martedì 7 maggio 2019

RO.GO.PA.G

(di Rossellini, Godard, Pasolini, Gregoretti, 1963)

Ro.Go.Pa.G., ovvero quando il totale è meno della somma delle parti.

Spesso, quando l'incontro di più menti scatena risultati eccelsi, si dice che l'esito finale superi la somma delle singole parti. Accade spesso parlando del lavoro dei musicisti all'interno di un gruppo musicale per esempio, collaborazioni che oltre ai risultati dovuti ai vari talenti personali, producono anche una sorta di chimica, una specie di magia se vogliamo, che rende l'opera in questione ancor più riuscita. Nonostante i nomi coinvolti in questo film facciano tremare le vene e i polsi ancora oggi, in Ro.Go.Pa.G. manca l'alchimia, i quattro registi impegnati a dirigere i vari segmenti che compongono l'opera marciano in maniera solitaria, ognuno per conto proprio, all'interno di un progetto che non lega e che presenta direzioni comuni solo a volerle trovare per forza. Questo potrebbe anche non essere un male, in fondo nel Cinema italiano degli anni Sessanta non era inusuale trovare film a episodi, anzi, alcuni di questi sono veri punti fermi della commedia all'italiana, filone pregevole della nostra Storia nella Settima Arte. Il problema maggiore di Ro.Go.Pa.G. è che almeno due episodi su quattro in fondo non convincono più di tanto, resta un po' d'amaro in bocca (che in parte si tramuta in piacevole sorpresa) se uno dei due episodi più riusciti è quello di Gregoretti, il regista meno conosciuto tra i quattro, magari il più canonico ma anche quello che riesce a intrattenere al meglio lo spettatore in maniera critica e intelligente.

Ma andiamo in ordine. Intanto il titolo... nulla di misterioso, leggiamolo così: Rossellini.Godard.Pasolini.Gregoretti, insomma... niente di particolarmente originale. Andiamo oltre. Non nascondo che le aspettative, approcciando una visione con questi nomi coinvolti, fossero alte. Il primo episodio dal titolo Illibatezza è quello di Rossellini, regista di capisaldi quali Roma città aperta, Europa '51, Paisà, Il Generale Della Rovere e via di questo passo. Rossellini ci offre una prova priva di grandi spunti, poco incisiva sia sotto il punto di vista stilistico, sia sul versante della narrazione, rimane giusto l'immagine della bella Rosanna Schiaffino che interpreta la protagonista dell'episodio. Anna Maria è una hostess di linea in trasferta per un periodo con base a Bangkok. Giovane e bella ha un fidanzato meridionale, distinto ma anche un po' geloso, che la aspetta a casa. Durante il suo soggiorno asiatico viene a più riprese molestata da un americano di nome Joe (Bruce Balaban), profondamente invaghito di lei e della sua condotta innocente e irreprensibile. Per toglierselo di torno Anna Maria sarà costretta ad adottare pose e look più aggressivi. Poco altro da segnalare, se la durata contenuta rende fluidi tutti e quattro gli episodi, questo di Rossellini sembra davvero aver poco da dire.


Archiviato Rossellini si passa al francese Godard (una roba paragonabile a un cambio tra Messi e Cristiano Ronaldo in una serata poco felice per entrambi). Dal punto di vista formale e dello stile Godard si rivela sicuramente più interessante, il montaggio vivace dei primi minuti, le riprese in notturna, l'alternarsi anche sghembo di rumori e silenzi sulle prime sequenze sono tutte caratteristiche che rivelano la cifra del regista parigino che, ancora una volta, si dimostra legato al tessuto cittadino. Sempre difficile da decifrare, Godard mette in scena una Parigi post-atomica, dopo un'esplosione nucleare nei cieli della capitale francese i parigini si trovano privi delle basilari emozioni, straniti, cambiati. In maniera inspiegabile il protagonista (Jean Marc Bory) sembra essere immune alla mutazione che si riscontra forte invece nella sua ragazza, la bella Alexandra (Alexandra Stewart). Narrato prevalentemente dalla voce fuoricampo del protagonista, anche questo episodio non avvince, si lascia apprezzare per qualche scelta formale comunque non rivoluzionaria per il Cinema di Godard; un poco stupiti si guarda oltre. (L'episodio si intitola Il nuovo mondo).


La musica cambia con l'arrivo di Pier Paolo Pasolini. La ricotta si rivela l'episodio più riuscito del lotto e quello di maggior contenuto, tanto da aver fatto bloccare dalla censura l'uscita del film per vilipendio alla religione (o qualcosa di simile). Pasolini torna tra le borgate povere di Mamma Roma e di Accattone, punta il suo interesse verso gli ultimi, quella fetta d'umanità che magari considerava anche più bestiale ma sicuramente più onesta e sincera. Il protagonista è Stracci (Mario Cipriani), un povero cristo che fa una piccola comparsata in un film a tema religioso con lo scopo di accaparrarsi almeno il cestino del pranzo che viene offerto dalla produzione alla troupe. Regalato il cestino alla sua famiglia, Stracci rimane digiuno e tenterà per tutto il giorno diversi espedienti per mettere qualcosa sotto i denti. Il finale della sua giornata non sarà tra i più felici. L'episodio alterna momenti divertenti a episodi più apertamente comici, registri decisamente tragici a quelli metacinematografici. Sul versante dei contenuti il livello si alza moltissimo, si ride nel tragico, ci sono pensieri importanti e la poetica pasoliniana già nota per altre opere. Tocco di genio far interpretare il ruolo del regista del film in divenire ad Orson Welles, un punto fermo per la Settima Arte. Si notano in questo episodio alcune sequenze a colori, le uniche di tutto il film.


Si chiude con Ugo Gregoretti, la vera sorpresa, che gira un episodio (Il pollo ruspante) molto canonico e che rientra a pieno nel filone della commedia all'italiana ma che si rivela anche il più divertente e piacevole da seguire. Siamo nell'Italia post boom economico, mentre un esperto di economia espone a una platea di addetti ai lavori le tecniche persuasive con le quali indurre ignari cittadini al consumo fine a sé stesso, seguiamo le vicende della famiglia Togni, composta dal capofamiglia (Ugo Tognazzi), dalla moglie (Lisa Gastoni) e dai due figlioletti piccoli di cui uno è proprio Ricky, il vero figlio di Ugo Tognazzi. Mentre il professore spiega e spiega i Togni sono alle prese con le cambiali per l'acquisto del nuovo televisore, fantasticano sul possesso della nuova Fiat 1800 mentre viaggiano sulla loro 600, sono preda dei richiami sirenici dei prodotti dell'Autogrill, progettano di insediarsi in uno dei nuovi lotti del complesso "La Svizzera dei lombardi", il tutto, forse, a scapito della felicità o di qualcosa di più. L'episodio è una diretta presa in giro della mania per il consumo già all'epoca ben individuata (e anche pilotata) dalle teste pensanti e che ci ha portati all'oggi terribile che stiamo vivendo. Attuale.

Preso nel complesso, nonostante non manchino diversi punti di interesse, da questo film era lecito aspettarsi di più. I grossi nomi deludono parzialmente le aspettative, svetta Pasolini, Gregoretti ci mette una pezza. A ogni modo almeno una visione rimane consigliata.

2 commenti:

  1. Hai analizzato il film per filo e per segno, la vedo come te.
    Pasolini ottimo come sempre, Godard tecnicamente eccelso, e il finale è ovviamente molto attuale (la critica al consumismo e alla società moderna era presente in un sacco di film...).
    Penso anche io che sia voluto, il fatto che i 4 episodi siano slegatissimi. E in effetti, sono d'accordo: ci si poteva aspettare di più.

    Moz-

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    Risposte
    1. Nel complesso la visione la vale tutta, fosse solo per l'episodio di Pasolini. Certo che i primi due segmenti, firmati da nomi come Godard e Rossellini sono parecchio deludenti.

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