martedì 2 giugno 2020

MATTONE E SPECCHIO

(Khesht Va Ayeneh di Ebrahim Golestan, 1965)

Per comprendere un poco il contesto in cui si muovono i protagonisti di Mattone e specchio bisognerebbe per sommi capi conoscere la storia moderna dell'Iran, potrebbero infatti spiazzare le prime sequenze girate da Golestan in una Teheran notturna che sembra già negli anni 60 una modernissima città occidentale con luci sfavillanti, attività commerciali e un look che richiama le società del capitale che oggi difficilmente assoceremmo al paese mediorientale. Semplificando potremmo dire di come l'Iran, prima della rivoluzione iraniana di fine anni 70 il cui simbolo fu l'Āyatollāh Khomeynī, fosse un Paese in via di modernizzazione, tutt'altro che perfetto, ma anche più rispettoso delle libertà personali, della condizione femminile, più aperto verso un'economia industriale al passo con i tempi e meno oppresso da fanatismi religiosi (le magagne comunque, è utile sottolinearlo, non mancavano). Tra l'altro questo passaggio dalla monarchia all'impostazione data da  Khomeynī al Paese è ben tratteggiato in Persepolis (sia fumetto che film d'animazione) di Marjane Satrapi, ottima opera per approfondire l'argomento. La vicenda narrata in Mattone e specchio si svolge prima della radicalizzazione dell'Iran, di primo acchito a colpire sono lo splendido bianco e nero e il lavoro fatto con la fotografia, soprattutto sui notturni, che dona al film una profondità e una modernità eccezionale, qualità queste messe in risalto dal recente restauro del film ad opera della Cineteca di Bologna, il film peraltro è visibile, come altre cose molto interessanti, grazie alla disponibilità di parte del catalogo di Fuori Orario accessibile gratuitamente su Raiplay.


Su Teheran cala il buio, il tassista Hashem (Zackaria Hashemi) carica in centro una donna avvolta nel suo chador, la porta in una periferia desolata. Quando la passeggera scende dal taxi Hashem si rende conto che la donna ha abbandonato una neonata sul sedile posteriore, inutili saranno i suoi tentativi di ritrovarne la madre; dopo alcuni strani incontri al tassista non resta che tornarsene in centro con la bambina. Qui in un locale discuterà sul da farsi con amici e conoscenti, verrà aiutato dalla sua amante Taji (Taji Ahmadi) che da subito si affezionerà alla bambina, la neonata farà scoppiare la crisi tra i due giovani che hanno una visione della vita e delle responsabilità totalmente diversa, ad acuire il disagio della situazione che si viene a creare c'è l'incertezza di un Paese in bilico tra forme d'apertura culturali e il serpeggiare di un fondamentalismo religioso che porta i protagonisti, soprattutto Hashem, a diffidare di chiunque, a partire dai suoi vicini di casa.


Per molti ma non per tutti. Anzi, nemmeno per molti. Nonostante Mattone e specchio sia un film di indubbio interesse culturale per il contesto al quale si accennava sopra e per i visibili meriti artistici di una regia decisamente moderna che si lancia in stacchi di montaggio ad effetto (la scena della scala), sperimentazioni sul sonoro (il vociare di fondo) e sull'assenza di musica se non in presa diretta, il ritmo del film e diversi passaggi con lunghi dialoghi filosofeggianti, inquadrature insistite a sottolineare una situazione o uno stato d'animo, rendono a tratti la visione un poco ostica. Anche nei suoi passi più insidiosi Golestan inserisce però motivi di interesse per chi ha voglia di cercarli: c'è la disillusione un po' cialtrona e un po' irresponsabile di chi consiglia Hashem di sbarazzarsi della bambina (per poi predicare tutto il contrario in altri contesti), ci sono sprazzi di filosofia spiccia, riflessioni più amare e apprezzabili sull'approccio alla vita in un Paese dove molto si sta giocando per il futuro, c'è una bella contrapposizione tra un uomo incline a vivere alla giornata, privo di reali sogni e una donna con un grande bisogno d'amore e che andrà incontro purtroppo a più d'una delusione. C'è tanta indifferenza al dolore. Con poche battute si evince anche la paura a tenere comportamenti malvisti dal giudizio comune, il fondamentalismo incombe e pochi anni più avanti avrà la meglio in un Paese che aveva iniziato a conquistarsi qualche libertà.


L'esordio di Golestan nel campo della finzione (il regista è più che altro documentarista e scrittore) è uno di quei film invisibili che quando capita l'occasione è bene guardare, non è detto che in un prossimo futuro quest'opera non torni a essere un pezzo di difficile reperibilità.

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