lunedì 29 settembre 2014

DJANGO

(di Sergio Corbucci, 1966)

Sono più di sessanta i film che compaiono nella filmografia di Sergio Corbucci, regista che ha attraversato generi e decenni con risultati alterni com'è praticamente inevitabile per chi vanta un curriculum tanto nutrito. E' fuor di dubbio che almeno il contributo di Corbucci al genere western sia da considerarsi rimarchevole non fosse altro che per pellicole come questa o come Il grande Silenzio. Siamo già nell'epoca avanzata del western, in anni dove la sua visione classica e palesemente orientata alle ragioni dell'uomo bianco e dell'eroe è definitivamente sorpassata. Siamo un passo oltre anche il revisionismo del genere, oltre l'epica e oltre il mito. Siamo nell'epoca del lerciume, dell'avidità, della violenza e del fango. Django è un film sporco fino al midollo già dalla sequenza d'apertura nella quale il protagonista interpretato da un giovane Franco Nero cammina con difficoltà in mezzo al fango, trascinandosi dietro una cassa da morto lercia, sotto la pioggia battente in caduta da un cielo plumbeo che sembra dirla lunga sul futuro della vicenda.

Lo Spaghetti-Western, riabilitazioni postume a parte, è spesso stato considerato una branca minore e povera del genere, ancor più lo sono state queste sue derive sporche e violente se paragonate alle opere di Leone per esempio. In termini relativi non mi sento di discostarmi troppo da questo giudizio, le emozioni, le sequenze epiche, la soddisfazione di cui può riempirti una Trilogia del dollaro qui non le trovi, siamo in un campo di gioco leggermente diverso. In senso assoluto film come Django, presi di per sè, hanno molto da regalare alla storia del genere. Crudeltà viste raramente anche in narrazioni potenzialmente violente come quelle western, scene e situazioni divenute culto grazie anche a successive rivisitazioni e una visione del vecchio west probabilmente più coerente con quello che è stato nella realtà.

La cittadina in cui si svolge gran parte della vicenda è coperta dal fango, e se è vero il detto che il sole bacia i belli qui il sole latita totalmente. Lo stesso Django, potenzialmente un bell'uomo, uno di quelli destinati al ruolo dell'eroe, è imbruttito da una coltre di lordura dalla quale emergono solo due splendidi occhi azzurri; la sua esistenza è irrimediabilmente compromessa da un lutto che ne segna l'animo.


Alcuni elementi rimangono quelli universali del western, il pistolero infallibile, il prepotente che si macchia di ogni sopruso nei confronti dei più deboli, il razzismo (qui verso i messicani e non verso i soliti pellerossa, sostituzione frequente nello spaghetti), la difesa del più debole anche se occasionale e dettata da interesse personale.

La differenza la fanno il sangue, le montagne di cadaveri, le crudeltà inflitte indifferentemente a uomini e donne, i pestaggi a sangue e alcune scelte registiche indovinate come la sequenza della rissa nel saloon. Da ricordare anche il tema portante del film e le musiche di Luis Bacalov. In questo caso forse le singole parti sono più grandi della loro somma, tutta una serie di caratteristiche rendono questo film un piccolo cult, ben al di sopra di quanto la storia in sè avrebbe potuto fare. Nero è poco espressivo come altre leggende del genere, i caratteristi hanno invece tutte le facce giuste, dal messicano Hugo (José Bodalo) allo spietato Maggiore Jackson (Eduardo Fajardo).

Revisionismo o meno, in fin dei conti il posto che Django occupa nell'epopea del west se l'è ampiamente meritato.


14 commenti:

  1. Credo di averlo visto per la prima volta (x intero) o il giorno prima di vedere al cinema Django Unchianed di Tarantino o il giorno dopo, non ricordo bene... .
    Cmq mi è sembrato un film non così eccezionale e a tratti molto ambiguo... .
    Boh, che dire, sicuramaente il maestro Leone giocava in un'altra categoria.

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    1. Rispetto al cinema di Leone qui siamo nella categoria dei B-Movies, la storia non è nulla di eccezionale forse ma contiene parecchi elementi interessanti e una visione del west decisamente molto dura. Se lasciamo perdere paragoni scomodi Django ha sicuramente una sua dignità da difendere.

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  2. Un gioiellino dello spaghetti-western. Entrato di fatto nell'olimpo del genere, grazie a un protagonista azzeccato e un personaggio che (ok, lercio e lurido) si fa ricordare anche per la trovata (fumettistica?) della bara con cui gira.

    Moz-

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    1. Non so se la trovata sia fumettistica o meno, non mi viene in mente nulla, probabilmente l'idea è proprio di Corbucci e del suo team di sceneggiatori. In campo fumettistico sicuramente il Durango di Yves Swolfs deve molto sia a Django che a Il grande Silenzio entrambi di Corbucci.

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    2. Durango in pratica è la versione a fumetti de Il Grande Silenzio.
      Mi accodo a L'Adri e a quanti sostengono che, a parte quelli di Sergio Leone, gli spaghetti western sono ben poca cosa, pur con qualche rarissima (e comunque non al livello di Leone) eccezione.
      Per me sono quasi meglio le derive comiche come Cipolla Colt o quelli in cui c'erano gli indiani della tribù dei Tiburtini!

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    3. Il paragone con Leone è ovviamente impietoso, personalmente riconosco almeno in questo film e ne Il grande silenzio elementi da non sottovalutare, quest'ultimo propone uno dei finali più cinici e pessimistici del filone, ambientazione inconsueta, antieroi inzaccherati fuori dal comune, insomma... elementi di interesse ce ne sono diversi. Poi la storia in sè magari non risulta eccezionale, almeno nel caso di Django, ciò non toglie al film un certo valore nel contesto del genere.

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    4. Certo, è innegabile che ci sono spaghetti western che per un motivo o per l'altro emergono sugli altri: c'era quello con Maria Volontè violentissimo, uno ancora più violento (co)diretto nientemeno che da Elio Petri (!), quello in cui figurava Pasolini e quell'altro (forse "Quien sabe?") con Cuchillo. [e magari, visto che non ricordo i titolo, erano tutti lo stesso film!]
      Però credo che a tutti manchi la levatura epica di Leone, che è quello che secondo me eleva i suoi film sugli altri. Vedi anche C'era una volta in America.

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    5. Certo, su questo siamo d'accordo.

      Volontè recitò proprio con Leone e anche in Quien sabe?, quello con Pasolini era Requiescant. di Petri western non saprei...

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    6. Ehi ehi ehi, frenate! C'è Vamos a matar, companeros! che non scherza per niente.
      Leone ha sicuramente classe da vendere, ma molti altri spaghetti western sono altrettanto belli (magari per altri meriti^^)

      Moz-

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    7. Sono convinto che ci sia materiale meritevole disseminato un po' in tutta la storia dello spaghetti, probabilmente Leone sta un gradino sopra tutti, spesso ci si dimentica di citare Giù la testa, film strepitoso, ma sicuramente ci sono tante altre cose valide da recuperare (poi ci sarà pure parecchia monnezza), ad esempio Vamos a matar, companeros! io ancora non l'ho visto. Ma rimedierò, ah se rimedierò :)

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  3. Django aveva una trama! Molto bello per gli spaghetti-western dell'epoca.

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    1. Io non ne ho visti molti a parte quelli di Leone e questi di Corbucci... ma perché, gli altri la trama non ce l'hanno?

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    2. gira e rigira le storie sono sempre quelle.

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