(Bushi no Ichibun di Yoji Yamada, 2006)
C'è una poetica nel Cinema di Yoji Yamada, sia che ci mostri il contemporaneo, il passato più recente, quello più lontano o addirittura come in questo caso decisamente un'altro periodo storico. C'è la sensibilità di mostrare il mondo, la Storia, dall'interno di una casa, partendo dal nucleo delle famiglie, da una piccola cellula il racconto si amplia per diventare metafora di un'intera società, di una comunità, di una nazione, arrivando a toccare poi temi universali. Tutto è narrato con pudore, equilibrio, grazia, quasi come se in fondo il racconto volesse rimanere vicino e rispettoso di una dimensione privata, con le sue dinamiche, i suoi dolori, le sue piccole gioie. Allo spettatore il compito poi di allargare, approfondire e contestualizzare concetti, accenni, spunti lasciati con garbo da un regista che arriva da un'altra epoca, classe 1931 e in attesa di compiere i suoi primi novant'anni.
Love and honor è parte di una trilogia recente che Yamada dedica alla figura del samurai, siamo nell'epoca Edo (nome storico della città di Tokyo), il samurai Shinnojo Mimura (Takuya Kimura) è sposato con la bella Kayo (Rei Dan), donna molto ammirata, e lavora al servizio del suo signore feudale come assaggiatore, uno dei samurai che provano il cibo del padrone per controllare che non sia avvelenato. Seppur ben retribuito, il sogno di Shinnojo è quello di lasciare quel posto al castello e aprire una scuola per insegnare il kendo ai bambini, senza fare distinzione per i suoi allievi di casta e classe sociale. Purtroppo prima che il sogno si realizzi accade l'irreparabile e Shinnojo perderà la vista a causa di un'intossicazione, verrà accudito dalla moglie e dal fedele servo Tokuhei (Takashi Sasano). Oltre al problema economico che si viene a creare per la famiglia, Shinnojo si troverà a dover difendere il suo onore di samurai e quello di Kayo, disposta a ogni sacrificio pur di aiutare l'amato marito ormai invalido.
Forse meno ricco di sfumature rispetto ad altri film di Yamada, Love and honor formalmente restituisce l'idea del set: le molte scene ambientate all'interno o nei pressi della casa dei protagonisti, casa come da tradizione giapponese costruita tutta in legno, dà proprio l'idea della classica quinta teatrale, il numero limitato delle location, l'esiguità degli esterni rafforzano l'idea del girato in studio. Non mancano come in altre occasioni le piccole critiche mosse a un passato che non è esente da errori e soprusi, non dimentichiamo che rispetto ad altri paesi il Giappone è uscito da quella che può essere paragonata alla nostra epoca medievale in tempi relativamente molto recenti, in cui convenzioni arcaiche come la divisione rigida in caste hanno caratterizzato la vita della società nipponica per moltissimo tempo. Ancora una volta l'amore è il cuore della vicenda, in questo caso evidenziato dal rapporto di grande affetto e rispetto tra Shinnojo e Kayo mentre a Tokuhei tocca la funzione di alleggerimento che non manca mai nei film di Yamada con il classico personaggio impacciato e imbranato. Da segnalare la figura del samurai cieco che ricorre nella filmografia orientale (e non solo e penso a Furia ceca).
Come si accennava poc'anzi un film più lineare di altre opere del regista, un'altro valido tassello nella filmografia sterminata di Yamada, perde nel confronto con opere come Tokyo family o Kabei ma anche Love and honor si ritaglia il suo spazio e resta un'opera meritoria a cui concedere un'occasione.
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