sabato 5 settembre 2015

PAROLE SANTE

(di Ascanio Celestini, 2007)

Il genere documentario, specie se di attualità, non andrebbe di regola guardato con così tanto ritardo rispetto alla data d'uscita nelle sale. Non che il documentario abbia impressa sopra una data di scadenza passata la quale il problema o la vicenda di cui si parla non esistono più. Magari. Le cose però si evolvono, cambiano, e potrebbe capitare di provare una strana sensazione di smarrimento temporale.

Ma andiamo nello specifico. Il problema qui sta nel lavoro precario, un fenomeno già nel 2007 in forte espansione e sempre più caotico, un'assunzione di potere da parte delle grandi imprese ai danni di lavoratori giovani e meno giovani. Questo il discorso generale.

Ascanio Celestini ce lo presenta con una metafora. Un uomo guarda un rubinetto gocciolare, goccia dopo goccia senza mai intervenire. Pensa che il problema potrebbe ingrossarsi, magari ingigantirsi e creare danni. Ma in fondo chi dice che sta a lui mettere una pezza al problema?

Guardando ora il documentario si potrebbe pensare che il lavoro precario non sia più il tema, si potrebbe pensare che l'uomo sia rimasto a guardare il rubinetto gocciolare e che l'acqua abbia ormai allagato la casa, sfondato il pavimento e sommerso il condominio intero. Ormai il lavoro precario è una norma e il tema è diventato che lavoro (e dignità) ormai non ce n'è più. Dicono la ripresa, la stabilizzazione. A crederci.

In più il documentario nello specifico parla della realtà dei call center, realtà che conosco fin troppo bene avendone avuto esperienza per dodici anni, sia come operatore che come responsabile di servizio (o Team Leader, chiamatelo un po' come vi pare). Si parla di Atesia e della precarizzazione selvaggia in un posto di lavoro che conta più di quattromila dipendenti, di salari pagati a chiamata a seconda dei minuti o secondi impiegati nella gestione della stessa. Parametri spaventosi e disumanizzanti, e qui ammetto che la mia esperienza è stata più fortunata, almeno fino a un certo punto, perché poi chissà perché l'Azienda (quale che sia), il potere forte, può in un modo o nell'altro fare sempre quel che vuole e non pagare (quasi) mai, mai fino in fondo, e uscirne spesso anche con le brache pulite.

I lavoratori invece vanno a casa, o si devono accontentare, o si devono arrabattare a cercare altro. A un certo punto in Atesia (ora Almaviva) la corda si è spezzata e i lavoratori sono riusciti a dire un no bello forte. Hanno istituito un comitato, hanno fatto valere i propri diritti, hanno combattuto e hanno anche vinto. Poi, in una maniera o nell'altra, sono stati fatti fuori, Atesia ha pagato ma con garbo, un pochettino, giusto da non dar loro troppo fastidio. E rimane l'amarezza, che per fortuna passa. Ma il rubinetto continua a gocciolare.

Chissà, forse non vale più la pena informarsi su una vicenda targata 2007, ognuno valuti per se, la storia è narrata però con grazia ed educazione, con leggerezza. Dal padrone di casa e dai diretti interessati. Noi italiani, checché ne dicano gli stranieri, siamo molto educati e a tutti va bene così. Intanto il bagno si è allagato, il pavimento sfondato...


9 commenti:

  1. Non ho visto il documentario ma se esiste in rete lo trovo e lo guarderò sicuramente. Ascanio Celestini l'ho seguito tutte le volte,rare, in cui è apparso in tv, di solito era rai3 a occuparsene. E' un autore interessante, un vero drammaturgo in questa epoca di scrittori da fiction.

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    1. In questo caso gestisce il documentario lasciando molto spazio ai veri protagonisti della vicenda, i lavoratori (quasi tutti ex ormai se non tutti) di Atesia. Per quanto poi questi documentari siano snobbati dalle persone che dovrebbero di mestiere occuparsi dei problemi del paese è sempre bene che qualcuno dia luce e spazio a queste realtà.

      Il problema grosso è che tutta la solfa interessa davvero solo a chi ci si trova nel mezzo, siamo ormai in una società assolutamente individualista, ma questo ovviamente non c'è bisogno che stia io qui a sottolinearlo.

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  2. Assolutamente vero. Io sono ancora di quella generazione che scendeva in piazza per manifestare in favore di categorie di lavoratori non direttamente collegate al mio ambito, la lotta era lotta punto e basta. Il discorso sul precariato e la disoccupazione è ancora più scottante e grave, ma dimenticato e ignorato se non sotto campagna elettorale in termini di slogan. Ti ripropongo un brano del post che trovi qui: http://massimilianoriccardi.blogspot.it/2015/08/buon-ferragosto.html
    la parte che inizia con "il prete rosso", l'ho scritto nel 2009 ma direi attualissimo.

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    1. Ho letto il tuo pezzo ed è purtroppo attualissimo, però si, in fondo abbiamo il calcio, chi se ne fotte del resto :)

      Terribile :(

      Forse tu hai vissuto anni dove davvero c'era più solidarietà, ora ce n'è ancora per carità, molta è però di facciata, solidarietà da social network, non credo che le cose possano migliorare nel breve periodo.

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    2. Come te, anche io sono pessimista riguardo l'immediato futuro.

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  3. Conosco Celestini tramite Rai 3. Dei suoi film ho visto solo "La pecora nera" (che se non hai visto te lo consiglio volentieri).
    Capisco le tue parole... Lo recupererò al più presto...

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  4. Concordo con quello che hai scritto in risposta ad un commento poco sopra: solidarietà da social. E credo di aver detto tutto, purtroppo.
    Manca la partecipazione, il mettersi in gioco per se stessi e quindi per gli altri. Ma c'è chi non capisce che le guerre sono soltanto tra poveri, e poi c'è chi può fottersene delle guerre.
    Così l'acqua continua a fuoriuscire -_-

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    1. Guarda, per esperienza personale, posso dirti che oggi mettendosi in gioco per quel che si pensa sia giusto, al 90% ci si rimette, proprio perché non sempre c'è l'unione che servirebbe, ma anche quando questa c'è il problema diventa un sistema talmente marcio da garantire sempre la parte sbagliata. Le conseguenze sono appunto le odiose guerre tra poveri. Comunque andiamo avanti.

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