giovedì 22 novembre 2012

LA FORTEZZA DELLA SOLITUDINE

(The fortress of solitude di Jonathan Lethem, 2003)

Quest'anno ho letto poco, almeno per quel che riguarda i libri. Al momento siamo fermi a una decina di romanzi con la fievole speranza di arrivare almeno a toccare la dozzina come l'anno scorso prima dell'avverarsi della profezia dei Maya. In compenso molti fumetti, riviste, etc...

Il rapporto con il libro mi manca molto, ci ho pensato un po' e questa flessione nelle letture credo sia ascrivibile alla stanchezza, non solo fisica ma soprattutto a quella mentale. Spero in un'inversione di tendenza, segno magari anche di ritrovata brillantezza e leggerezza, cosa che purtroppo reputo al momento poco probabile.

Nonostante l'esiguo numero di letture non sono mancate le opere meritevoli tra le quali senza dubbio spicca La fortezza della solitudine di Jonathan Lethem. Un libro che non poteva non attirarmi, c'è New York (Brooklyn nello specifico), ci sono gli anni '70, ci sono i fumetti, c'è la musica, c'è la strada e c'è l'infanzia. Ci sono anche la solitudine, la crescita, l'abbandono, il tradimento, l'amicizia, l'umiliazione, la dipendenza, l'appartenenza e tanto altro. C'è tutto o forse non c'è niente perché la cosa che manca quasi totalmente è la più importante di tutte.

Siamo nella prima metà degli anni '70, Brooklyn è un quartiere popolato interamente da neri. In questo scenario vanno ad abitare Rachel e Abraham Ebdus con il figlio Dylan, in una casa a due piani in Dean street, all'altezza di Nevins street, l'isolato che diventerà il micromondo di Dylan, unico bambino bianco della zona. Non è facile la vita per il ragazzino, un diverso con genitori hippie assenti, diversi ma accomunati nella mancanza. Una madre con una grande voglia di vita che gli impedisce di curarsi a dovere del suo unico figlio, un padre perso completamente nel suo percorso artistico, la creazione di un interminabile film dipinto che (non) prende corpo fotogramma dopo fotogramma.

A Dylan non rimangono che la strada e pochi timidi tentativi di inserimento, questo, come dice lo stesso Lethem, prima di Mingus Rude di Robert Woolfolk e di Play that funky music white boy. Quando arrivano nel quartiere Barret Rude Junior, famoso cantante dei Subtle Distinctions, e suo figlio Mingus le cose per Dylan cambiano. Il quasi coetaneo che sembra non far caso al colore della pelle del suo amico D-man introduce Dylan a mondi diversi, alle colorate tavole dei fumetti Marvel prima e alla cultura dei Tag poi, le scritte sui muri ad opera delle bande di writers. Ma Mingus non è sempre presente e toccherà al ragazzo bianco affrontare le avversità e le umiliazioni che il quartiere e l'età gli presenteranno.

Che cos'è questa Fortezza della solitudine oltre che un chiaro omaggio alle storie di Superman, il primo supereroe? Il quartiere dove la solitudine di un bianco affonda in un mare di nero? Il secondo piano della casa di Dylan dove il padre Abraham si rifugia costantemente? L'animo di un bambino di fronte all'incapacità di rapportarglisi dei due genitori? Probabilmente tutte queste cose insieme e altre ancora.

Forse la solitudine di Aaron X. Doily, il detentore dell'anello.

Le esperienze dell'infanzia a Brooklyn lasceranno segni profondi in Dylan, in Mingus, in Barrett, in Robert e negli altri personaggi che incrociano la storia dei protagonisti. Le conseguenze di questi segni vengono svelate dall'autore nella seconda parte del romanzo, ci si sposta negli anni '90 lontano da Brooklyn. Il quartiere è alle spalle di Dylan ormai, ma solo fisicamente. La testa è sempre lì, in Dean street, sulla Nevins, in Pacific street, alla Public School 38 e a Play that funky music white boy.

I libri con protagonisti bambini hanno un fascino particolare, il fascino amaro della crescita, Lethem orchestra uno di quei romanzi che colpiscono a fondo e ti lasciano qualcosa a sedimentare. Impossibile in poche righe scrivere tutto quello che c'è dentro. Anche se le vite di ognuno di noi non sono state come quelle di Dylan Ebdus qualcosa di quel passaggio ce lo portiamo tutti dentro.

Jonathan Lethem

8 commenti:

  1. non conoscevo questo libro... potrebbe essere interessante, sopratutto alla luce del fatto che non è una delle letture a cui solitamente mi approccio

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    1. Buttati, se ti piace la buona letteratura non te ne pentirai.

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  2. Bravo, Dario. Questo libro di Lethem è uno dei pochi che non ho ancora letto. E questa recensione mi serviva proprio.
    In questo romanzo, ho letto, sono parecchi i rimandi e le citazioni al fumetto Omega the Unknown di Steve Gerber, che Lethem stesso ha riscritto per la Marvel in una bellissima miniserie (tempo fa ne avevo parlato qui). E in questi giorni sto finendo di leggere anche la raccolta dell'Omega originale.

    E mi fa piacere aver appurato che l'edizione del Saggiatore, costa 10 eurini e non più 15 come quella di Tropea :)

    Grazie per la segnalazione.

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    1. Ciao Luigi, per me invece è esattamente il contrario. Di Lethem ho letto solo questo e vorrei leggere altro, cosa mi consigli?

      I rimandi a Omega ci sono anche se non sono poi molti. Almeno quelli espliciti, potrei aver perso dei riferiimenti occulti in quanto non conosco il fumetto, ne l'originale ne la versione di Lethem.

      Il libro però merita tantissimo a mio parere, recuperalo tranquillamente :)

      Aspetto i consigli.

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    2. Di Lethem mi mancava proprio La Fortezza della Solitudine e Chronic City. Come romanzi ho letto Amnesia Moon e da qualche parte in libreria devo avere anche Testadipazzo. Ma quelle che mi sono rimaste impresse, sono soprattutto le sue raccolte di racconti. L'inferno Comincia nel Giardino è assolutamente da leggere, così come Men and Cartoons.

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  3. Io sono contentissima che quest'anno tu abbia letto pochissimo, così non ho troppo da recuperare (Maya permettendo, sennò pazienza). Leggi sempre storie di una vita che lasciano il segno nel lettore, storie di una vita che lascia il segno nel protagonista, ed io non vedo l'ora di immedesimarmi in ognuno di loro ;)
    Poi boh, visto come scrivi, vorrei capire cosa intendi per "stanchezza mentale" e sopratutto sarei curiosa di vedere come scrivi quando non sei stanco!

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    1. Non capita quasi mai che io non sia stanco quindi non darti pensiero :)

      In realtà leggo anche molte cose che non lasciano segni così profondi, come capita un po' a tutti. Diciamo che di libri che davvero ti danno qualcosa e che entrano nella lista delle grandi letture ne capiteranno un paio l'anno, magari tre, dai.

      Quindi il recupero è possibile :) Comunque ti ringrazio tantissimo.

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