(di Ermanno Olmi, 1961)
Con colpevole ritardo approccio il cinema di Ermanno Olmi non privo di un certo timore, afflitto da un pregiudizio di pesantezza da me legato aprioristicamente all'opera del regista, convinzione maturata chissà per quali motivi, poi negli anni magari è mancata l'occasione, gli stimoli sono sempre molti e così, per una ragione o per l'altra, non ci si è mai incontrati. Vista la disponibilità sul catalogo di Prime Video decido di partire proprio da qui, quasi dagli albori, dal secondo lungometraggio del regista bergamasco datato 1961, in realtà il primo che trova ampio riscontro e quello che lancia la carriera di Olmi grazie al Premio della Critica alla Mostra del Cinema di Venezia. Il posto è un film che coglie il cambiamento dei tempi e predice quello che sarà il tristo destino per milioni di italiani usciti dal secondo dopoguerra e dalle gravi difficoltà caratterizzate da quella miseria così ben raccontata e messa in scena nel periodo del neorealismo; con il decennio dei 60 siamo nel pieno del boom economico, i giovani lasciano le campagne e ambiscono a posti di lavoro sicuri, duraturi, non solo quelli delle fabbriche, si coltiva ora per i propri figli il sogno di una carriera pulita, impiegatizia, lontana dall'aratro e chiusa all'interno delle quattro mura di qualche prestigioso edificio cittadino. E da qui prende il via la storia minima del nostro Domenico Cantoni.I Cantoni sono una famiglia di Meda, comune a nord di Milano, vivono in una vecchia cascina che ormai ha perso la sua funzione, i suoi abitanti hanno iniziato la vita di pendolari, il padre è operaio in città, Domenico (Sandro Panseri) è in cerca del primo impiego e per il relativo colloquio si reca a Milano, il fratello più giovane studia ancora, la mamma lavora in casa. Domenico è spinto dalla famiglia verso l'idea del posto fisso, quello che ti sistema per tutta la vita: tutto è nuovo, la realtà contingente, la città, le grandi aziende; Domenico segue la corrente e il consiglio dei genitori, candido, spaesato, arriva a Milano per la candidatura per un posto da impiegato: esami scritti, visite mediche, se tutto va bene colloquio. Tutto sembra facile, le possibilità non mancano, l'economia è in espansione, ma lungo quella prima giornata di selezione a interessare e colpire realmente Domenico sarà la giovane Antonietta (Loredana Detto), compagna di selezione con la quale il giovane passerà il pomeriggio e dei bei momenti. Le vicende lavorative però non lasceranno i due ragazzi a stretto contatto, per Domenico e per molti altri, Antonietta compresa, una nuova vita ha inizio.
Nessun accenno a quella pesantezza che mi aspettavo, Il posto è un film piacevole che corre via leggero pur portando in sé una visione lucida e predittiva di quella che sarà la vita a dipendenza della grande azienda, siamo nel pieno sviluppo del nuovo sistema di lavoro e Olmi ha già capito tutto, il suo protagonista è un ragazzo pulito, timido, educato e un po' timoroso, Sandro Panseri è perfetto per questo ruolo (peccato non averlo visto più impegnato al cinema), incarna in maniera impeccabile l'ingenuità dello spaesato che arriva da un'altro mondo, meglio va nel rapporto tutto nuovo con la compagna d'avventura, quella della ricerca del posto, anche Loredana Detto è magnifica, più vivace e sbarazzina di Domenico lo aiuta a superare i suoi impacci; la giovane attrice, anche lei poi sparita dagli schermi, diverrà moglie di Ermanno Olmi. Il regista dipinge una Milano vivacissima, indaffarata nei suoi lavori, gli esterni sono rumorosi, vivi, restituiscono tutta la vivacità della città, si ammira anche una bella inquadratura che ritrae una San Babila sventrata dai lavori di costruzione della metro. Il fulcro sta nel passaggio dalla vita contadina, ormai abbandonata, al nuovo stile di vita del pendolare che torna in campagna solo per dormire, in pochi tratti e in maniera leggera e divertita (ma a pensarci nemmeno poi tanto) Olmi descrive meschinità, vizi e malcostumi del nascente mondo impiegatizio a posto fisso, piccole invidie, reprimende, malcelate malignità, ingenuità, fancazzismo e tendenza ad approfittare delle situazioni, tutti mali che si diffonderanno e che chiunque sia stato impiegato in una grande azienda, per un verso o per l'altro, oggi conosce molto bene. Alla fine non rimane che fingere allegria e soddisfazione, questo rimane e si cerca di andare avanti, magari sgomitando un poco per cercare un inutile posto al sole (letteralmente) per meglio collocarsi all'interno di questa nascente piccola borghesia e sull'onda del nuovo consumo.
Lo vidi un paio di anni fa, in edizione restaurata, proprio alla Mostra del Cinema di Venezia. In sala c'erano i figli di Olmi e la visone fu molto emozionante. Un piccolo grande film di un uomo di grande umanità e spessore, la cui perdita mi è dispiaciuta molto.
RispondiEliminaIl film è piaciuto molto anche a me, ora approfondirò il lavoro di Olmi.
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