martedì 29 gennaio 2019

IL RACCONTO DEI RACCONTI

(di Matteo Garrone, 2015)

Usando una versione lievemente imbastardita di un ossimoro, potremmo affermare che Il racconto dei racconti è un film meravigliosamente noioso. Durante la visione dell'opera di Matteo Garrone mi sono annoiato a più riprese e allo stesso tempo sono contento d'aver visto il film, e ancor di più provo un grande piacere nel pensare che un film come questo Garrone abbia avuto il coraggio di realizzarlo e l'abbia girato qui in Italia. Non sono pazzo, questo lo dico giusto per tranquillizzarvi, almeno non credo di esserlo e in ogni caso, che lo sia o meno, nessuno ha ancora diagnosticato la mia pazzia, quindi fino a prova contraria mi avvalgo della facoltà di credere di esser sano. Sono fermamente convinto che, appurato il ristagnare nel campo della commedi(ol)a nel quale il Cinema italiano è ormai da anni impantanato, tutti i tentativi di creare qualcosa di diverso, di osare ed esplorare generi differenti, vadano lodati se non in alcuni casi addirittura santificati. Sotto questo punto di vista con Il racconto dei racconti Matteo Garrone crea una vera meraviglia, un film che lascia a bocca aperta per il dispiego di energie messe in campo. Si parte dall'adattamento per immagini di tre brevi novelle, delle fiabe in realtà, che affondano nella tradizione popolare, popolana ancor meglio, fiabe tratte da Lo cunto de li cunti, opera del campano Giambattista Basile che negli anni 30 del '600 imbastisce un opera simile al Decamerone di Boccaccio, una raccolta di novelle dal sapore fantastico al quale Garrone guarda per il suo film. Ne esce una sorta di fantasy nostrano che regge benissimo la concorrenza di prodotti internazionali in virtù dell'ottimo lavoro svolto dai comparti tecnici e grazie a un cast di prim'ordine che dispiega fior di attori provenienti da diverse nazioni.


Assistiamo a tre storie amalgamate in un'unica narrazione nella quale i protagonisti dei tre sviluppi si lambiscono solo accidentalmente senza mai influenzare le vicende l'uno degli altri. Tre regnanti, tre regni, una serie di location maestose, fiabesche, selezioni di un territorio italiano spaventosamente bello, castelli all'apparenza inespugnabili, dimore incantevoli, borghi pittoreschi, natura selvaggia e incontaminata, un Paese ritratto nei suoi tratti più meravigliosi, messo completamente al servizio della narrazione e che crea un proscenio naturale sul quale muovere i personaggi diventa oltremodo facile. E che personaggi, signori, vien da dire! Il cast messo in scena da Garrone è stellare: nel regno di Selvascura i regnanti sono la Regina Salma Hayek e il Re John C. Reilly, coppia che non riesce a procreare e che darà frutto solo grazie all'intervento di un negromante e a un grandissimo sacrificio. In seguito al sortilegio attuato per dare un erede alla Regina, le gravidanze saranno due, quella reale e quella di una popolana, due figli identici e albini (Christian e Jordan Lees) che diverranno inseparabili a dispetto del parere contrario della Regina. Il Re di Roccaforte, un viscido Vincent Cassel, invece è un lussurioso perdigiorno che in testa ha una cosa sola (e all'epoca non c'era il calcio e non c'erano le auto); innamoratosi di una donzella dalla voce angelica cade in un tragico errore, la donna è in realtà una vecchia megera che farà di tutto per protrarre la conveniente situazione. Ad Altomonte il regnante Toby Jones (tanto di cappello) tenta con diversi mezzucci di tenere legata a sé la figlia Viola (Bebe Cave), fanciulla che si avvicina a grandi passi all'età da marito, distratto dall'arrivo di una pulce gigante perderà di vista l'interesse per la figlia mettendo il frutto dei suoi stessi lombi in serio pericolo. Ma le donne, si sa, hanno una marcia in più.


I costumi di Parrini sono lussuosi, calzano alla perfezione agli attori e al racconto, la regia di Garrone ci restituisce immagini deliziose, le musiche di Alexandre Desplat sono quanto di più indovinato si potesse scegliere per questo film, le scenografie di Capuani incontestabili, il comparto attoriale nostrano è garantito dai circensi interpretati da Massimo Ceccherini e Alba Rohrwacher, la fotografia di Peter Suschitzky illumina tutto alla perfezione. Il racconto dei racconti è un'opera magniloquente, indiscutibile, che è riuscita a tediarmi non poco. Ma nulla è rimproverabile a Garrone o al film, tutto deriva da una mia personale idiosincrasia per ciò che è fiabesco o fantasy, per un tipo di racconto popolare che semplicemente non tocca le mie corde. In fondo il film non mi è piaciuto un granché ma pazienza, ben vengano film come questo, autori coraggiosi capaci di portarci fuori dalla provincia, lontano dalle dispute dialettali, dai tradimenti, dai quarantenni persi e immaturi, dalle seghe mentali sui cellulari, dalle tette e dai culi in vacanza al mare. Non mi è piaciuto, ma in qualche modo lo ho amato.

8 commenti:

  1. Anche secondo me rappresenta un modo coraggioso per fare cinema italiano, pescando dal folklore locale, però allontanandosi dai soliti schemi del nostro cinema, basta dire che questo film ha degli effetti speciali, e sono anche ben fatti! Una rarità assoluta in uno strambo Paese a forma di scarpa. Poi è soggettivo, credo che questo sia l’unico film di Garrone che non mi ha annoiato nemmeno un minuto, anche se lo ammetto, sono molto (ma molto!) preoccupato per il suo Pinocchio. Cheers!

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    1. Di Garrone ho visto questo e Gomorra e ho preferito decisamente il secondo, sarà forse per le mie origini partenopea. Per questo film tanto di cappello, mi inchino davanti a Garrone, semplicemente non è il mio film.

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  2. Non è piaciuto molto nemmeno a me, dopo l'entusiasmo iniziale per un fantasy all'italiana.
    Troppo lungo e pesante (anche come temi e immagini: una bambina è stata portata fuori dal cinema dai genitori al momento della scena del post-orgia con Vincent Cassel) per essere un film di intrattenimento, troppo popolare il soggetto per farne un film d'autore.

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    1. Non un film per bimbi, per gli adulti che amano questo genere di narrazione la cornice e la forma sono indubbiamente di livello.

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  3. Concordo sulla tua affermazione iniziale, anche se poi alla fine amare questo film personalmente è troppo ;)

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    1. La parola "amato" l'ho usata in senso lato, l'ho amato per il coraggio, per l'esempio che film come questo possono dare, per la spinta al nostro Cinema... poi il film in sé non incontra troppo i miei gusti, ciò non toglie che io lo trovi riuscito e importante, lo dobbiamo amare per forza!

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  4. Io ho apprezzato il film, sopratutto per il tema molto originale per una produzione italiana, ma come dici tu ha un ritmo decisamente lento che può non piacere.

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    1. Ciao Long John, benvenuto :) Guarda, più che il ritmo che per me raramente è un problema (ho visto cose decisamente più lente), diciamo che è proprio il genere di storia, il tipo di narrazione che mi prende poco. Ma questo è gusto personale che nulla toglie a un film realizzato ottimamente. Ben vengano opere come questa che magari smuovono le acque e aprono porte anche in Italia, così da poter andare su tutti i generi, inevitabilmente poi qualcosa di valido che piacerà anche a me verrà fuori sicuramente :)

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