mercoledì 4 agosto 2010

THE HURT LOCKER

(di Kathryn Bigelow, 2008)

Questo è il film che ha sbaragliato la concorrenza del celebratissimo campione d’incassi Avatar alla notte degli Oscar 2010. Sei le statuette portate a casa dalla pellicola della Bigelow: film, regia, sceneggiatura originale, sonoro, montaggio sonoro, montaggio.

The hurt locker è un film terribile per quello che ci mostra, per come ce lo mostra, per quello che sta dietro a ciò che ci mostra, perché quello che ci mostra purtroppo accade davvero (gli ultimi fatti di cronaca sono lì a dimostrarlo).

Il film non si sviluppa seguendo una vera e propria trama; le immagini ci mostrano il lavoro quotidiano di una squadra di artificieri dell’esercito americano in servizio in Iraq. Dopo la morte del loro caposquadra, ai soldati Sanborn (Anthony Mackie) e Eldridge (Brian Geraghty) viene affiancato il sergente James (Jeremy Renner), artificiere esperto e nuovo comandante della squadra.

Il sergente James è un soldato sprezzante del pericolo, non ha timore di andarsi a cacciare in situazioni delicate senza tener troppo in conto l’incolumità della sua squadra. I soldati Sunborn e Eldridge patiscono la situazione e vorrebbero arrivare vivi alla fine del loro turno di servizio.

La Bigelow non cerca di colpire lo spettatore con esplosioni o quant'altro ci si possa aspettare da un film con tematiche come queste, lavora molto sulla psicologia dei personaggi e ricrea sapientemente momenti di grande tensione.

Il caposquadra James si prende ogni giorno i suoi rischi, sa che ogni volta che esce in missione potrebbe essere l’ultima, semplicemente non ci pensa. Il soldato Eldridge invece ci pensa e anche parecchio, la sua ossessione è quella di trasformarsi in un cadavere al bordo di una strada. Sunborn è il più equilibrato dei tre e giustamente comincia a odiare quello che sta facendo.


È difficile pensare che ci siano ragazzi, anche giovanissimi, disposti a vivere esperienze come queste. Qualsiasi spostamento diventa un pericolo, ogni persona è una potenziale minaccia, ogni auto parcheggiata, ogni uomo con un giubbotto, ogni tetto, ogni finestra, ogni vicolo, ogni porta. Quello a cui maggiormente il film fa pensare è come si possa vivere, anche solo per pochi mesi, in una situazione del genere. Come possono gli abitanti di zone di guerra vivere intere vite (spesso brevi) in situazioni del genere. Come è possibile tornare a casa psicologicamente intatti dopo aver vissuto esperienze come queste?

Per alcuni soldati come il sergente James tutto perde di significato, una moglie (Evangeline Lilly), un figlio non riescono più a riempire una vita “drogata” dall'adrenalina del conflitto.
Come dicevo, un film terribile ottimamente realizzato. Un altro film americano racconta i risvolti del “ritorno a casa” dei soldati dall'Iraq partendo proprio dalla scomparsa di uno di questi. Nella valle di Elah di Paul Haggis con Tommy Lee Jones. Ve lo consiglio.

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