(di Charlotte Wells, 2022)
Dopo aver girato tre cortometraggi, nel 2022 la regista scozzese Charlotte Wells si cimenta nel lungo esordendo con questo Aftersun, un film semplicemente magnifico, così denso e avvolgente che sembra quasi impossibile sia potuto scaturire da una regista ancora giovane e alla sua prima esperienza su ampio minutaggio. È un racconto in qualche modo doloroso quello della Wells che ci lascia intuire un'assenza e una mancanza (della figura paterna) senza mai mostrarcela; sembra che, non sappiamo bene in quali termini, ci sia nella storia messa in scena dalla regista un forte elemento autobiografico non completamente esplicitato. Presentato al Festival di Cannes 2022 il film ha generato riscontri positivi pressoché unanimi, un consenso ampiamente meritato per un film che riesce a ritagliarsi una nicchia d'originalità accompagnata da una qualità non così semplice da trovare in un'opera prima che vuole uscire dai soliti sentieri battuti da innumerevoli produzioni in passato. La Wells gioca molto con ciò che non si vede e con ciò che non si dice, lascia le deduzioni più importanti (e più dolorose) allo spettatore che avrà il compito di interpretare (soprattutto) le immagini e dare una conclusione alla storia (non un senso, quello è molto chiaro), un perché ad uno status quo sofferente del quale non si conoscono origini e motivazioni che sembrano però essere facilmente intuibili.Un lungo flashback. Attraverso stralci di filmini amatoriali, girati con una di quelle prime videocamere alla portata di tutti, veniamo proiettati ai giorni di una vacanza di tanti anni fa che la piccola Sophie (Frankie Corio), undici anni, passò con il giovane padre Calum (Paul Mescal), trent'anni, in un villaggio vacanze in Turchia che a dire il vero offre ai suoi ospiti un intrattenimento non troppo esaltante. Calum è davvero molto giovane per essere padre già da più di dieci anni, è un uomo non ancora risolto che non sta più con la madre di Sophie pur essendo rimasto con la donna in buoni rapporti, ora sembra conviva con un amico con il quale ha anche qualche progetto lavorativo in ballo, ma queste sono tutte informazioni appena accennate, poco esplorate e approfondite. Quello che sappiamo per certo è che Calum ama di un'amore profondo Sophie, sappiamo che non deve passarsela molto bene economicamente e che nella sua vita, forse meglio dire nella sua anima, nel suo io più profondo, c'è qualcosa che non va, un disorientamento, un sentore d'inadeguatezza, una tristezza di fondo che ci fa guardare alla Sophie adulta (Celia Rowlson-Hall) con apprensione e dolorosa vicinanza; ora Sophie è una giovane donna che per ragioni anche qui non spiegate e che ci fanno temere il peggio, quel padre non lo vede più, non lo ha più vicino a sé.
Aftersun è un film capace di far provare dei piccoli cedimenti al cuore, dei vuoti, dei mancamenti quasi inspiegabili provocati da momenti infinitesimali, da stralci di indicibile tristezza realmente difficili da trasmettere con le parole. È un'esperienza di visione straniante e diversa, originale, quella costruita con evidente sincerità dalla Wells che lascia al fuoricampo le conseguenze di un dolore inespresso e non chiarificato da parte di un padre che probabilmente tenta di proteggere una figlia alla quale donare serenità e, se possibile, felicità, in uno dei rari momenti passati insieme, nonostante i suoi moti di disagio interiore siano (allo spettatore) evidenti. La Wells, anche sceneggiatrice, scrive due personaggi bellissimi, un padre fragile e una bambina nel passaggio tra la fine dell'infanzia e l'inizio dell'adolescenza, qui resa in maniera sublime dalla piccola Frankie Corio, un volto bellissimo per fermare in video l'apertura verso una nuova età: l'interesse per le dinamiche dei ragazzi più grandi, per la compagnia dei coetanei dell'altro sesso. La tragedia in potenza, di cui non avremo mai contezza, si ammanta di sentori di depressione, fallimento, scarse finanze che affliggono un padre giovanissimo e che la Wells ci lascia costruire a poco a poco facendo crescere nello spettatore delle quasi certezze senza conferma. La Wells crea un film dove l'immagine dice moltissimo, il gesto, gli sguardi vengono esplicitati più dalla colonna sonora (parlante) che non dalle stesse parole. La narrazione è intrisa di una vitalità ovattata che veicola la sensazione di vita reale, vissuta, e allo stesso tempo di dimensione onirica (in fondo siamo nel campo del ricordo), eppure ogni passaggio diventa vitale, fondante. Come accade con i ricordi c'è frammentarietà, spazio vuoto, dubbio, ci sono cose che rimangono fuori, al di là. C'è ripetizione, come le giornate che scorrono uguali a loro stesse all'interno del villaggio, ci sono spazzi di repentino dolore, quasi impercettibili, c'è la compressione del tempo, c'è il bello della vita, il meglio che ora non c'è più. Il ballo sul finale sulle note di Under pressure è semplicemente straziante. Sui titoli di coda si consolida l'impressione di aver assistito a qualcosa di davvero prezioso.