venerdì 3 marzo 2023

A SINGLE MAN

(di Tom Ford, 2009)

È un peccato che Tom Ford non si dedichi con maggiore frequenza alla regia; l'attività del "fare film" non è infatti l'occupazione principale del sessantaduenne texano il cui nome arriva al grande pubblico in qualità di stilista emergente e di rottura per la maison Gucci nel 1990, momento importante per il mondo della moda che abbiamo avuto modo di rivivere nel troppo vituperato House of Gucci di Ridley Scott. Ma è poi davvero un peccato che Ford non si dedichi di più al cinema o che addirittura non sia nato regista? Probabilmente no, sembra evidente come i suoi film (finora solo due) siano influenzati profondamente dal rapporto vitale che Tom Ford ha con l'ambiente della moda e con un gusto per l'estetica che non teme confronti nemmeno nel mondo della settima arte; sia questo A single man, sua opera prima, che il successivo (splendido) Animali notturni del 2016 con Amy Adams e Jake Gyllenhaal, si apprezzano proprio grazie al connubio che Ford riesce a creare tra la sua passione per il cinema e l'ampio bagaglio di esperienze pregresse che trasporta nelle sue realizzazioni, esperienze senza le quali il suo cinema non sarebbe così efficace, così bello da guardare, accontentiamoci quindi di poche opere ma realizzate con una sapienza tale da permettere allo stilista di lasciare segni più che apprezzabili anche in quest'arte per lui "secondaria". Come sarà poi anche per Animali notturni, la sceneggiatura di A single man è adattata da un romanzo, nella fattispecie Un uomo solo di Christopher Isherwood pubblicato per la prima volta nel 1964.

Ed è proprio agli inizi degli anni 60 che è ambientata la storia del professor George Falconer (Colin Firth), uomo elegante e colto, omosessuale non apertamente dichiarato in quanto i tempi ancora non consentivano di vivere serenamente la propria sessualità quando questa si discostava da ciò che per il sentire comune era considerato giusto e accettabile. George è un inglese trapiantato in California, qui ha convissuto per più di quindici anni con il suo compagno Jim (Matthew Goode) conosciuto ormai molti anni prima in un bar frequentato da militari. Il professor Falconer deve ora fare i conti con la morte dell'amato Jim, deceduto in un incidente d'auto, con la perdita dell'uomo che per lui è stato tutto, il vero amore di una vita, un compagno al quale non può dare nemmeno l'ultimo saluto, negatogli dalla stessa famiglia di Jim. George si balocca con una pistola, sembra mettere in atto una meticolosa ed elegantissima serie di preparativi per un suo prossimo suicidio, nel frattempo va a scuola, tiene la sua lezione, incontra la sua amica di sempre Charlotte (Julianne Moore) con la quale ebbe una breve relazione da giovane, una donna che non l'ha mai dimenticato e con la quale ha condiviso anche il dolore per la perdita di Jim, una donna che non aspetta altro che buttarsi nuovamente e per sempre tra le sue braccia se solo ce ne fosse davvero la possibilità. Poi ci sono alcuni incontri, lo studente Kenny (Nicholas Hoult), lo spagnolo Carlos (Jon Kortajarena), ci sono la disperazione e ancora il dolore per un lutto inaccettabile, il meglio e il peggio della vita in attesa che l'equilibrio tra distruzione e speranza trovi il lato da cui pendere.

Il Tom Ford regista ha la capacità di costruire dietro una forma sempre impeccabile, di un'eleganza fuori dal comune, calibratissima, anche una profondità di racconto che risulta a più riprese molto toccante e sincera, aiutato qui dalla bella interpretazione di un Colin Firth capace di farci sentire tutto il dolore provato dal suo personaggio. Non c'è nulla che appaia fuori posto in A single man, c'è nelle inquadrature un'attenzione allo stile e al dettaglio maniacale che viene riflessa anche nei comportamenti del protagonista, pensiamo alla scena in cui George mette in ordine le cose sulla sua scrivania, dove colloca con precisione anche la pistola con la quale avrebbe poi intenzione di uccidersi: ogni oggetto ci parla, si muove (o resta immobile) per comporre un quadro di perfetta bellezza, décor e protagonisti hanno eguale importanza per la macchina da presa di Ford. In questo contesto un uomo che nel suo intimo è tutto fuorché in ordine, si alza al mattino e si prepara a interpretare un ruolo dove il suo dolore non può trovare sfogo, quello di un uomo elegante e impeccabile in realtà prossimo al tracollo. Il presente si alterna ai ricordi, straziante la sequenza in cui George condivide il suo lutto con Charlotte in una scena in cui urla e pianti sono completamente ammutoliti; molto fa anche un accompagnamento musicale indovinato e reiterato che sottolinea lo stato d'animo disperato del protagonista, sullo sfondo il contesto dell'epoca: la crisi di Cuba, l'America delle villette con vialetto e giardino, delle case di lusso e del benessere, di un benpensare che mette le minoranze controcorrente (simbolica l'entrata di George all'università). Ford indugia sui particolari, come è giusto che sia, è nella sua natura, stringe su un bacio, lo frammenta, chiude sui corpi sudati dei tennisti, sugli oggetti ricercati, sugli abiti, sugli arredi, riesce a sospendere gli istanti e circondare di meraviglia i momenti peggiori della vita di un uomo, lo fa scavando, in maniera profonda, senza mai rimanere solo in superficie, dietro la facciata c'è sempre qualcosa di vero e sentito che tutto sommato non ci spiacerebbe vedere più spesso.

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