lunedì 16 gennaio 2023

CLÉO DALLE 5 ALLE 7

(Cléo de 5 à 7 di Agnès Varda, 1962)

Agnès Varda, scomparsa nel 2019, è stata una voce di primo piano per il cinema mondiale sotto diversi aspetti, alcuni anche rifiutati o tenuti in scarsa considerazione dalla stessa autrice ma riconosciuti invece dai suoi colleghi e dalla critica tutta. La regista belga di adozione francese viene indicata come la prima vera autrice femminile nel campo della settima arte grazie alla sua visione di cinema afferente al reale, immersa nei movimenti e nella vita della città, una Parigi meravigliosa ormai per noi d'altri tempi (almeno in questo Cléo dalle 5 alle 7); in base a questa e ad altre caratteristiche la Varda è indicata tra gli esponenti maggiori della Nouvelle Vague francese insieme a colleghi più che blasonati quali François Truffaut, Jean-Luc Godard, Éric Rohmer, Alain Resnais e diversi altri, addirittura viene a lei attribuita la nascita del movimento grazie al suo primo lungo (La pointe courte) che anticipa di ben cinque anni quello che è poi diventato un po' il film simbolo dell'intera Nouvelle Vague, quel Fino all'ultimo respiro di Jean-Luc Godard che vede protagonisti Jean-Paul Belmondo, Jean Seberg e anche qui la Parigi degli anni Sessanta. Si trovano nel cinema della Varda una grande vivacità e un'innovazione formale, una cesura rispetto a quanto fatto dai suoi predecessori e una costruzione del film e della narrazione molto originali, caratteristiche che si possono ammirare in buona misura anche in questo Cléo dalle 5 alle 7, film che proprio di recente è stato votato dalla nutrita e autorevole giuria messa insieme dalla rivista Sight and Sound al quattordicesimo posto tra i film più significativi (belli/migliori, fate voi) della storia del cinema.

La giovane e bellissima Cléo (Corinne Marchand) si reca da una cartomante per avere delle rassicurazioni sul suo imminente futuro; la donna sembra tutto sommato riuscire a inquadrare per bene la vita della ragazza, quando però il discorso si sposta sulla morte e sulla malattia la cartomante (Loye Payen) non riesce a vedere giorni lieti in arrivo per Cléo la quale le chiede di provare a leggerle la mano. Dopo averla guardata, la cartomante imbarazzata e preoccupata le mente dicendole di non saperla leggere. Cléo è da pochi giorni stata in ospedale per alcuni esami, lì il medico che l'ha seguita le ha prospettato la possibilità di essere affetta da un cancro, da qui il turbamento della ragazza. Uscita dalla cartomante, insieme alla sua domestica Angela (Dominique Davray) Cléo cerca dei modi per ingannare il tempo, ha circa due ore da far passare prima di recarsi in ospedale a ritirare gli esiti degli esami, gira così per Parigi, fa qualche compera, si ferma nei bistrò, incontra i musicisti che per lei compongono le canzoni, Cléo è infatti una cantante finora un po' frivola e a volte capricciosa, spesso oggetto del desiderio degli uomini, una donna alla quale la prospettiva di una grave malattia apre ora nuovi orizzonti e la porta a riflettere in modo diverso e più profondo sulla sua vita.

Nel chiaro e comprensibile nervosismo che si accompagna a un'attesa come quella alla quale è costretta Cléo, seguiamo in tempo pressoché reale il tratto della giornata della nostra protagonista che va dalle cinque alle sette di un pomeriggio qualunque (per noi ma non per lei). La narrazione è suddivisa in brevi capitoli scanditi dall'orario, ognuno dei quali presenta l'attività in cui Cléo è impegnata in quel momento. La Varda apre con il colore, un'inquadratura ravvicinata sui tarocchi e sul futuro della giovane che fin da subito si volge in un bianco e nero nitido che ci accompagnerà fino alla conclusione. La regia è movimentata da tagli repentini di montaggio, da movimenti di macchina eleganti e da una scelta delle inquadrature studiata e che riesce a moltiplicare i punti di vista sull'immagine, si pensi al gioco di specchi all'interno del bistrò (sequenza da incorniciare) o ai riflessi sulle vetrine dei negozi parigini. Il montaggio vivace, frammentato è indice anche del turbamento e dell'agitazione della protagonista che si traduce nell'impossibilità di stare ferma. Lo stato d'animo di una Corinne Marchand semplicemente splendida (con o senza parrucca) si traduce in una corsa per le vie di Parigi, nei suoi locali, nei negozi (la difficile scelta del cappello è sintomo di irrequietezza), sui bus, nel giro in taxi, tutti passaggi che ci restituiscono non solo il momento particolare di Cléo ma anche la meraviglia della Ville Lumière. Nell'illustrarci tutto questo la Varda non manca di immergere la sua Parigi nell'attualità di quegli anni: la taxista segno del movimento femminista e dei tempi in cambiamento, gli accenni alla Piaf, alla guerra in Algeria, le proteste dei contadini francesi, un contesto rimarcato nel quotidiano, nel veritiero, anche dai frammenti di discorsi della gente comune che si sovrappongono a quelli dei protagonisti. Cléo dalle 7 alle 5 ci mostra il tempo che intercorre tra una previsione e una certezza, offerta a Cléo con la stessa leggerezza con la quale lei, fino a quel momento, aveva affrontato la vita. Da lì in avanti forse le cose cambieranno, grazie a un nuovo incontro, magari alla condivisione di un nome. Film di grande eleganza formale, due ore (meno in realtà) che corrono via veloci, di certo più velocemente per noi spettatori che non per la bella Cléo, a dimostrazione della relatività del tempo.

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