(Kaguya-hime no monogatari di Isao Takahata, 2013)
Quando pensiamo all'animazione dello Studio Ghibli il nome che alla maggior parte del pubblico balza subito alla mente è senza dubbio alcuno quello dell'inarrivabile maestro Hayao Miyazaki, autore del maggior numero di opere dello Studio, tra queste sicuramente ci sono alcune tra le più amate e riconoscibili di Ghibli, il suo Totoro ha raggiunto una popolarità tale da essere diventato un essere fantastico riconoscibile in tutto il mondo e il simbolo grafico che contraddistingue le opere dello Studio Ghibli ancora oggi. Non dobbiamo però dimenticare che i fondatori dello Studio furono quattro, due produttori e due animatori, insieme a Miyazaki c'è sempre stato l'imprescindibile Isao Takahata che ci ha purtroppo lasciati ormai da qualche anno (2018). Se i lungometraggi diretti da Miyazaki non hanno davvero bisogno di nessuna presentazione, anche i lavori di Takahata hanno regalato ai fan parecchie gioie e alcuni titoli memorabili: suoi lo struggente Una tomba per le lucciole, uno dei racconti più dolorosi e commoventi messi in piedi dalla produzione Ghibli, un vero capolavoro, il racconto intimo e delicato di Pioggia di ricordi, altro esito riuscitissimo, il particolare Pom Poko, forse meno accattivante ma di certo originale con le sue figure dei tanuki, strani animaletti che popolano le colline sopra Tokyo, e ancora la commedia familiare de I miei vicini Yamada fino ad arrivare infine a quest'ultima meraviglia, La storia della principessa splendente, lungometraggio dalla realizzazione travagliata e ultimo lavoro lasciatoci da Takahata. Ovviamente il lavoro di Takahata non si limita alle opere realizzate per lo Studio Ghibli, si può trovare il suo zampino in diverse serie che ci hanno allietati fin da bambini, cosine come Heidi, Marco (che per molti era Dagli Appennini alle Ande), Le avventure di Lupin III e il bellissimo Anna dai capelli rossi. Per questo La storia della principessa splendente Takahata adatta un fiaba giapponese del X secolo ispirandosi anche ad alcuni elementi della vecchia Heidi, riportandoli alla realtà e alla sensibilità giapponese (per i lettori nati su un altro mondo ricordiamo che Heidi era ambientato tra Svizzera e Germania).Un anziano tagliatore di bambù assiste nella foresta a un evento miracoloso: dall'interno di un fusto di bambù nasce una bambina splendente, avvolta in un'aura di luce bianca, una piccola gemma; sarà proprio "gemma di bambù" il nome che le daranno i ragazzini della zona. Così questa tenera bimba crescerà grazie alle cure amorevoli del tagliatore di bambù e di sua moglie; la sua crescita è prodigiosa, un fenomeno ultraterreno, in poco tempo quella che è una neonata diventa una giovane ragazzina che legherà con i coetanei del villaggio montano in cui vive, soprattutto con il giovane Sutemaru. Principessa, così la chiama amorevolmente il suo papà, diventa sempre più la ragione di vita dei suoi genitori; un giorno, dentro un'altra canna di bambù, il papà di Principessa trova dell'oro e delle stoffe pregiate. L'anziano interpreta questo come un altro segno del cielo, una volontà superiore che sembra volere per Principessa un destino da nobile dama e non da semplice, ma felice, contadina. Così il papà decide di portare la famiglia a vivere in un grande palazzo della capitale, qui Principessa diventa una sorta di leggenda per la sua grazia e bellezza, ma in città la principessa splendente è sola, conduce una vita ritirata e triste, sacrificata nell'intento di non dare una delusione al suo papà che, seppur un poco accecato dal prestigio ottenuto, continua a voler bene in modo sincero alla sua figlia miracolosa. Saranno molti i nobili uomini a voler sposare "gemma di bambù", ma lei non vuole un legame che poggi su basi così inconsistenti...
La storia della principessa splendente esce nel 2013, sono passati quattordici anni dalla precedente regia di Isao Takahata, I miei vicini Yamada che con questo film ha un legame di continuità almeno per quel che riguarda la sperimentazione grafica. Se i toni generali dei due lungometraggi sono parecchio differenti (I miei vicini Yamada virava su sentieri più divertiti) La storia della principessa splendente sviluppa quel segno scarno, su fondo in prevalenza bianco, che si discosta molto dagli esiti più noti e riusciti dello Studio Ghibli ma che riesce a dimostrare tutta la padronanza del tratto che diventa poesia pura, senza intenzione di usare frasi fatte o roboanti, questo è ciò che hanno realizzato Takahata e i suoi collaboratori con questo testamento virtuoso di magistrale delicatezza e amore per la tradizione. Quello che lo spettatore si trova di fronte agli occhi richiama infatti moltissimo la tradizione del disegno giapponese, come ha potuto constatare chi ha potuto vedere la recente e bellissima mostra Utamaro, Hokusai, Hiroshige presso la Promotrice delle Belle Arti di Torino, ennesima dimostrazione che la via del digitale non è l'unica percorribile, anzi. Sul piano dei contenuti siamo di fronte a una fiaba, spesso triste, dove i temi e gli spunti si contano innumerevoli: c'è lo sradicamento, l'abbandono della propria terra con tutte le conseguenze di malinconico dolore che ne conseguono, compresa la perdita degli affetti cari, c'è l'ambizione dei genitori e la loro volontà, perseguita magari anche con buone intenzioni, di pilotare la vita dei propri figli impedendone di fatto la felicità, c'è la riflessione sulla vacuità della ricchezza materiale e un sacco di altre cose. Nei ritmi il film di Takahata si discosta un poco dalla struttura dell'animazione moderna alla quale siamo più abituati, si superano abbondantemente le due ore di durata per un film che richiede di essere abbracciato con amore, di dedicargli un'attenzione e una sensibilità estranee alla media, si verrà ripagati. Un'ottima visione in attesa che esca l'ultimo di Miyazaki; Takahata già ci manca, preghiamo per il futuro dello Studio.
Che meraviglia ❤️
RispondiEliminaVero!!!
EliminaUn film splendido, un'opera d'arte poetica e commovente. Che voglia di rivederlo!
RispondiEliminaVai, vai, è su Netflix 😁
EliminaPiaciuto tantissimo, per stile, intensità e delicatezza, grandissimo film ;)
RispondiEliminaCiao Pietro, pura poesia!
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