venerdì 28 gennaio 2022

WHAT DO WE SEE WHEN WE LOOK AT THE SKY?

(di Alexandre Koberidze, 2021)

What do we see when we look at the sky? è una sinfonia cittadina delicata, magica, romantica, accogliente, un film che lavora sullo spettatore con i ritmi naturali della gente di Kutaisi, terza città della Georgia, accompagnato dallo scorrere del fiume che è parte integrante di molte sequenze ritratte da Koberidze, in parte è anche una favola urbana resa tale anche dalle particolari scelte di regia e di narrazione adottate da Koberidze che instilla nella normalità quotidiana della città, e nell'animo dello spettatore, gocce di surreale che muoveranno storia e personaggi in una direzione originale e coinvolgente, come se tutto potesse davvero accadere. Con tutta probabilità, è questa una delle prime volte che mi trovo ad assistere a un film proveniente dalla Georgia (in realtà ho visto uno Iosseliani...), mercato cinematografico a me sconosciuto, l'esperienza è stata una sorpresa graditissima grazie a un film che cresce lentamente, lo sta facendo anche in questo momento, e che lascia una sensazione di serenità e gioia nello spettatore paziente, curioso di avvicinarsi a un modo diverso di dialogare con il cinema. All'interno della narrazione c'è anche un momento cruciale per la vicenda dove il regista, rivolgendosi direttamente allo spettatore, ci chiede di chiudere gli occhi per un attimo e poi di riaprirli, due segnali acustici stabiliscono il quando, creando un momento di partecipazione attiva semplice ma raro. Guardando What do we see when we look at the sky? quello che si percepisce è uno sguardo diverso, una sensibilità un poco differente e si prova la sensazione che questa sia una cosa bella, semplice magari, ma una cosa che ha valore.

Cosa vediamo quando guardiamo il cielo? Quanto è importante l'atto del riconoscimento, dello sguardo capace di ritrovare ciò che ci è noto e che ci è caro? Il film si apre su una scuola al termine delle lezioni: bambini che escono, tornano a casa. Lo sguardo di Koberidze si abbassa a livello della strada, due paia di piedi si incontrano, si scontrano in realtà, un uomo, una donna, poche parole, attimi di imbarazzo, noi vediamo solo le scarpe ma afferriamo tutto. Quelle scarpe, dopo quel primo incontro fortuito, si rivedranno, completate dai loro padroni; lei è Lisa (Ani Karseladze e Oliko Barbakadze), una giovane farmacista, lui Giorgi (Giorgi Bochorishvili e Giorgi Ambroladze) è un calciatore, tra i due scocca subito qualcosa di grande, si danno un appuntamento per la sera successiva. Scarto al surreale, mentre Lisa torna a casa alcuni oggetti le parlano, cose comuni le raccontano di un'invidia, di un malocchio, la gioia pregustata le sarà negata perché al risveglio Lisa non sarà più la stessa, un'auto impedisce alla giovane di sentire l'ultima parte della profezia. La mattina seguente Lisa si sveglia e si ritrova diversa, come farà Giorgi a riconoscerla? Sarà tutto lo stesso? Lisa si recherà all'appuntamento, un modo troverà per spiegare tutto a Giorgi, ma Lisa non sa che l'ultima parte di quella profezia, più un avviso, una confidenza in realtà, riguardava proprio Giorgi.

Koberidze gioca sull'immagine, su ciò che vediamo e come lo percepiamo, c'è una grande valenza in questo film nell'atto del guardare le cose, di come guardarle (dove è meglio guardare la partita dei mondiali? Al bar o dietro il teatro?), e nel mostrarci quella che è una storia romantica con un pizzico di magia ci porta a guardare un'intera città, i suoi particolari, la sua gente, i bambini che giocano a calcio (tutti ammiratori di Messi), i cani, i giardini, il fiume, i passanti. Mentre Lisa e Giorgi si cercano impossibilitati a trovarsi, una troupe cinematografica gira un film in città, sarà il cinema a trovare la giusta chiave che apre la porta sulla realtà? La regia di Koberidze, serena, rilassata, riesce a trasportare lo spettatore non solo dentro una storia ma lo porta a far parte di un luogo, ci si sente facilmente a casa in quella Kutaisi che non si è mai sentita nominare prima, si prova affetto per il gestore del bar (Vakhtang Panchulidze), per i due protagonisti, per il cane Vardy che ha le sue convinzioni in quanto a partite di calcio, sport onnipresente in questo film. Nel frattempo, senza dire niente, anche adesso, il film continua a crescere dentro, se non oggi, se non stasera, è probabile che domani sarà diventato un grandissimo film.

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