Black Mirror rimane sempre un bel vedere, però l'impressione che nasce guardando questa quinta stagione è che si sia spento il fuoco, quello slancio innovativo e stordente che ci aveva ammaliato lungo le prime stagioni di una serie senza rivali. Com'era prevedibile dopo l'esperimento formale dell'episodio interattivo Bandersnatch, la serie di Charlie Brooker, contraddicendo la sua stessa mission, fa un passo indietro, torna a una narrazione più tradizionale e abbraccia nuovamente la formula dei soli tre episodi, quella che ha dato le maggiori soddisfazioni negli anni passati. Non ci sono vere novità di contenuto, ormai i temi cari alla serie, ovvero tecnologie, social media, intelligenze artificiali e tutte le derive del progresso che l'umanità potrebbe sviluppare e utilizzare in modo sbagliato e pericoloso, sono state già sviscerate ed esplorate più volte, anche in questa stagione si torna sempre sugli stessi temi e l'impressione che sia davvero arduo che Black Mirror possa tornare a stupire come faceva in principio si fa davvero forte (ma spero di potermi ricredere in futuro). Forse il serial ci aveva abituati davvero troppo bene, il fatto che la nuova infornata di episodi non riesca ad alzare ancora un poco l'asticella qualitativa ci fa storcere il naso, nonostante le tre puntate di questa quinta stagione non siano affatto malvagie. In linea generale si perde quella sensazione di essere proiettati in un prossimo futuro, un passo oltre il nostro oggi, sembra invece che questa volta Black Mirror si concentri sulla nostra quotidianità, alterando solo di poco la realtà odierna e nell'episodio migliore del lotto non alterandola affatto, dismettendo i panni del profeta e vestendo quelli del narratore del nostro presente. Ne vien fuori un risultato più che godibile, un episodio davvero ottimo (Smithereens), uno quantomeno interessante (Striking vipers) e uno a dirla tutta trascurabile ma almeno piacevole da seguire (Rachel, Jack and Ashley Too).
Nel primo episodio, Striking vipers, torna il tema delle realtà virtuali altamente immersive legate al mondo videoludico, tema già esplorato nelle stagioni precedenti con esiti alterni. La novità qui potrebbe stare nel fatto che la tecnologia questa volta è più che altro un pretesto per raccontare una storia di sentimenti e situazioni difficili da gestire, di omosessualità latente, di vita matrimoniale, di calo dei desideri, di incomunicabilità, di compromessi. Quello che sembra mancare in tutte queste dinamiche è l'amore, in questo Black Mirror si conferma viatico di una visione pessimistica delle capacità dell'uomo di condurre al meglio la propria esistenza. Danny (Anthony Mackie) e Karl (Yahya Abdul-Mateen II) sono amici dai tempi dell'università, condividono l'appartamento, il primo è fidanzato con Theo (Nicole Beharie) che sposerà negli anni a venire, il secondo è più libero, i due sono legati da un'amicizia forte e all'apparenza indissolubile. Salto in avanti, Danny e Theo sono sposati, hanno un figlio, pensano di averne un secondo, Karl ormai li frequenta poco, però per il compleanno di Danny gli amici si riuniscono e Karl porta in regalo al suo vecchio amico un visore per la realtà virtuale di ultima generazione con il quale giocare in rete al videogioco che aveva loro dato tante ore di svago quando erano coinquilini: Striking Vipers X, un videogioco di combattimenti sullo stile di Street Fighters. La sensazione di trovarsi a combattere nello scenario prescelto è totale, i colpi si sentono e il coinvolgimento fisico è molto forte; gli avatar, oltre che combattere possono stare li a chiacchierare, o a fare sesso per esempio. Tra Danny e Karl nasce una relazione virtuale impensabile per loro nella vita reale e difficile da gestire. Lo scavo qui è tutto psicologico: una serie di riflessioni su un'attrazione, seppur virtuale, tra vecchia amici, l'infelicità scatenata da una vita matrimoniale dove il sesso ormai non eccita più (o non si fa), macigno pesantissimo che decreta anche il disperdersi dell'amore da ambo le parti, i compromessi disposti a tollerare per la felicità dell'altro o per la tenitura dei legami. Un buon episodio con delle belle idee, il piglio da Black Mirror è molto pretestuoso, poteva essere gestito tranquillamente senza realtà virtuale e magari con la possibilità di tirarne fuori un episodio ancora migliore. Non stupisce, non innova ma si lascia guardare con piacere.
Il secondo episodio, il più riuscito di questa stagione a mio avviso, potrebbe essere un film o un'episodio di una serie qualsiasi. Non ci sono scenari futuristici né tecnologie sconosciute, solo Smithereens, un social network che potrebbe tranquillamente essere il noto Facebook. L'unica novità, ormai ipotizzata più volte anche nella nostra realtà se non proprio assodata, è il concetto che i social media così come gli apparati tecnologici in rete ci spiino, non solo mettendo in atto operazioni di profiling ma effettivamente guardandoci e ascoltandoci tramite i nostri device. Chris, un ottimo Andrew Scott già Moriarty nella serie Sherlock, è un autista appoggiato a un'app in stile Uber, carica solo persone in uscita dalla sede di Smithereens, il più grande e utilizzato social media al mondo. Chris è alla ricerca di qualcuno che possa metterlo in contatto con il CEO della società, Billy Bauer (Topher Grace), nel passato di Chris c'è una tragedia legata proprio al social network creato dalla società, l'uomo ora vuole dire la sua, far sapere ai vertici i danni che le loro invenzioni stanno creando alla nostra società e agli uomini. Qui non c'è da fare nemmeno un passo avanti, i protagonisti di Smithereen siamo noi, la tragedia di Chris è già capitata, probabilmente capita più spesso di quanto possiamo immaginare. L'episodio ha una tensione emotiva molto forte, perché in Chris è facile riconoscersi, nelle sue critiche è possibile vedere le critiche che potrebbe muovere una persona dotata di un minimo di cervello e raziocinio alla società che abbiamo creato, che creiamo tutti i giorni mettendo in mano a entità incorporee una grande fetta delle nostre vite. Un episodio teso, molto Black Mirror nel concetto se non nell'approccio futuristico che solitamente il serial mantiene, narrazione lineare che scombina le carte in un ottimo finale tutto da interpretare.
Rachel, Jack and Ashley Too mi sembra l'episodio meno interessante del lotto, comunque piacevole da seguire. Ancora intelligenze artificiali e una riflessione sull'utilizzo dell'immagine dell'artista post-mortem, anche questa pratica che ormai è realtà già in uso. Si segnala una buona prova della cantante Miley Cirus che interpreta la pop star idolo delle ragazzine Ashley O. Sul mercato viene lanciata la bambola Ashley Too, un'I.A. basata sulle caratteristiche della cantante pop Ashley O. La giovane Rachel (Angourie Rice), orfana di madre, vive con la sorella Jack e con suo padre, un inventore scombinato. Per il suo compleanno riceve una delle bambole Ashley Too con la quale instaura un legame quasi morboso. Nel frattempo la cantante Ashley O, in crisi depressiva e desiderosa di cambiare la sua musica e la sua immagine, vive un'esistenza sotto il giogo della sua manager nonché zia e del suo dottore che vogliono solo massimizzare i profitti di quello che ormai è a tutti gli effetti un brand dal successo planetario. I destini della cantante e della ragazzina sua fan si incroceranno in uno sviluppo che non desta stupore né particolari emozioni.
Nel complesso non male, gli episodi non sono malvagi, uno mi è anche piaciuto molto, è solo che Black Mirror non è più quel pugno allo stomaco che era una volta, sembra più addomesticato, forse un po' stanco e in difficoltà nel trovare nuove vie da percorrere, nuovi contenuti da proporre. Quest'anno, forse per la prima volta, non è sembrato nemmeno quello specchio nero che in passato ci ha fatto tanta paura.
Probabilmente non c'è più l'effetto novità, quella cosa che ti fa sembrare tutto più "duro" e ficcante.
RispondiEliminaMagari questi tre episodi, usciti nella prima o seconda stagione, sarebbero stati considerati bellissimi...
Moz-
Può darsi, sembra però proprio poco presente quella lettura su un potenziale futuro imminente, tetro e decisamente preoccupante che aveva caratterizzato la serie in passato.
EliminaDevo ancora vederla questa quinta stagione, ma sembra che ormai il meglio ce lo siamo lasciati alle spalle. E poi... Miley Cyrus? Sul serio? Era proprio il caso?
RispondiEliminaPurtroppo mi sembra che in generale le serie di SF antologiche oggi non riescano a mantenere a lungo una certa qualità. Dimension 404, presentata da Mark Hamill, era partita benissimo e poi l'hanno mandata subito in vacca con episodi ridicoli. E che dire dell'ennesimo revival di Ai confini della realtà? Pessimo, l'ho mollato a metà del terzo episodio, per noia.
Guarda Marco, gli episodi non sono male, il secondo mi è piaciuto parecchio, il problema è che ormai c'è una sorta di ripetizione nei temi e gli episodi sembrano meno incisivi che in passato. L'impegno c'è e si vede, anche la Cyrus non è quel delitto che si potrebbe pensare, è che le idee migliori ormai mi sa che sono già state sfruttate...
Elimina