(M – Eine Stadt sucht einen Mörder, di Fritz Lang 1931)
Da diverse settimane, come avranno notato i lettori più attenti, abbiamo iniziato un viaggio all’interno della Storia del cinema rispolverando pellicole che, per un motivo o per l’altro, hanno lasciato un segno indelebile nel percorso che la Settima arte, anno dopo anno, ha tracciato per arrivare fino ai giorni nostri. Tra gli ultimi anni dei Venti del secolo scorso e i primi anni Trenta dello stesso, avviene in maniera graduale ma abbastanza rapida il passaggio dal cinema muto a quello sonoro, innovazione rivoluzionaria per un’arte giovane nata poco più di una trentina d’anni prima. I primi tentativi di registrare il suono direttamente su pellicola, in modo da garantire una perfetta sincronia tra le tracce audio e video, vengono effettuati già nella prima metà degli anni Venti, grazie al sistema Phonofilm di Lee De Forest che ebbe però poco successo a causa della volontà d’indipendenza del suo creatore. Negli anni successivi i sistemi della Western Electric (Vitaphone), con audio registrato su disco che comportava maggiori problemi di sincronizzazione, e quello Movietone adottato dalla Fox (traccia audio su pellicola), permisero una più ampia diffusione dei film sonori, che già a partire dal 1932, tranne rare eccezioni, sostituirono in pratica il cinema muto che andò gradualmente a scomparire. È in questo contesto che Fritz Lang realizza il suo primo film sonoro, una pellicola che proprio per l’uso magistrale della nuova tecnologia viene consegnata alla Storia del cinema da un regista che lavora molto bene anche con la gestione della tensione e con lo scavo psicologico del suo protagonista principale. La storia si ispira ai delitti avvenuti nella città di Düsseldorf; in realtà il film è ambientato a Berlino ed è solo la traduzione italiana del titolo che allude alla città di Düsseldorf, non presente nella versione originale.Tra le strade di Berlino si aggira un assassino (Peter Lorre) che prende di mira giovani bambine, abusando di loro e uccidendole. Quando giunge l’ora dell’uscita da scuola delle fanciulle, la signora Beckmann (Ellen Widmann) attende con un poco di ansia il ritorno a casa della piccola Elsie (Inge Landgut). Purtroppo questa si imbatte proprio nel mostro, il quale, con le lusinghe di un regalo, di un palloncino, riesce a guadagnarsi la fiducia della bambina che ovviamente non farà più ritorno a casa. Di fronte all’ennesima tragedia l’opinione pubblica mette in croce le forze di polizia che, sotto una grande pressione, mettono a soqquadro il mondo della malavita per ottenere indizi e informazioni sull’assassino. Infastiditi e danneggiati dalle continue ingerenze della polizia, gli esponenti della malavita si coalizzano per mettere per primi le mani sul mostro, in modo da poter riprendere le loro attività illegali senza il continuo fiato sul collo di commissari e agenti di polizia. Saranno proprio loro a dar vita a una sorta di processo sommario nei confronti di Hans Beckert, l’uomo che verrà identificato come M – Il mostro.
Sono diversi gli aspetti per cui M – Il mostro di Düsseldorf ha lasciato il segno nella Storia del cinema, il più significativo dei quali è proprio il geniale uso del sonoro agli albori di questa nuova tecnologia. Il sonoro è nato veramente da pochissimo, e Fritz Lang riesce a usarlo come chiave di volta all’interno di un film che presenta anche alcuni elementi del thriller. È proprio grazie a un motivetto fischiato dal protagonista che l’assassino verrà riconosciuto da un venditore di palloncini cieco (altro tocco di genio). Altro segno di stile fondamentale è l’uso del suono nel fuoricampo; con i rumori, gli effetti sonori, Lang anticipa ciò che sta per succedere in scena (i rumori del traffico, la filastrocca cantata dalle bambine), cose che oggi possono sembrarci scontate, ma che all’epoca erano chiara dimostrazione di un autore moderno capace di avvalersi al meglio delle novità che gli offrivano le nuove tecnologie. Passando dal suono all’immagine, Lang attinge soluzioni visive dall’espressionismo tedesco (l’ombra per la prima apparizione di M, inquadrature dal basso) unendo così la potenza visiva del cinema muto alle potenzialità del sonoro. Ricorre inoltre all’utilizzo del simbolismo con la sequenza della palla abbandonata in un campo (la bimba non c’è più), con il palloncino che vola via (Elsie è volata in cielo), la faccia del mostro incorniciata dalle lame nella vetrina del negozio. Dal punto di vista dei contenuti c’è un’interessante giustapposizione tra polizia e criminali che porta a una riflessione sulla relatività della giustizia, rafforzata dalle reazioni impulsive del popolo della strada in cerca di un facile colpevole. Non da ultimo, infine, l’approfondimento sulle motivazioni del mostro esplicitate dalla “tirata teatrale” di un ottimo Peter Lorre sul finale. Come è facile capire, sono quindi molti i motivi per cui, giustamente, M – Il mostro di Düsseldorf è considerato tra le tappe fondamentali del dipanarsi della Storia della settima arte.




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