mercoledì 5 giugno 2019

I ROLLING STONES SECONDO GODARD

(Sympathy for the Devil di Jean-Luc Godard, 1968)

Ovvero come rendere pesanti (non in senso musicale) anche i Rolling Stones, impresa non da poco che solo a uno come Jean-Luc Godard poteva riuscire.

Godard non è un autore sempre facile da seguire e comprendere, tanto più se lo si prende in un momento, per sua stessa ammissione, di forte confusione. Siamo nel Maggio del '68, anno storicamente importantissimo tanto più se il riferimento è a Parigi, città natale del regista francese e sede delle più ampie contestazioni studentesche di quegli anni. Per rendere su pellicola quello che era lo stato delle cose in Francia e nel mondo, tutto in divenire, connotato politicamente in maniera molto forte, e per molti versi sull'orlo di un abisso, Godard ricorre ancora una volta a una delle sue ormai celebri sperimentazioni, in maniera forse inaspettata si allontana dalla sua patria per realizzare il film che lui avrebbe voluto intitolare One plus one, distribuito poi come Sympathy for the Devil per volere dei produttori e in Italia noto come I Rolling Stones secondo Godard (titolo abbastanza idiota in quanto Godard dei Rolling Stones sembra interessarsi davvero poco se non come riflesso e fenomeno di costume dell'epoca in cui si trovavano a vivere). Quello che ne esce potrebbe essere - ma non mi prenderò certo io la responsabilità di dare una definizione certa a un'opera così ambigua - il riflesso e la riflessione su quell'epoca appunto confusa come lo stesso regista, fotografata attraverso la musica, i testi politici, il movimento delle Pantere Nere e le riflessioni su democrazia e cultura, o sulla democrazia della cultura o ancora sulla cultura della democrazia, non solo politica ma anche economica. O forse potrebbe essere tutt'altro, non un documentario musicale comunque se non in piccola parte.


I Rolling Stones fanno da collante al mosaico costruito da Godard, assistiamo alle loro sessioni di composizione e registrazione del brano Sympathy for the Devil, indubbiamente una parte interessante del film seppur indicata per i soli fan del gruppo inglese (che non sono pochi ovviamente), abbiamo modo di vedere stralci della costruzione del pezzo e provare un po' di malinconia guardando un Brian Jones un poco defilato, un documento d'epoca che riveste una certa importanza in quanto testimone della creazione di una delle pagine della Storia del Rock. Poi irrompe il '68, o l'idea che Godard aveva in quel momento storico dell'importanza di quel che stava avvenendo nel mondo, evidenziata e sottolineata dagli altri segmenti del film. Assistiamo alla messa in scena di una lunga serie di dichiarazioni di esponenti delle Pantere Nere, all'interno di un cimitero per auto questi declamano i dettami di ciò che il Popolo Nero potrà/dovrà fare per ottenere l'uguaglianza economico/politica e affrancarsi dal dominio dei bianchi. La lotta sarà armata e metaforicamente, in una sorta di rappresentazione di strada (o di sfasciacarrozze), apprendiamo che sarà cruenta. Altro segmento. Una giovine (Anne Wiazemsky) viene intervistata sullo stato delle cose, dell'uomo, della cultura, della democrazia della quale lei è simbolo in carne e ossa (forse). In un'ambiente bucolico una troupe la intervista, con domande molto guidate, lei risponde con un si, a volte con un no. Intervallo. Una ragazza imbratta simboli della società consumista moderna con slogan socialisti. In mezzo ancora Rolling Stones, ancora Pantere Nere. In un locale simbolo di tutta la cultura popolare moderna, dal fumetto alla rivista patinata, dal nudo sdoganato alla musica pop, l'esercente filonazista declama versi del Mein Kampf, avventori salutano col braccio teso.


In mezzo a tutto ciò, che lo si comprenda al meglio o meno, lo spettatore ha tutto il tempo per annoiarsi, fermo restando che comprendere dove Godard voglia andare a parare rimane estremamente difficile, e forse non vuole andare a parare da nessuna parte ma solo rappresentare il classico specchio dei tempi. Da sempre Godard sperimenta con il montaggio, con il linguaggio del Cinema, con quello della narrazione, altre volte l'ha fatto con esiti più interessanti. Sympathy for the Devil risulta in fin dei conti un documento pesante e un po' indigesto, rischia di deludere sia i fan degli Stones che il pubblico in generale presentando una serie di frammenti poco amalgamati e tutto sommato prescindibili. Per studiare il '68 abbiamo di meglio, per ascoltarci gli Stones abbiamo di meglio, per guardare Godard abbiamo di meglio. E quindi?

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