazioni alle brutture del periodo storico contingente e dove l'ultimo metrò indica l'ultima possibilità di ritorno a casa prima del coprifuoco. Riconosciuto unanimemente come uno dei massimi capolavori di Truffaut, a mio parere, pur rimanendo un ottimo film e vantando una ricostruzione storica e d'ambiente molto accurata nonostante il rinchiudersi "in interno" dell'opera, L'ultimo metrò manca di quel pizzico di brio visto in altre opere del maestro francese, lo stesso Effetto notte per esempio, della spontanea sincerità autobiografica di film come I 400 colpi o anche solo della leggiadria di esiti come Non drammatizziamo... è solo questione di corna. Parliamo sempre di un bel film, da vedere di certo, ma non della massima espressione del cinema di Truffaut.Parigi, 1942. Lo sceneggiatore e direttore del teatro Montmartre Lucas Steiner (Heinz Bennent), di origini ebraiche, è costretto a simulare la sua fuga da Parigi per non essere fatto prigioniero dai nazisti, in realtà si nasconderà nei sotterranei del teatro accudito dalla moglie Marion (Catherine Deneuve) che diverrà la nuova direttrice del teatro; attrice molto stimata e donna dall'indubbia bellezza verrà ammirata anche dai tedeschi che ignorano le mosse messe in atto dalla donna per coprire il marito. Intanto al Montmartre si mette in scena un dramma di una scrittrice scandinava, per la parte maschile Marion sceglierà il giovane talento di Bernard Granger (Gérard Depardieu), attore molto apprezzato per i suoi precedenti lavori. In realtà, oltre a essere un ottimo attore, Granger odia fermamente i nazisti e in segreto si adopera attivamente per aiutare i giovani della resistenza francese. Dalle cantine del teatro, dalle quali si sente ciò che accade sul palco, Steiner continua a fare il suo mestiere dando delle dritte alla moglie al termine di ogni replica in modo da far sì che la rappresentazione sia sempre un maggior successo. Attorno ai protagonisti principali le vicende di altri personaggi: la costumista Arlette (Andréa Ferréol), il regista Jean-Loup Cottins (Jean Poiret), il critico d'arte filonazista Daxiat (Jean-Louis Richard), il custode e tuttofare Raymond Boursier (Maurice Risch), l'attrice Nadine Marsac (Sabine Haudepin).
L'ultimo metrò avrebbe dovuto essere il secondo episodio di un'ideale trilogia sull'arte, dopo Effetto notte e a precedere un terzo film mai realizzato. Truffaut confeziona un film dove la rappresentazione, l'arte del narrare, è vista come una possibile via di salvezza in una situazione tragica, sia a livello metaforico, come sollievo mentale per la gente afflitta dalla guerra, sia come salvezza vera e propria, il teatro come rifugio per Steiner, come passione ma anche copertura per Bernard, come dissimulazione per Marion, costretta a rifiutare attori ebrei per mantenere le apparenze e allo stesso tempo proteggere il marito anch'egli ebreo. Non mancano le divagazioni amorose sempre presenti nel cinema di Truffaut, qui meno ironiche e un pizzico più seriose dato il contesto; l'ultima scena, che non anticipiamo, rinforza quella connessione già esplorata dal regista tra finzione e realtà. Girato quasi tutto in interni, qualche escursione nei pressi del teatro, L'ultimo metrò offre un'ottima ricostruzione d'epoca, con le persone al chiuso, timorose, poco propense a mostrarsi in piena luce, belli gli abiti così come tutte quelle accortezze attribuite ai personaggi per stratificare il momento storico: la ragazza ebrea che va agli spettacoli nascondendo la sua origine, Bernard e la resistenza, Boursier che fa da tramite con il mercato nero, Marion che si arrangia per ciò che non si può più trovare facilmente (le calze), Nadine che anche lei dissimula e che è costretta ad accettare qualsiasi tipo di lavoro per tirare a campare. Una ricostruzione con tutti i particolari al posto giusto, Depardieu e Deneuve splendidi, è nel complesso però che manca quel pizzico di coinvolgimento in più, quel ritmo, quel brio che avrebbero potuto garantire a L'ultimo metrò il vero status di capolavoro, cosa che molta critica in effetti gli attribuisce ma che a mio modestissimo parere tende al generoso.
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