(Greed di Erich von Stroheim, 1924)
Personaggio non semplice e non sempre ben voluto a Hollywood il nostro
Erich von Stroheim. Austriaco di nascita, figlio di un viennese ebreo,
Stroheim (il
von arriverà solo in seguito, per vezzo “aristocratico”) emigra negli Stati Uniti all’età di ventiquattro anni; naturalizzato statunitense inizia la sua carriera a Hollywood come attore, con ruoli da ufficiale (esperienza che ha effettivamente in curriculum) e poi da gerarca nazista, casting favorito dalla sua faccia non propriamente gioviale. Lavora con
David Wark Griffith nei suoi due film più importanti e ricordati,
Nascita di una nazione e
Intolerance, per poi passare dietro la macchina da presa nel 1919, a guerra finita, con il suo film d’esordio,
Mariti ciechi, un buon successo commerciale che gli apre le porte degli studios hollywoodiani.
Rapacità (
Greed in originale) è il film per il quale più si ricorda il controverso regista, capace di lasciare il segno nella Storia del cinema come di farsi odiare da produttori, studios, maestranze e attori con i quali ha collaborato (pare che la
Swanson lo fece licenziare per le sue riprese maniacali, fonti di lungaggini inarginabili; torneranno a lavorare insieme molto più in là per
Viale del tramonto).
Rapacità è uno di quei “film maledetti” dalla genesi travagliata. Tratto dal romanzo di
Frank Norris dal titolo
McTeague (è il nome del protagonista principale),
von Stroheim decide, impuntandosi, di voler girare tutta la vicenda nelle reali location descritte dal testo, location che comprendono la città di San Francisco ma soprattutto lande inospitali come quelle della Sierra Nevada e della Death Valley californiana. Le riprese si allungano, la messa in scena di
von Stroheim è minuziosa fino al parossismo, si arriva alla mole record di 42 rulli di girato per un equivalente vicino alle sette ore di film, una cosa improponibile per l’epoca e difficile da commercializzare. Durante la realizzazione del film tutto finisce in mano alla
Metro-Goldwyn-Mayer di
Irving Thalberg;
Rapacità, già scorciata di circa metà del girato dallo stesso
von Stroheim, con l’aiuto del regista
Rex Ingram arriva a una lunghezza di tre ore di girato. Non ancora soddisfatti, in
MGM, tramite i loro montatori a stipendio, arrivano a una soluzione finale di soli 108 minuti; uno stupro per
von Stroheim che pare sia scoppiato in lacrime assistendo alla proiezione di quello che per lui era il massacro del suo (capo)lavoro. Oltre al danno, la beffa: il materiale scartato va quasi tutto irrimediabilmente perduto, la versione addomesticata di
Greed si rivela un insuccesso commerciale a fronte di una spesa inusitata per l’epoca, una cosa come 470.000 dollari. Ma vediamo di cosa tratta
Rapacità.
McTeague (
Gibson Gowland) è un uomo all’apparenza mite e buono, ma in situazioni particolari capace di atti violenti. Prima minatore, poi apprendista dentista, con il tempo
McTeague apre un suo studio a San Francisco. Quando il suo amico
Marcus (
Jean Hersholt) porta sua cugina
Trina (
ZaSu Pitts), della quale è invaghito, da
McTeague per la cura di un dente, questi se ne innamora. Il contrasto che potrebbe nascere tra i due uomini è smorzato subito da
Marcus, il quale decide di farsi da parte in virtù dell’affetto sincero che prova per il suo amico
McTeague. In studio
Maria (
Dale Fuller), donna delle pulizie, vende a
Trina un biglietto della lotteria che in seguito si rivelerà vincente. Ormai ricca, seppur non completamente convinta della loro unione,
Trina acconsentirà a sposare
McTeague, sinceramente innamorato della novella sposa. Con il matrimonio, ma soprattutto a causa dei soldi vinti da
Trina,
Marcus torna sui suoi passi e inizia a sviluppare un odio profondo per
McTeague, a suo modo di vedere reo di avergli sottratto donna e denaro. Col passare del tempo, per
Trina la vita matrimoniale si rivela meno felice di quel che lei potesse pensare, non per colpe particolari di
McTeague che in fondo è un buon uomo, inoltre sorge nella donna un attaccamento morboso a quel denaro vinto, tanto da non volerlo spendere e da iniziare a trattarlo come un “oggetto” da amare e adorare. La donna inizierà a chiedere per ogni cosa soldi al marito, rifiutandosi di attingere al suo patrimonio. Quando le cose volgeranno al peggio, con lo zampino di
Marcus, la situazione per
McTeague diverrà insostenibile, ma ancora la moglie non sarà disposta ad aiutarlo. Le cose si avviano verso un’inevitabile aura di tragedia.
Nel 1999 la
Turner Entertainment tenta un restauro dell’opera integrandola con intere sequenze basate sui pochi fotogrammi ritrovati dei passaggi perduti del film. Questa versione raggiunge le quattro ore di durata, dando la possibilità agli appassionati di vedere qualcosa di più vicino alle reali intenzioni del regista, se poi questo abbia davvero fatto bene al film di
von Stroheim è tutto da vedere. Con più di metà del film ricostruito con immagini statiche, è normale che il ritmo pensato dal regista per la sua opera venga a cadere, spezzato e inframezzato di continuo da inserti fotografici che, insieme alle didascalie aggiunte, hanno il pregio di ridare chiarezza e completezza alla trama, ma allo stesso tempo “ammazzano” la fruibilità di un’opera che molto probabilmente è comunque meglio approcciare nella sua versione menomata da 108 minuti. Ma quali sono gli elementi che hanno reso
Rapacità uno dei titoli significativi nella Storia del cinema muto e non solo? Iniziamo col dire che
Greed è uno dei primi film ad alto budget della Hollywood che fu; questo permise a
von Stroheim di girare quasi tutte le scene in esterni, cosa all’epoca altamente inusuale (in studio era più facile avere tutto sotto controllo) e che diede al film, insieme ad altri particolari, uno spirito naturalista che molto si avvicinava all’opera letteraria di
Frank Norris. A questo proposito vale la pena ricordare i patimenti del cast che fu costretto a recitare in condizioni proibitive nella Death Valley, uno degli ambienti più ostili al mondo, cosa che provocò tanto di malori e corse in ospedale. Sappiamo inoltre come il capitale e il denaro in generale saranno un tema portante non solo al cinema ma anche per lo sviluppo futuro dell’intera società americana;
von Stroheim mette qui in (cattiva) luce quella fame dell’oro che porterà l’uomo alle peggiori brutture e a calpestare tutto ciò che c’è di nobile nella vita: amicizia, amore, fiducia, solidarietà. Lo fa con una forza non comune (per l’epoca), senza risparmiare al pubblico scene forti e personaggi capaci di tirar fuori al momento opportuno tutto il loro peggio. Da sottolineare anche l’uso reiterato di elementi simbolici da parte del regista; emblematica la sequenza del matrimonio tra
Trina e
McTeague dove, in profondità di campo, fuori dalla finestra della stanza dove si svolge la cerimonia, passa un corteo funebre, come a predire lo sviluppo infausto di quel matrimonio (del matrimonio?), un vero colpo di genio, di molto superiore anche al didascalico inserimento di braccia quasi scheletriche atte a ravanare nell’oro, un’immagine più sfacciata e diretta, efficace ma con meno eleganza di quella sopra descritta. Altro ottimo esempio è quello che coinvolge
Marcus, il gatto, gli uccellini… ma non sveliamo troppo a giovamento di chi volesse dare un’occasione al film.
Stroheim, inoltre, non disdegna di mostrarci tutta la sporcizia, la miseria, il sudore alle quali sono soggette le classi più disagiate, situazione in questo caso autoinflitta dalla loro stessa rapacità (“avarizia” forse sarebbe stato un termine migliore). Rimane, nella versione da quattro ore, il dubbio sulla reale funzione di due sottotrame praticamente sparite nel rimaneggiamento da parte di
MGM, forse quella di mostrare, per quella dedicata ai due anziani coinquilini, almeno uno spiraglio di luce in tanta bruttura. Onesto e diretto, forse fin troppo per quei tempi,
von Stroheim si vide scempiare il suo capo d’opera, del quale purtroppo ancor oggi non ci è dato poterne ammirare una versione vicina alla reale volontà del regista. Chissà se in qualche magazzino, in qualche polverosa soffitta, in un anfratto maledetto… chissà, magari un giorno...