lunedì 2 settembre 2024

FRINGE

(di J. J. Abrams, Alex Kurtzman e Roberto Orci, 2018/2013)

Fringe arriva sugli schermi televisivi quando Lost iniziava la sua corsa conclusiva con la messa in onda della penultima stagione; i due serial presentano diversi punti di contatto il più importante dei quali è l'avere in comune uno degli ideatori, quel J. J. Abrams che, insieme ad altri, è diventato uno dei simboli della rinascita della serialità televisiva negli anni duemila, riuscendo a portare sul piccolo schermo proposte qualitative e innovative dando vigore e importanza a una narrazione orizzontale capace, come capitato per Lost, di incollare milioni di persone alle proprie poltrone e divani in un'epoca in cui per guardarti la nuova puntata del tuo serial preferito dovevi aspettare una settimana: niente piattaforme, niente binge watching, solo tanta passione e moltissima pazienza. Che tempi quando dopo un cliffangher pazzesco partivano i titoli di coda e fino alla settima successiva (o all'anno successivo se si era in finale di stagione) te ne dovevi star lì appeso e pazientare, pregustare, fomentare l'hype. In questo Lost è stata un'esperienza illuminante, una vera e propria storia d'amore che nemmeno il finale un po' così è riuscito a intaccare nel ricordo; è probabile che in molti all'epoca riposero in Fringe le speranze di un'esperienza di visione totalizzante come fu quella con il più noto predecessore. Sembra però che non per tutti sia andata proprio così, sia tra gli spettatori della prima ora sia tra chi, come chi scrive, ha effettuato il recupero proprio grazie alle moderne piattaforme solo in tempi recenti, magari con la speranza di ritrovare quella scintilla che J. J. seppe accendere così bene anni addietro.

Anche con Fringe siamo nel campo della narrazione fantastica: se in Lost l'aspetto che scardinava le regole della realtà per come la conosciamo verteva su una base più filosofica o metafisica, l'approccio di Fringe all'inspiegabile si muove in direzione delle pseudoscienze qui declinate nella maniera più fantasiosa possibile ma sviluppate da Abrams e soci in modo che queste mantengano sempre un'aura di credibilità nel rispetto delle basi tracciate per la costruzione di questo nuovo mondo (di questi nuovi mondi) finzionale/i. La serie inizia con gli agenti dell'F.B.I. Olivia Dunham (Anna Torv) e John Scott (Mark Valley) coinvolti nell'indagine di un caso singolare, quello su un volo di linea (non l'815 della Oceanic) atterrato a Boston con tutti i passeggeri in stato di decomposizione. Lo sviluppo di questa situazione inspiegabile porterà la Dunham a richiedere l'aiuto del dottor Walter Bishop (John Noble), esperto in scienze fuori dal comune; l'uomo è però ricoverato in una clinica psichiatrica dato il suo stato mentale non del tutto lucido. Per avere il permesso di far uscire il paziente/dottore Olivia rintraccerà il figlio Peter (Joshua Jackson), altra mente brillante al momento impegnata in affarucci poco puliti in Iraq. Vista l'ottima prestazione investigativa della Dunham e dei due Bishop, padre e figlio, l'agente dell'F.B.I. Phillip Broyles (Lance Reddick) proporrà ai tre l'inserimento nella Sezione Fringe, un ramo occulto del Bureau nato proprio per indagare su casi che non trovano spiegazione nel razionale, una tipologia di eventi in costante aumento negli ultimi anni, almeno nella realtà che nella prima stagione il serial Fringe inizia a illustrarci.

Dopo l'innovazione portata da Lost, la nuova serie di Abrams si prefigge di fare un piccolo passo indietro per abbracciare una narrazione dove gli episodi (troppi se rivisti oggi) volevano essere, almeno in parte, meno concatenati alla trama orizzontale per risultare più fruibili anche per lo spettatore che non riusciva a star dietro a ogni singola messa in onda. Il parallelo che viene più naturale fare, anche se scontato, per temi e impostazione è quello con il seminale X-Files che vide protagonisti gli ormai storici Mulder (David Duchovny) e Scully (Gillian Anderson). Questo per diverse ovvie ragioni. La prima è la propensione al fantastico che si concentra in Fringe, dalle battute finali della prima stagione, verso una teoria degli universi paralleli con la possibilità di alcuni punti di contatto tra loro laddove invece per X-Files imperava la presenza di vita extraterrestre (I want to believe) e il complotto governativo per tenerla nascosta. La seconda è proprio la struttura della narrazione che richiama da vicino quella di X-Files con l'alternarsi di episodi più centrati sulla trama degli universi paralleli ad altri invece più slegati rispetto al tema principale ma sempre ben inseriti nelle coordinate fantastiche pensate per lo show. La terza è la creazione graduale di quel rapporto d'attrazione tra la Dunham e Bishop che in effetti, come accadeva in maniera molto più trattenuta e quindi più efficace tra Mulder e Scully, regala alcuni tra i momenti migliori della serie che rivaleggiano con quelli, ancor più intensi, che sviluppano un rapporto padre/figlio per forza di cose complesso tra i due Bishop (momenti di alta commozione sul finale). Nella parte iniziale della corsa durata cinque stagioni (100 episodi) Fringe si muove molto bene solleticando su più fronti la curiosità dello spettatore: i personaggi sono ben scritti e interpretati molto bene soprattutto dalla Torv e da un John Noble che a dispetto di un volto apparentemente granitico e scolpito nella pietra gode di una gamma espressiva efficacissima e variegata, capace a più riprese di farci commuovere con facilità, il suo personaggio è inoltre dotato di una comicità non cercata che si rivela essere in molte occasioni irresistibile. Gli indizi sui casi inusuali si affastellano uno sull'altro a partire già dalla creazione della sigla conflagrano in un finale di prima stagione notevole. I problemi iniziano a venir fuori con il passare delle stagioni e con quell'abitudine al tempo ancora abusata di inanellare più di venti episodi l'anno, cosa che, soprattutto in relazione alle abitudini di visione e produzione odierne, rischiano di fiaccare la tenuta dello show e la pazienza degli spettatori. Diversi episodi non riescono a mantenere i sufficienti livelli di interesse anche se nella struttura gli scarti di trama e situazioni non mancano. Nelle ultime stagioni il progetto globale sembra perdere un poco la strada e andare fuori fuoco soprattutto nella gestione del personaggio di Peter dal quale ci si aspettavano cose diverse e un ruolo più da deus ex machina o quantomeno da nodo focale, cosa che si è poi rivelata fallace (in maniera non positiva). Alla fine per arrivare a termine della quinta stagione si arranca un poco; spesso si sottovaluta, soprattutto nelle serie, il grande potere della brevità; le lungaggini, quando non utili allo sviluppo di trama e personaggi, raramente ripagano. Un po' un peccato perché l'iconografia legata allo show (la mano con sei dita, il fiore con l'ala d'insetto al posto del petalo, la mela con i feti al posto dei semi, etc...) e la gestione di universi multipli e personaggi doppi è molto intrigante e per diverso tempo ha funzionato molto bene; rimane un poco l'impressione che si sia buttata via l'occasione di creare qualcosa di realmente riuscito. Magari in un altro universo J. J....

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