(di Jafar Panahi, 2015)
Ancora oggi in alcuni paesi, come nell'Iran di Jafar Panahi, un semplice atto culturale come quello di girare un film può essere visto come un'azione criminale nei confronti del regime reggente e venire quindi punita con diversi anni di reclusione. Il regista iraniano nato nella provincia dell'Azerbaijan Orientale nel 1960 è stato costretto a soggiornare a più riprese nelle patrie galere proprio a causa dei suoi film che a detta del regime mettono in cattiva luce il sistema (oscurantista) che governa l'Iran. Dopo brevi periodi di detenzione Jafar Panahi viene arrestato formalmente nel 2010 con l'accusa di propaganda contro il governo; il regista sconta più di due mesi di reclusione prima di poter uscire su cauzione, qualche mese più tardi la sua condanna viene confermata con una pena a sei anni di carcere e un divieto di girare o scrivere film per un periodo di vent'anni, lo stesso divieto proibisce al regista di allontanarsi dal Paese per lo stesso arco di tempo. Dopo circa un anno di reclusione viene confermata la pena in appello ma vengono concessi a Panahi gli arresti domiciliari e un certo grado di libertà di movimento pur rimanendo valido il divieto di lasciare il Paese e di dedicarsi alla sua professione. È in questi anni che Panahi si dedica al cinema in maniera clandestina, prima facendo arrivare al Festival di Cannes, nascosto in una torta, il suo This is not a film su hard disk, poi partecipando al concorso con Closed curtain, film codiretto con il regista Kambuzia Partovi, per arrivare poi a girare in maniera furtiva questo Taxi Teheran nel 2015. Per far questo Panahi usa delle piccole camere montate sul cruscotto del suo taxi improvvisato, si affida a riprese interne all'abitacolo dell'auto o realizzate dall'interno dello stesso a guardare il mondo esterno; tramite alcuni incontri, dialoghi, discussioni, Panahi tratteggia un ritratto del suo Paese lieve e frizzante ma molto, molto severo, prendendosi ancora una volta grossi rischi nel seguire la sua passione e il suo senso di verità e giustizia.Per Taxi Teheran Jafar Panahi, nei panni di sé stesso, si improvvisa tassista e gira per la sua città accompagnando, spesso non retribuito, clientela d'ogni tipo riprendendone idee e opinioni sulla società, carpendone le astuzie messe in atto per sopravvivere, anche culturalmente, in un Paese oltremodo difficile o semplicemente fungendo da testimone a situazioni di emergenza, a strane superstizioni o a profondi drammi etici e personali. Oltre al ruolo di tassista, osservatore e regista Panahi viene qui chiamato anche a svolgere quello di zio, accompagnando a casa una sua nipotina (Hana Saeid) dalla lingua lunga e svelta. Assistiamo così a un battibecco tra un uomo che sostiene la pena di morte per i ladri (si scoprirà esso stesso essere un borseggiatore) e una donna più ragionevole che cerca di andare a fondo delle questioni e capire le motivazioni dei gesti, sul taxi guidato da Panahi salirà poi un videonoleggiatore (illegale) che spaccia dvd proibiti di film esteri e che riconosce da subito il regista iraniano proponendogli di entrare in società con lui. Seguono un ferito da portare in ospedale con la moglie piangente al seguito, due donne superstiziose convinte che il buon prosieguo delle loro vite possa dipendere dal benessere di due pesciolini rossi da portare in un certo luogo entro una data ora, poi ancora un amico d'infanzia alle prese con dilemmi etici molto, molto profondi e la simpaticissima nipotina Hana. Un ruolo di rilievo lo ricopre la signora delle rose, una donna, un avvocato, che si batte contro le ingiustizie di un Paese dove l'ingiustizia è lo status quo.
Dopo due film nei quali Panahi ha raccontato le sue angosce e le ferite dell'animo derivanti da una reclusione ingiusta e assurda, ritrovato quel minimo di mobilità e libertà, il regista iraniano realizza con questo Taxi Teheran un film capace di far riflettere lo spettatore su tutte le storture di un Paese ormai fuori controllo senza per questo appesantire la narrazione o ammantare la sua nuova esperienza di toni cupi e deprimenti. Si riflette molto su ciò che nell'Iran odierno viene punito in maniera sproporzionata e su ciò che viene punito e che in un qualsiasi paese civile non lo sarebbe, è rinfrancante constatare come nell'animo di cittadini coscienziosi si chiuda un occhio di fronte a reati subiti sapendo quali pene in caso di denuncia cadrebbero sui colpevoli (colpevoli magari per mero bisogno); il timore dello Stato non ferma però la capacità degli iraniani di arrangiarsi, trovare soluzioni, sopravvivere e tentare di vivere in un Paese che alcuni decenni orsono era decisamente più aperto e vivibile di quanto lo è oggi sotto l'attuale governo. Taxi Teheran ha un piglio vivace, confidenziale, riesce ad apparire familiare nonostante racconti una realtà per tantissimi versi a noi lontana ed estranea, ne viene fuori il grande talento di Panahi non solo come regista ma anche come sceneggiatore e tuttofare (regia, sceneggiatura, soggetto, fotografia, produzione, montaggio e ruolo da protagonista, tutto realizzato in prima persona). Quando la necessità aguzza l'ingegno e affina il talento, opera da vedere senza ripensamenti.
si può vedere qui: https://www.raiplay.it/programmi/taxiteheran
RispondiEliminaGrazie Francesco, il link può essere utile, anche io l'ho visto lì.
EliminaE in quel momento era solo l'inizio...in ogni caso bello e nonostante tutto ben riuscito e realizzato.
RispondiEliminaSi, ora la situazione non è affatto migliorata.
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