martedì 9 dicembre 2025

OTTOBRE

(Oktjabr di Sergej Michajlovič Ėjzenštejn, 1928)

Si scrive Sergej Michajlovič Ėjzenštejn ma si legge “montaggio”. Questo, ovviamente, per semplificare l’introduzione a una “visione” di cinema che semplice non è per nulla, quella di uno dei cineasti più innovativi della sua epoca e dell’intera storia del cinema. Ottobre è un lavoro che Ėjzenštejn realizza su commissione in occasione del decimo anniversario della Rivoluzione d’ottobre con la quale i bolscevichi di Lenin presero il Palazzo d’Inverno e il potere destituendo il borghese Governo Provvisorio retto da  Aleksandr Fëdorovič Kerenskij, a sua volta instauratosi dopo la caduta dello Zar Nicola II. Ottobre è una sorta di cronaca degli eventi dell’ultima fase della Rivoluzione Russa che il regista originario di Riga (e grande amante del cinema americano) decide di realizzare infondendo all’opera uno stile non sempre immediato ma che portasse lo spettatore non solo alla fruizione passiva di un’opera documento ma a una riflessione attiva capace di muovere e far nascere idee e sentimenti per associazione intellettuale. È quello che poi la Storia (del cinema) ha identificato appunto come “montaggio intellettuale”. L’operazione, seppur riuscita e consegnata alla Storia, non fu ben accolta dai vertici di partito che accusarono l’operazione di eccessivo sperimentalismo, troppo poco chiaro per assolvere a una funzione che si voleva come propagandistica e illustrativa. Infatti non c’è retorica in Ottobre, non c’è la possibilità nello spettatore di identificarsi con i protagonisti e con dei personaggi (qui completamente assenti); ci sono solo i concetti, le idee e le masse, scelte anche vicine all’ideologia del luogo e del momento ma forse all’epoca non troppo semplici da cogliere in un lavoro cinematografico.

Ottobre ricostruisce gli avvenimenti che, nel 1917, portarono alla caduta del Governo Provvisorio russo e all’ascesa al potere dei bolscevichi, in un clima per il popolo di disagio sociale crescente, con le classi proletarie letteralmente consegnate alla fame. A partire dalla caduta dello zar e mostrando come, nel corso dei mesi, si intensifichino le tensioni tra le diverse forze che cercano di controllare il paese, Ėjzenštejn ci mostra le giornate segnate dalle manifestazioni contro il governo, dalle decisioni contrastate sul corso della guerra e dalle ripetute dimostrazioni di sfiducia nei confronti di Kerenskij, mentre i bolscevichi rafforzano la propria posizione all’interno dei soviet e organizzano il passaggio all’insurrezione, coordinando comitati militari e sostenitori nelle varie aree della capitale. La narrazione segue poi la fase in cui il Governo Provvisorio tenta di difendere la propria sede e di mobilitare truppe fedeli, senza però riuscire a fermare l’avanzata degli insorti, che si preparano a prendere i centri strategici della città, fra cui le strutture di comunicazione e i punti di comando; la vicenda culmina nelle ore in cui i bolscevichi completano l’operazione contro il Palazzo d’Inverno, costringendo i ministri alla resa e proclamando la fine del governo esistente, aprendo così la fase in cui il nuovo potere rivoluzionario assume il controllo delle istituzioni statali.

Pur dinnanzi a un lavoro su commissione di Stato, Ėjzenštejn rifiuta la possibilità di realizzare il compitino schematico e didascalico verso il quale sarebbe facile indirizzarsi nel creare un’opera che se non proprio propagandistica si vorrebbe almeno apologetica dell’evento storico qui narrato. Invece il regista russo, pur non mancando di offrire una cronaca dell’evento, decide di sperimentare accostando ad alcuni elementi chiave del suo film e ad alcuni fotogrammi in particolare, immagini non diegetiche, avulse dal contesto del narrato, che però caricano di significato simbolico, spesso in maniera ironica, ciò che lo spettatore sta guardando sullo schermo. Così dopo la figura di un impettito Kerenski, Ėjzenštejn giustappone l’immagine di una statua di un altrettanto impettito Napoleone, in un’altra occasione sempre Kerenski è assimilato all’immagine di un pavone che fa la ruota. Il proclama borghese di “Dio e Patria” viene reso visivamente da una lunga sequenza degli idoli più vari, dal Buddha alle statuine di idoli primitivi, e da mostrine e gradi militari per quel che riguarda la Patria. È solo uno degli esempi che mettono in luce l’uso di quel linguaggio intellettuale che diversi problemi provocò al regista. Inoltre Ėjzenštejn rifiuta l’uso del personaggio; anche alcune delle figure chiave come Stalin o lo stesso Kerenski non hanno qui nessun approfondimento psicologico né umano, sono simboli di un’ideologia, di una fazione, non veniamo a sapere nulla qui di Stalin né di Kerenski, così come tutte le altre comparse del film non sono personaggi, sono la folla, la massa, il popolo, sono concetti non quantificabili, sono tipi, categorie, sono gli operai, i contadini. Nessun filmato d’archivio viene utilizzato per la ricostruzione che non lesina scene anche di un certo impatto visivo (celebre quella del cavallo appeso al ponte). Quella che poteva essere una facile compilazione diventa in mano ad Ėjzenštejn uno dei tasselli studiati ancora oggi per capire le potenzialità del cinema. Certo, dismessi i panni dello studioso o dell’appassionato di Storia del cinema, oggi la visione di un film come Ottobre può apparire difficoltosa, ma questa è più una questione di abitudine e di predisposizione a un tipo di cinema che non consola né intrattiene, e che proprio per questo continua a dirci qualcosa, persino quando sembra parlare da un momento storico ormai molto lontano.

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