(di Zheng Lu Xinyuan, 2020)
Come altri registi cinesi più quotati, Jia Zhang-ke su tutti, anche l'esordiente Zheng Lu Xinyuan racconta tramite il privato i cambiamenti del suo paese, lo fa concentrandosi sul contesto urbano di Hangzhou in maniera non troppo lineare, per concatenarsi di frammenti che vanno, uno dopo l'altro, a costruire il quadro della condizione interiore della protagonista che riflette in qualche modo anche ciò che accade al paese, una progressiva perdita di identità e di direzione seguita da confusione e spaesamento, un sentire che in parte si trasmette anche allo spettatore a causa della scelta della regista di non costruire una narrazione solida ma piuttosto fluida, con qualche inserto visionario e una scansione dei tempi non troppo definita. Tutto è in mutamento, inafferrabile, a volte poco riconoscibile proprio come il volto di Hangzhou trasformato dai cantieri in continuo movimento. Abbiamo quindi un'altra voce interessante, femminile questa volta, a testimoniare le difficoltà incontrate dal popolo cinese in seguito ai grandi cambiamenti affrontati dal Paese negli ultimi decenni che non per forza passano da situazioni di disagio materiale ma che possono coinvolgere in maniera ben più profonda l'autoaffermazione identitaria, mettendola in crisi e creando incertezza anche e soprattutto nelle generazioni più giovani.In occasione del capodanno cinese la studentessa Muzi (Jin Jing) torna nella vecchia casa della sua famiglia ad Hangzhou; i suoi genitori ormai sono separati, il padre si è risposato e ha avuto una figlia con un'altra donna, la nuova moglie dell'uomo e soprattutto la piccola sorellastra sono molto affezionate a Muzi, la madre invece vive un'esistenza più tormentata portando avanti relazioni poco stabili. Il ritorno alla vecchia casa, ormai inabitata, in parziale disfacimento ma ancora piena di ricordi, è l'occasione per Muzi di tornare indietro nel tempo con i ricordi, a quando un vecchio amore poteva sembrare qualcosa di duraturo, i tempi si confondono, le nuove conoscenze non portano a esiti più solidi, Muzi così vive un'età di passaggio senza riferimenti, dove ciò che c'era in passato non c'è più, di ciò che avverrà in futuro non solo non c'è certezza ma non c'è nemmeno una vaga idea, senza appigli Muzi vaga in una Hangzhou che riflette all'esterno questa mancanza di punti fermi e di radici che la protagonista elabora dentro di sé, condizione riflessa in una città irriconoscibile, in mutamento marcato e continuo che non offre più certezze consolidate e salde.
La scelta di stile narrativo adottato da Zheng Lu Xinyuan è in maniera voluta inafferrabile, difficile da decifrare, è facile perdersi tra tempi, relazioni e rapporti, anche spaziali, tra Muzi e i genitori, tra la protagonista e gli uomini, tra persone e luoghi, tutto è etereo e inafferrabile in un concretizzarsi di un moto interiore incerto e ondivago. Tutto è ripreso con il bel bianco e nero di Matthias Delvaux, la camera spesso indaga il volto di Jin Jing da vicino per poi passare a panoramiche più ampie per finire anche in artifici visivi che rendono anche lo stile mutevole e consono al racconto. Lo sguardo della regista è interessante ma non semplice e non immediato, la struttura di The cloud in her room potrebbe respingere ben più di uno spettatore, l'esordio di Zheng Lu Xinyuan è di sicuro interesse, i numeri ci sono, qualcosa è ancora da rivedere per poter raggiungere gli ottimi esiti portati a casa da alcuni connazionali con gli stessi temi, The cloud in her room merita comunque la promozione, anche sulla fiducia, in attesa di una prossima prova che potrebbe rivelarsi senz'altro significativa.
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