mercoledì 15 gennaio 2025

ATOM, IL MOSTRO DELLA GALASSIA

(Gezora, Ganime, Kameba: Kessen! Nankai no daikaijû di Ishirō Honda, 1970)

Ogni tanto, anche nel passare qualche brutto momento a causa di influenze dai risvolti pesantucci, si riesce a trovare qualcosa di (relativamente) positivo. Se nella vita di un uomo vicino ai cinquanta le cose girano più o meno nella normalità, cosa che già è una fortuna visti i tempi che corrono, il sopra citato uomo dovrebbe trascorrere le sue giornate a lavoro: ufficio, colleghi, rotture di palle, pausa caffè, schermo del computer e via di questo passo. Salvo congiunzioni astrali molto fortunate però, in media, almeno una volta l'anno capita di buscarsi qualcosa e di dover usufruire febbricitanti di un paio di giorni di mutua, a chi non è mai capitato? Ora, questo cosa comporta? Comporta di trovarsi a casa al mattino in piena settimana e in un periodo non festivo, situazione spesso anomala per un lavoratore, impossibilitato a uscire, cotto a puntino e frantumato sul letto (sappiamo tutti quanto qualche linea di febbre possa distruggere un uomo!). Probabilmente, luogo comune ma non così lontano dal vero, una donna ne approfitterebbe per fare qualcosa di utile, forze permettendo (l'organismo femminile ne tira sempre fuori in misura maggiore), un uomo però può comunque adoperarsi per allungarsi, raggiungere il telecomando e iniziare a fare zapping. E qui si apre un mondo, un mondo fatto di canali privati di terza, quarta e quinta categoria (prima e seconda nemmeno sono contemplate), spazi pieni di televendite inconcepibili, pubblicità locali che fanno rimpiangere amaramente slogan come quello che diceva: "se tuo figlio spilungone non ci sta tutto nel letto non cercare di accorciarlo, piuttosto pensa a... segue marca di materassi che non ricordo", repliche di telefilm ormai dimenticati e perduti nel tempo come lacrime nella pioggia e riproposti in maratone concepite con rigoroso ordine casuale e, a volte, se siete fortunati, da qualche bel ritorno all'infanzia. Sesta Rete (o SuperSix, vedi mai si sintonizzasse qualche ammalato britannico); il mio peregrinare pallido (molto) e assorto (molto meno) si imbatte nei primissimi istanti di un kaiju eiga, da bimbo li adoravo, ce n'è qualcuno di cui non conosco nemmeno il titolo che vorrei tanto rivedere (1), facendo qualche ricerca su Google mentre guardo il film scopro trattarsi di Atom, Il mostro della galassia (i titoli di testa erano già passati, SuperSix non offre informazioni, ma il web...), febbre a 38 o più, mi preparo alla sublime visione...

L'umanità si prepara a festeggiare la conquista di Giove, la sonda spaziale Helios-7 viaggia verso il pianeta gigante; durante il viaggio la sonda terrestre viene però invasa e dirottata da quella che all'apparenza sembra essere una sostanza gassosa blu, dopodiché Helios-7 compie una sorta di dietrofront per atterrare nuovamente sulla Terra, vicino un'isola abitata da una tribù di indigeni con tanto di santone e da una popolazione di giapponesi in loco sin dai tempi della guerra in qualità di colonizzatori. Una volta ammarata l'Helios-7, l'entità aliena (Atom) prende possesso di una seppia modificandone la struttura fisica (Gezora) ingigantendola e rendendola molto, molto aggressiva. Dopo i primi avvistamenti e la scomparsa delle prime vittime, un gruppo formato da alcuni indigeni, tra i quali c'è il giovane Rico, (Noritake Saito) e da alcuni giapponesi come il fotografo Taro Kudo (Akira Kubo), tenta di opporre resistenza e fermare la creatura. Atom però non si limiterà a possedere la seppia ormai gigante, trasformando e alterando anche una granchio (Ganime) e un'iguana (Kamoebas). La lotta sarà impari e senza quartiere, non mancheranno scontri tra gli stessi mostri e un finale in cui l'ingegno dell'uomo e le forze della natura troveranno il modo per rimettere a posto le cose.

I Kaiju Eiga (strana bestia letteralmente) sono i classici film di mostri giapponesi, pellicole che vedono protagoniste creature di norma giganti, devote alla distruzione, dall'effetto sullo schermo spesso incline al "ridicolo" grazie al loro aspetto da giocattoloni di gomma realizzati in economia (almeno i classici). Dietro l'apparente facciata scanzonata è però necessario andare a leggere tra le righe cercando di capire come dietro alcuni elementi di questo tipo di film, esploso in maniera definitiva nel 1954 con l'uscita di Godzilla (sempre di Ishirō Honda, vero maestro del genere), si nascondano paure e traumi del Giappone del secondo dopoguerra, un Paese che porta ancora fresco nella memoria il ricordo delle tragedie immani di Hiroshima e Nagasaki, della distruzione, del pericolo nucleare (il cui provocare deformità è insito nella natura di questi mostri) e della devastazione delle città, altro elemento che spesso ricorre in questo tipo di film e, non dimentichiamo, telefilm (pensiamo a Megaloman, Ultraman, etc...). Detto che le origini che stanno dietro la nascita di queste mostruosità e di questi film poggino su basi più che serie e rispettabili, nella fattispecie Atom, il mostro della galassia, tra gli ultimi film di Honda, si lascia ricordare per la singolarità della scelta del mostro principale, una seppia gigante che, nonostante l'aspetto un poco ridicolo, viene animata in maniera egregia dal direttore degli effetti speciali Teruyoshi Katano, arrivato in sostituzione del maestro Eiji Tsuburaya da poco scomparso (da poco all'epoca del film si intende), grazie al movimento dei tentacoli della bestia molto credibile e dinamico. Per il resto il film va preso un po' così, come ritorno a un altro tempo (del cinema, della nostra vita); di per sé la trama è un mero pretesto per inscenare lo scontro tra l'ingegno dell'uomo e la forza primordiale di queste bestie mutate, tra qualche ingenuità e diversi passaggi ben realizzati ne esce un film perfetto da guardare sotto effetto di antipiretici, ci si gode i momenti con questi mostri giganti, i loro suoni inarticolati e l'arte molto materica dell'arrangiarsi con gli effetti speciali. Nostalgico.

1. Per chi volesse aiutarmi a recuperare il titolo di un film di cui serbo solo un vago ricordo ma che ho la ferma impressione da piccolo mi piacesse parecchio (all'epoca li replicavano spesso), lo spunto è il seguente: ricordo una statuetta recapitata a qualcuno in una scatola, la statuetta in qualche modo poi si animava cambiando dimensioni e diventando una sorta di guerriero che poi (forse) avrebbe combattuto i mostri. Il ricordo però potrebbe anche essere fallace, se qualcuno avesse informazioni a riguardo sentitamente ringrazio.

domenica 12 gennaio 2025

GIURATO NUMERO 2

(Juror #2 di Clint Eastwood, 2024)

Il 31 maggio prossimo venturo Clint Eastwood compirà ben novantacinque anni. Ora cerchiamo di immaginare la quantità di energia che deve avere un uomo che a quasi novantacinque anni suonati è capace di dirigere un film come Giurato numero 2, un'opera che come ci si aspetta da Eastwood sfoggia un impianto molto classico (con alcuni scarti interessanti dalla tradizione) ma soprattutto pone lo spettatore di fronte a dilemmi etici e morali che dovrebbero essere alla base di ogni società, di ogni convivenza, di ogni sistema volto a garantire non solo (cieca) giustizia ma soprattutto giusti pesi, giuste misure e magari, dove fattibile, di offrire a tutti la possibilità di vivere senza pregiudizio le proprie seconde occasioni. Sono temi importanti, fondanti verrebbe da dire per imbastire, costruire e poi ampliare discorsi su ipotetiche società (e mondi) migliori, discorsi che oggi più di ieri sappiamo essere utopistici; nonostante questo Clint getta il sasso, prova a farci riflettere, dice la sua, ancora una volta ci propone un film profondamente morale e tra l'altro compie l'operazione senza ricorrere a toni moralistici né tantomeno paternalistici in un'apertura di riflessioni che lasciano campo aperto a ben più di un'approfondimento. Per fare tutto questo Eastwood torna a Savannah, in Georgia, luogo dove il regista già ambientò nel 1997 Mezzanotte nel giardino del bene e del male.

Justin Kemp (Nicholas Hoult) è un marito amorevole in attesa di diventare padre per la prima volta, cerca in tutti i modi di alleviare lo stress della gravidanza dalle spalle della moglie Ally (Zoey Deutch), la ragazza è infatti molto preoccupata a causa di vicende passate e dal fatto che suo marito dovrà assentarsi per qualche tempo in quanto selezionato per far parte di una giuria in un processo per probabile omicidio, proprio come prevede il sistema giudiziario americano. La vittima è una giovane donna, Kendall Carter (Francesca Eastwood), ritrovata in fondo a un dirupo ai margini di una strada poco illuminata; la ragazza era stata vista da diversi testimoni litigare in un bar in maniera veemente con il suo ragazzo, tal James Sythe (Gabriel Basso), un tipo dal passato discutibile e incline alla collera che diventa in maniera naturale l'indiziato (il colpevole?) numero uno. Dopo gli interventi del difensore d'ufficio (Chris Messina) e quelli dell'avvocato dell'accusa Faith Killbrew (una fantastica Tony Colette), la giuria, della quale Kemp è il giurato numero due del titolo, dovrà riunirsi per tirare fuori un verdetto che di primo acchito sembra essere già scritto. All'interno di un gruppo di giurati pronto a condannare Sythe le uniche voci discordi sono in parte quella del giurato di nome Harold (J. K. Simmons), non troppo convinto del fatto che la polizia abbia indagato a dovere su un caso all'apparenza semplice, e proprio quella del nostro giurato n. 2 che dopo qualche dubbio si convince dell'innocenza dell'imputato in quanto, all'insaputa di tutti (anche di sé stesso fino a quel momento), protagonista involontario e diretto della morte della giovane Kendall (non è uno spoiler, si scopre nei primissimi minuti del film). Così Kemp inizierà ad adoperarsi affinché gli altri giurati convertano il loro verdetto da colpevole a innocente nella speranza di ottenere una buona soluzione per tutti, cosa che però alcuni dei compagni di giuria non sembrano disposti a fare.

Con Giurato numero 2 siamo all'interno del filone processuale e giudiziario protagonista di tanto cinema americano (e non solo, pensiamo al recente Anatomia di una caduta), più dalle parti de La parola ai giurati (Sidney Lumet, 1957) che non da quelle di opere più votate al dibattimento in aula o al ruolo da protagonisti di avvocati e testimoni, cose alla Perry Mason giusto per intenderci. La fase in aula è ovviamente presente ma ciò che interessa davvero a Eastwood è quel che succede nella sala e nelle teste (e nei cuori e nelle pance) dei giurati, uno dei quali affronta un dilemma di coscienza insostenibile, consapevole di poter essere stato lui stesso l'involontario artefice della morte della ragazza e al contempo impossibilitato alla confessione non solo dalla legittima paura di una punizione oltremodo pesante da parte del sistema giudiziario americano a fronte di quello che a conti fatti sarebbe da considerare come un incidente (da recuperare le parole di Kiefer Sutherland, avvocato amico di Kemp, che non lasciano speranza in caso di confessione) ma anche dalla responsabilità verso una famiglia nascente che verrebbe abbandonata a sé stessa e che perderebbe il perno emotivamente più stabile in un momento di evidente stress della consorte. Su queste basi sono tantissimi gli spunti di riflessione morale che vengono sollevati nel corso dello sviluppo del film, il primo dei quali è la sufficienza con cui a volte si giudicano gli attori di questi fatti delittuosi (il true crime oggi ci ha reso anche tutti criminologhi, almeno una volta ci si limitava ad essere allenatori di calcio) qui esemplificata dalla svogliatezza di alcuni giurati che "hanno da fare", hanno famiglie che li aspettano a casa e non hanno tempo da perdere, e allora colpevole sia! In fondo è facile, sembra tutto chiaro. Purtroppo non lo è e Kemp lo sa. Il giurato numero 2 è mosso da senso di colpa, sentimento che gli altri undici giurati non provano, è lui che spingerà per rivedere con calma tutte le possibilità e non affrettare una decisione che sì gli toglierebbe le castagne dal fuoco ma che pure condannerebbe un innocente. Inoltre, in un passato ormai lontano, c'è qualcosa che potrebbe, in caso di confessione, non deporre in suo favore e aumentare l'eventuale pena, si amplifica quindi un conflitto tremendo tra colpa e paura che inizia a pesare su Kemp in maniera pesante. Dopo alcune riflessioni entra in ballo il concetto di giustizia, in maniera simbolica, anche didascalica se vogliamo, richiamato da Eastwood già nei titoli di testa, in un caso come questo è possibile davvero ottenere un verdetto giusto che non rovini inevitabilmente (e ingiustamente) la vita di qualcuno? Altro nodo focale è quanto conti la propria felicità (e quella dei propri cari) a dispetto di quella di altri, dilemma qui non solo pertinente al giurato numero due ma anche alla stessa Killbrew (l'avvocato d'accusa) in procinto di ottenere un avanzamento di carriera legato proprio alla condanna dell'imputato. E in tutto questo bailamme etico e morale possiamo dire che il sistema funzioni davvero? Che non sia fatto anche di funzionari e poliziotti svogliati, faciloni, menefreghisti, autorità pronte a far condannare un sospettato senza aver nemmeno tentato di dirimere ogni ragionevole dubbio? Clint ci lascia con un'ipotesi di chiusura ma soprattutto con tanti moniti, riflessioni aperte su valori altissimi come giustizia, verità, etica, obbligo morale e piaghe come pregiudizio e opportunismo, fermo restando la presenza di un sistema molto fallibile e molto spesso iniquo.

venerdì 3 gennaio 2025

LA VALANGA AZZURRA

(di Giovanni Veronesi, 2024)

Pur non essendo un grande appassionato di sport (e in generale nemmeno di documentari a tema sportivo) devo ammettere il mio debole per lo sci, disciplina che seguo invece con continuità e con una certa passione pur non avendo mai inforcato un paio di sci in tutta la mia vita. Questa è la principale ragione, diciamo pure l'unica, che mi ha spinto a guardare il documentario di Veronesi insieme all'affetto nutrito per Paolo De Chiesa, qui tra i protagonisti e ormai presenza fissa in casa nostra da parecchi anni in veste di commentatore per la RAI delle gare di Coppa del Mondo di sci (e mondiali, gare olimpiche, etc...). Manca per chi scrive l'effetto nostalgia provato da Veronesi stesso e dal giornalista Lorenzo Fabiano che qui lo accompagna nella ricostruzione di un'epoca, due uomini che per meri motivi anagrafici hanno potuto vivere le emozioni e i trionfi che la valanga azzurra ha regalato a tanti italiani e al Paese, trionfi che, sempre per le solite ragioni anagrafiche, io non ho vissuto in prima persona (e poi a casa nostra, quando io ero piccolo, lo sci non si sapeva nemmeno cosa fosse, i più grandi esperti mondiali in materia per me erano Heidi e suo nonno). La storia della nazionale italiana di sci degli anni 70 è in ogni caso una di quelle che meritano di essere ricordate (tenendo sempre a mente che lo sci è uno sport individuale e non di squadra), per apprezzarla non è quindi necessario averla vissuta in diretta, anche per chi è arrivato con un poco di ritardo questo La valanga azzurra si rivelerà una bella visione, un modo per conoscere anche gli altri protagonisti di quell'epoca oltre agli ancor oggi notissimi Gros, Thöni e De Chiesa.

Giovanni Veronesi, nell'assemblare la storia della nostra valanga azzurra, si ritaglia un ruolo di co-protagonista all'interno del film in qualità di intervistatore onnipresente, attore di siparietti più o meno comici con i vari protagonisti, rievocazioni dei fatti dell'epoca insieme al sodale Fabiano e mettendoci addirittura alcuni filmini di gioventù che dimostrano la sua precoce passione per lo sci e di conseguenza per questo gruppo di uomini che fecero la storia di questo sport (di donne si parla poco, giusto un accenno) e raccontandoci anche il suo prematuro ritiro dalle piste causa infortunio e conseguenze calata della mamma a vietare questa pratica così pericolosa per i suoi pargoletti. Lo scenario che prende corpo dinnanzi agli spettatori ignari dei dettagli di quegli anni ormai lontani nel tempo, descritti con trasporto da Lorenzo Fabiano, tratteggiano un momento storico sportivo in cui la nazionale italiana di calcio non regalava grandi soddisfazioni, un elemento che contribuì in parte a far balzare alle stelle la popolarità delle imprese di questa squadra di grandi campioni (così come di quella del tennis di quel periodo) capaci di innalzare lo sci a livelli altissimi non solo di popolarità ma anche in termini di indotto economico trasformando uno sport per pochi eletti in una pratica decisamente più diffusa e alla portata di molti. E allora via con le imprese di Gustavo Thöni, vero cardine della squadra attorno al quale emersero e crebbero i vari Piero Gros, Paolo De Chiesa, Rolando Thöni, Franco Bieler, Fausto Radici e diversi altri ancora.

La narrazione corre sciolta e il registro leggero scelto da Veronesi rende piacevole la visione, ci si sofferma molto, ovviamente, sulle vittorie e su alcune delle imprese chiave del periodo, sulla rivalità tra Thöni e il grandissimo Ingemar Stenmark (che contribuì non poco alla fine del periodo d'oro della valanga), sulle dinamiche di squadra con focus particolari sul lavoro dell'allenatore Oreste Peccedi e su quello del commissario Mario Cotelli, personaggio non benvisto proprio da tutti, al contrario dello stimatissimo Peccedi. Ci si sofferma forse poco sugli aspetti negativi del periodo, sulle tragedie all'epoca non così inusuali (quelle immagini degli sciatori che si schiantano sulla casetta), sulla sicurezza da migliorare, sull'allontanamento degli sciatori "sindacalisti" e anche sulla vicenda per molti aspetti tragica (che per fortuna può raccontare lo stesso protagonista) accaduta a De Chiesa, vicenda che in molti ancora non conoscono, un momento forse arrivato un po' così nell'economia del documentario ma sicuramente sentito, doloroso e che ci fa amare ancora un po' di più il nostro Paolino. Alla fine ne esce un docufilm scorrevole, divertito, simpatico che inquadra per sommi capi periodo e campioni donando il giusto tributo a un gruppo di (ex) ragazzi che tanto hanno dato al loro sport e alla nostra nazione, in attesa che quei tempi, almeno al maschile, ritornino (le nostre donne in realtà già si difendono molto, molto bene).

mercoledì 1 gennaio 2025

STRANGE WORLD - UN MONDO MISTERIOSO

(Strange world di Don Hall e Qui Nguyen, 2022)

Durante le festività natalizie è sempre piacevole mettersi sul divano, infilarsi sotto una bella copertina e, bevanda calda alla mano, andarsi a recuperare qualche bel cartone animato; così, dopo aver visto il fallimentare Wish di casa Disney, abbiamo fatto un passo indietro recuperando anche il classico precedente uscito a fine 2022, Strange World - Un mondo misterioso che vede alla regia un quasi veterano Don Hall che all'attivo vanta già Winnie the Pooh - Nuove avventure nel bosco dei 100 acri, Big Hero 6, Oceania e Raya e l'ultimo drago; per questo Strange World Hall è coadiuvato alla regia dal collega Qui Nguyen già soggettista di Raya. Proprio quest'ultimo titolo, che vedeva già coinvolti i due artefici di Strange world, preoccupava un poco per l'esito di questo nuovo film; per ricordare di che cosa parlasse Raya (film anonimo come Wish ma meglio realizzato) sono dovuto andare a rileggere il commento al titolo in questione, cosa che dimostra come l'opera nulla abbia lasciato alla memoria. Allo stesso modo anche Wish, a pochi giorni dalla visione, sta iniziando a sgretolarsi nella mia mente, film più attento a non scontentare nessuno che non a costruire un qualcosa di seppur minimamente interessante o coinvolgente. Diciamo quindi che non si è partiti proprio con il piede giusto nell'affrontare questa visione e invece, sorpresa sorpresa, Strange world si è rivelato un prodotto ben confezionato, divertente e con diverse frecce al suo arco (temi) su cui costruire una bella storia; magari mai diventerà uno dei capisaldi di casa Disney ma almeno il film offre un intrattenimento ben più che piacevole anche se, dati alla mano, anch'esso al botteghino è andato maluccio, facendo così un bel buco nell'acqua (e non solo). C'è da dire che oggi Disney ha la possibilità di recuperare pubblico e soldi con gli abbonamenti su piattaforma, lì pare che Strange world abbia fatto faville, diventa più difficile quindi inquadrare se un film nel complessivo arco di fruizione possa considerarsi o meno un vero flop, diciamo che almeno in prima battuta Strange world (come altri prodotti della Disney più recente) non ha di certo "spaccato".

Avalonia è una ridente cittadina incastonata nel mezzo di montagne invalicabili, quindi un poco isolata e con qualche difficoltà in fatto di innovazione e progresso. Per fortuna tra i suoi abitanti ci sono i Clade; papà Jaeger è un intrepido avventuriero disposto a tutto pur di valicare le montagne e andare alla scoperta di nuovi mondi e nuove possibilità per Avalonia, suo figlio Searcher, più mite e riflessivo, è più il tipo dello studioso, uno che cerca di tirare fuori il meglio dalle risorse a disposizione, da ciò che offre la terra, e per questo poco apprezzato dal padre che vorrebbe un discendente coraggioso e scavezzacollo come lui, pronto a buttarsi a capofitto verso l'incognito. Durante una spedizione alla quale partecipano anche il sindaco Callisto Mal e altri avventurieri i Clade si separano: Jaeger andrà incontro all'incognito senza far più ritorno a casa, Searcher si fermerà a studiare una nuova pianta, il Pando, dalla quale riuscirà ad estrarre l'energia necessaria ad Avalonia per fare il balzo in avanti e ottenere così luce elettrica, mezzi tecnologici, sostentamento e una vita moderna ed equilibrata. Searcher diverrà così un vero eroe per Avalonia, si dedicherà alla coltivazione su vasta scala del Pando, si sposerà con la coltivatrice Meridian dalla quale avrà anche un figlio, un ragazzo in gamba di nome Ethan. Dopo alcuni anni il Pando inizia a perdere le sue capacità energetiche, il problema sembra arrivare direttamente dalle radici, dalle profondità della terra, insieme a Callisto il mite Searcher sarà costretto a imbarcarsi in una nuova e pericolosa avventura nel tentativo di salvare il Pando e Avalonia tutta, sarà seguito dalla sua famiglia in un viaggio in uno "strano mondo" sotterraneo dove ritroverà suo padre e dovrà fare i conti con una serie di "legami di famiglia" tutti da scoprire e imparare ad apprezzare.

Se Wish si apre tornando al classico librone delle fiabe con le pagine che si sfogliano da sole che caratterizzava i primi storici lunghi d'animazione Disney, Strange World - Un mondo misterioso, tenendo fede al suo genere d'elezione, offre una bellissima apertura che omaggia i fumetti d'avventura vintage, i pulp magazines alla Doc Savage, i libri di genere per ragazzi, sfoggiando inoltre un logo che non può non riportare alla mente uno dei più grandi eroi d'avventura moderni, l'intramontabile Indiana Jones di Steven Spielberg. E in fondo questo è Strange World, un bel film d'animazione di genere avventuroso, magari non troppo innovativo ma ben realizzato, ben saldo nel suo genere e con delle cose da dire, magari non tutte inserite al meglio nel contesto generale ma che garantiscono più livelli di lettura e un intrattenimento più interessante di quel che l'anno successivo la Disney realizzerà con Wish. Al centro della narrazione ci sono i legami familiari padre/figlio e lo scontro tra generazioni. Hall e Nguyen ci presentano due padri, di diversa fattura, che cercano di forzare i loro figli a seguire le loro stesse orme e a forgiarli secondo la propria natura: Jaeger vede in suo figlio un animo troppo mite, poco avventuroso e non accetta i suoi interessi per il mondo circostante, quello più a portata di mano; allo stesso modo Searcher non accetta che suo figlio Ethan abbia una grande ammirazione per il ritrovato nonno e che nei suoi desideri sia più simile a lui che al suo stesso padre. A differenziarlo da entrambi, questione che apre un bel discorso, anche incoraggiante sulle nuove generazioni, il fatto che il ragazzo sia più attento all'ambiente, alla vita e al rispetto per l'altro dei componenti più anziani della sua famiglia. C'è un concetto di famiglia ampio e moderno nel film, anche esageratamente inclusivo (papà bianco, mamma nera, figlio gay, cane disabile, donna macho e super affermata, etc..) come ora sembra essere d'obbligo, unico punto gestito con superficialità, non ci sono temi e approfondimenti a riguardo, alcune scelte sono ingenue, il nonno ad esempio è un uomo d'altri tempi che rompe le scatole su tutto ma accetta di buon grado le relazioni omosessuali del nipote, un po' un controsenso per il personaggio, diciamo che questo potrebbe essere l'ideale punto d'arrivo in una società dove l'inclusività sarà la prassi, il tutto andrebbe però gestito con un poco di senso e non solo tanto per fare. Il film (no spoiler) si avvia alla fine con una bella nota ecologica che chiude il cerchio di una narrazione nel complesso ben realizzata e divertente, visivamente colorata e strutturata con la giusta dovizia di particolari e attenzione. Magari Strange world sarà stato un flop al botteghino ma dal punto di vista qualitativo in fondo non ci si può lamentare.

lunedì 30 dicembre 2024

WISH

(di Chris Buck e Fawn Veerasunthorn, 2023)

La Walt Disney Animation Studios fu fondata nel 1923 dai fratelli Walt e Roy Disney; facendo due calcoli nel 2023, anno di uscita di questo Wish, la casa cinematografica che diede i natali a Topolino, Paperino, alla Biancaneve di celluloide e a tantissimi altri miti dell'infanzia più o meno di chiunque ha compiuto 100 anni. 100 anni non si compiono tutti i giorni, così in casa Disney hanno pensato di celebrare la lietissima ricorrenza dedicando ad essa il Classico di quell'anno, nella fattispecie Wish che è il sessantaduesimo dei Classici Disney. Probabilmente non avrebbero potuto fare peggio (si ok, avrebbero anche potuto, ma ci siamo capiti). Per inquadrare con poche parole la debacle artistica alla quale la Disney è andata incontro con Wish, il quale viene considerato (almeno per quel che riguarda le sale) anche un flop commerciale, basti dire che nello stesso anno lo Studio Ghibli, senza dover festeggiare particolari ricorrenze se non l'avvicinarsi della pensione per il maestro Miyazaki, è uscito con Il ragazzo e l'airone. Ora il parallelo non vuole essere uno sparare sulla croce rossa, il confronto per forza di cose risulterebbe scomodo (impietoso?) per la Disney che ne uscirebbe con le ossa rotte date le qualità messe in campo, è però un chiaro segnale di come le cose dalle parti di Burbank non stiano funzionando a dovere, nemmeno un po', soprattutto vista l'occasione ghiottissima del centenario che avrebbe dovuto essere salutato con un film memorabile e non con un'opera fiacchissima che si riduce al divertimento dello scovare i vari easter eggs e le citazioni della storia dei classici d'animazione Disney sparsi per tutta la durata di questo Wish, filmetto abbastanza insignificante se privato del summenzionato giochino. Un poco di impegno in più sarebbe stato auspicabile.

Il felice regno di Rosas è retto dal magnifico Re Magnifico (sigh!), un regnante che ha studiato la magia fino a padroneggiarne l'arte tanto da apprendere i segreti per realizzare i sogni dei suoi sudditi che proprio per questo motivo amano e idolatrano il loro sovrano e la sua consorte Amaya. Così i cittadini di Rosas affidano i loro sogni a Magnifico affinché questi li custodisca in attesa della cerimonia mensile durante la quale il sogno di uno dei sudditi verrà realizzato. Questa procedura, che all'apparenza potrebbe sembrare... ehm... magnifica, in realtà induce i cittadini a dimenticare il loro sogno proprio perché affidato a un altro e non più in loro possesso, rendendoli un po' più vuoti nell'attesa che il sogno venga esaudito e reintegrato in loro. Tra i tanti abitanti del regno a Rosas vive anche la famiglia della giovane Asha, un ragazza che vorrebbe veder esaudito il sogno di suo nonno Sabino che compie 100 anni (sì, come la Disney) e magari diventare una discepola e seguace del Magnifico, aiutandolo nella gestione dei sogni dei cittadini di Rosas. Ottenuta la possibilità di sostenere un provino per diventare effettivamente aiutante di Magnifico, la ragazza scopre che il re non è affatto un uomo di buon cuore ma che vaglia uno per uno i sogni dei suoi sudditi esaudendone solo quelli banali e innocui e accantonando per sempre tutti quelli che potrebbero anche solo minimamente alterare lo status quo del regno, motivo per il quale il desiderio di nonno Sabino viene messo da parte. Delusa Asha confida il suo scoramento alle stelle che le mandano come aiutante/angelo custode una delle stelle di Super Mario Galaxy (o qualcosa di molto simile); con il suo aiuto e con quello dei sette nani, no, scusate, con quello dei suoi sette amici, Asha tenterà di aprire gli occhi alla gente di Rosas e rovesciare il Magnifico.

Vista anche l'occasione particolare Wish si rivela un film parecchio deludente. Di divertente c'è la ricostruzione della storia delle produzioni Disney attraverso strizzate d'occhio e citazioni che a un certo punto si iniziano a cogliere a ritmo incalzante, in parte distraendo lo spettatore dalla storia narrata (che tanto è poca cosa e non richiede troppa attenzione) ma anche offrendo l'unico spunto per poter apprezzare un film altrimenti fiacco. La storia ha pochissime chiavi di lettura se non le più scoperte, trite e banali del tipo "mai rinunciare ai propri sogni" viste e riviste milioni di volte, il personaggio di Asha non offre nessuno spunto degno di nota e sembra essere uno dei più dimenticabili e insapori creati dalla Disney negli ultimi anni, la stellina che la accompagna è ottima per realizzarne peluche e merchandising (è almeno caruccia da regalare ai bambini) e anche nel cast dei comprimari non spunta un personaggio degno di nota nemmeno a cercarlo con il lanternino. Ancora una volta manca un villain di peso, il Magnifico di magnifico non ha proprio nulla, forse giusto il ciuffo, lo sviluppo della vicenda è semplicemente scontato e noioso, anche l'idea di integrare l'animazione digitale a quella classica fallisce miseramente donando a Wish l'aspetto di un prodotto di seconda fascia, senza verve nemmeno sotto il punto di vista della mera animazione. Inoltre le canzoni, inserite una dietro l'altra, sono sinceramente sfiancanti, dopo un po' non se ne può più. La nota positiva è che se per festeggiare i suoi 100 anni la Disney ci ha regalato Wish, beh, le cose non potranno che andar meglio in futuro, anche se alcune recensioni di Oceania 2 lascino purtroppo supporre ben altro.

domenica 29 dicembre 2024

IL PIANTAGRANE

(di Marco Presta, 2012)

Anche al lettore al quale non fosse mai capitato di leggere un suo libro il nome di Marco Presta potrebbe non suonare del tutto nuovo. Sono infatti ormai quasi trent'anni che, insieme al sodale Antonello Dose, Presta scrive e conduce Il ruggito del coniglio, storico programma radiofonico della prima mattinata di Rai Radio 2 nel quale i due conduttori, con l'ausilio di vari ospiti, commentano le principali notizie d'attualità in chiave ironica (scovandone a volte alcune sinceramente demenziali), mettendo così in luce spesso e volentieri idiozie e storture del nostro Belpaese. Nel corso degli anni l'indole da burbero poltrone, pigro e non troppo amante delle belluine genti, dai gusti musicali ipercritici (e vai a dargli torto vista la monnezza che spesso passa la radio, anche la sua, e Presta non si fa scrupoli nel sottolinearlo) che l'autore si è costruito con sincerità e immediatezza, ha fatto breccia nel cuore degli ascoltatori, a livello di ascolti si parla di punte che superano il milione di presenze con medie poco al di sotto, davvero un bel successo per una trasmissione di tale longevità. Dopo esperienze a teatro e soprattutto tanta scrittura, non solo per la radio ma anche per diversi programmi televisivi (Un medico in famiglia, Dove osano le quaglie, Che tempo che fa) nel 2009 arriva l'esordio in libreria con una raccolta di brevi racconti di surreale idiozia, Il paradosso terrestre, che contribuisce a dare la stura al fiume di parole da sempre presente nella testa dell'autore e che finora ha trovato sfogo in poco meno di una decina di titoli tutti editi da Einaudi e dei quali Il piantagrane è il terzo in ordine d'uscita e, almeno tra quelli letti da chi scrive (i primi tre) il meglio riuscito.

Giovanni è un uomo mite, timido, proprietario di un vivaio che gli permette di vivere occupandosi delle sue piante, un lavoro che compie con amore e senza ambizioni di ricchezza. L'altra sua passione, segreta, è quella per la netturbina Nina, una giovane donna che Giovanni fa in modo di incontrare pressoché quotidianamente andando a gettare l'immondizia nei momenti più appropriati a favorire l'agognato incontro. Due parole scambiate oggi, un saluto domani, e proprio quando sembra che per Giovanni ci sia la possibilità di conoscere meglio Nina e passare un poco di tempo con lei ecco che Giovanni, inspiegabilmente, viene rapito. Giovanni ovviamente non si capacita del gesto del suo rapitore, un uomo basso, tozzo e rozzo che va sotto il nome di Granchio, in fondo il vivaista non è ricco, non ha conoscenze importanti, in vita sua non ha mai fatto male a una mosca, e ora che vuole questo Granchio? Proprio ora che doveva incontrare Nina poi! Il fatto in realtà è che Granchio ha rapito Giovanni per proteggerlo, certo glielo farà capire andando per le spicce, ma il fatto è che Giovanni a sua insaputa gode di uno strano potere, in sua presenza le persone tendono a dire la verità, a comportarsi con onestà e altruismo, a mettere da parte l'interesse personale per senso di giustizia e di corpo. Pensate il danno che potrebbe fare al Paese un uomo del genere! Due fazioni iniziano così a contendersi l'uomo che insieme a Granchio partirà per una fuga on the road per salvarsi la pelle adoperando il suo potere involontario in una serie di missioni che potenzialmente potrebbero cambiare l'intera nazione. Ma in fondo Giovanni vorrebbe solo rivedere Nina, riabbracciare la madre Elena...

Leggendo Il piantagrane è facile che possa sembrare al lettore di udire la voce narrante di Marco Presta raccontare le vicende del libro, è un cortocircuito naturale dettato dalla popolarità del conduttore radiofonico la cui voce, i toni, lo stile, sono immediatamente riconoscibili anche su carta. L'eloquio ricercato, ironico, a volte canzonatorio, provocatorio sempre con grazia e garbo, sono una cifra stilistica che Presta, volontariamente o meno, riesce a trasportare con naturalezza dal suo quotidiano lavorativo alla pagina scritta donando continuità al suo essere (uomo, conduttore, scrittore) in modo che il lettore che già lo conosce si senta facilmente "a casa" tra le pieghe del surreale racconto. Anche se non esplicitato il protagonista, Giovanni, si trova senza volerlo a contrastare i mali della nostra Italia i cui vertici si trovano a dover fronteggiare un terremoto d'onestà e giustizia alla quale francamente non sono preparati, cosa della quale purtroppo né il lettore, né l'autore, né i protagonisti si sorprendono più di tanto, come non ci sorprende che i nostri vertici questa onestà e questa giustizia non la vogliano vedere nemmeno di sfuggita, cosa che Presta sottolinea sempre con quel filo di ironia garbata che appartiene tanto al suo pensiero che al suo linguaggio (e anche al suo essere, possiamo confermarlo avendo avuto il piacere di incontrare l'autore a una sua presentazione, gentilissimo e disponibile nonostante nulla mi possa togliere dalla mente il pensiero che Presta avrebbe preferito, per mera indole, starsene sul divano di casa, magari a leggere un vecchio fumetto della Marvel). Oltre a una nemmeno troppo velata critica alla nostra società, Il piantagrane racconta anche il rapporto tra due uomini cresciuti in quelli che sembrano mondi diversi: uno mite e introverso, allevato da una madre amorevole, ordinario, l'altro che nella vita si è dovuto fare spazio a gomitate tra degrado e violenze, solitudini e ignoranze; dopo una naturale prima ritrosia Presta racconta con una punta di sentimentalismo l'avvicinarsi di queste due entità così diverse, in maniera spesso divertente, qualche volta toccante, altre riservandoci anche qualche punta di dolore. Ne esce un libro scanzonato che non manca di andare in profondità di quando in quando trovando quel giusto equilibrio che forse un pizzico ancora mancava alle opere precedenti dello scrittore romano.

venerdì 27 dicembre 2024

FIRMA AWARDS 2024 - FILM

Chiudiamo (forse) l'edizione 2024 dei Firma Awards con la categoria più nutrita che andrà a segnalare trenta FILM trenta meritevoli d'esser recuperati nelle vostre future visioni domestiche se questi ancora dovessero mancare alla vostra personale cultura cinematografica "moderna". Mettiamo il "moderna" tra virgolette perché come ormai sanno anche i muri qui non si premia solo materiale uscito nel corso del 2024 ma tutto ciò che è uscito negli ultimi vent'anni da me visionato solo quest'anno (roba comunque posteriore alla fine dello scorso millennio, quindi moderna). La scelta è stata effettuata prendendo in esame un numero molto cospicuo di opere, rimarranno quindi fuori dai giochi parecchie altre pellicole meritorie, ma così è la vita, dura, durissima, purtroppo non si può vincere sempre. Come per gli anni passati prendete le posizioni con le molle, tutto è personale, mitigato da un giudizio soggettivo, non ci sono assoluti (beh, qualcuno sì, per forza di cose, ma ci siamo capiti), non prendetevela se preferite la posizione ventisette alla quindici (numeri gettati lì a caso, è solo un esempio), stilare una classifica di merito così fitta è duro anche per me, ve lo garantisco. Prendete ciò che trovate qui sotto come semplici consigli di visione, lasciate pure qui o su FB commenti su come avreste distribuito voi i titoli proposti (se li avete visti), godetevi il viaggio e andiamo a cominciare dalla trentesima posizione della categoria FILM.


Trentesimo classificato:
Il Paradiso probabilmente di Elia Suleiman (2019)
Allontanandosi dalla sua Palestina Suleiman sembra perdere un po' il fuoco, ciò nonostante il pellegrinaggio muto tra Parigi e New York del regista (che interpreta sé stesso) sottolinea ancora una volta le storture del conflitto che coinvolge da decenni il suo Paese allargando il discorso al mondo occidentale tutto. L'opera dell'autore israelo-palestinese rimane sempre meritoria.



Ventinovesimo classificato:
This closeness di Kit Zauhar (2023)
Interessante voce giovane e femminile che mette al centro delle sue storie le difficoltà di una generazione di giovani (trentenni all'incirca) nell'affrontare le sfide della vita: incomunicabilità, confusione, ansie, mancanza di direzione, peso delle aspettative e relazioni interpersonali fotografate da un cinema indipendente, minimale e schietto. Consigliato anche il recupero del suo esordio Actual people (2021).



Ventottesimo classificato:
Le paludi della morte di Ami Canaan Mann (2011)
Figlia di cotanto padre, con Le paludi della morte Ami Mann anticipa di qualche anno le atmosfere che esploderanno, in altri luoghi ma piuttosto simili, nella splendida True Detective di Pizzolatto. Ottimo lavoro di scrittura sui personaggi, la Mann ci porta nei territori abitati da quel white trash a volte capace dei crimini più efferati. Ottima incursione nel genere.



Ventisettesimo classificato:
Great freedom di Sebastian Meise (2021)
Prison movie molto anomalo quello di Sebastian Meise che seguendo gli sviluppi nel corso del tempo del Paragrafo 175 del Codice Penale tedesco (che condannava i rapporti omosessuali tra uomini) narra le vicende del protagonista Hans Hoffmann, uomo risoluto a difendere la sua dignità e la sua natura, la sua voglia di amore e sesso libero, nel corso dei decenni fino all'abolizione di quel maledetto paragrafo. Doloroso.



Ventiseiesimo classificato:
I predatori di Pietro Castellitto (2020)
Davvero una bella sorpresa i due primi film di Pietro Castellitto (il secondo è Enea del 2023), due opere magari non perfettamente compiute ma di una vitalità divertente ed entusiasmante che lasciano intravedere una bella promessa per il futuro; per ora bene così, bravo Pietro!



Venticinquesimo classificato:
Cemetery of splendour di Apichatpong Weerasethakul (2015)
Un altro cinema. Il percorso personale del regista thailandese presenta una sensibilità peculiare per la costruzione delle storie e delle immagini, una sensibilità magica, spirituale per un racconto in bilico tra i mondi. Un'esperienza da affrontare, destinata a crescere nel tempo, non fatevi scoraggiare dalle prime impressioni nel caso queste risultassero avverse.



Ventiquattresimo classificato:
Cattive acque di Todd Haynes (2015)
Cinema d'inchiesta realizzato da Todd Haynes con tutti i crismi, doveroso perché ogni tanto indignarsi per storie magari dimenticate fa pure bene. L'avidità del sistema del capitale che non si ferma mai, nemmeno davanti alla perdita di vite umane, un ottimo Mark Ruffalo nella parte del Davide (ben supportato) contro Golia.



Ventitreesimo classificato:
Tokyo sonata di Kiyoshi Kurosawa (2008)
La crisi economica del 2008 flagella anche Tokyo e il Giappone, un Paese dove l'orgoglio e l'onore hanno un sapore e una valenza del tutto particolari. La difficoltà di un padre di famiglia ad affrontare il dramma della perdita del lavoro, le vicissitudini degli altri membri del nucleo familiare come specchio delle problematiche di un Paese. Contemporaneo.



Ventiduesimo classificato:
Winter boy - Le Lycéen di Christophe Honoré (2022)
Passaggio molto difficile nella vita di un ragazzo adolescente francese che si trova a dover elaborare il lutto per la morte prematura del padre e ad affrontare il suo desiderio d'amore omosessuale, fame di vita e pulsioni di morte da far conciliare con l'aiuto della famiglia. In parte biografico per il regista, colto in gioventù dalla stessa tragedia vissuta dal suo protagonista.



Ventunesimo classificato:
Dune (part one and part two) di Denis Villeneuve (2021/2024)
Villeneuve conferma d'avere il polso per la fantascienza; nonostante una partenza con il freno a mano tirato nella prima parte, comunque visivamente ineccepibile, con la seconda unisce forma e contenuto per una saga epica di cui si attende il seguito con trepidazione. Possiamo finalmente dimenticare l'inciampo di Lynch.



Ventesimo classificato:
Babylon di Damien Chazelle (2022)
Film a tratti fuori misura ma capace di veicolare l'amore (crediamo) sincero che Damien Chazelle prova per l'arte del cinema attraverso quella Babilonia hollywoodiana che fu l'industria all'epoca dell'arrivo del sonoro. Imperdibile comunque per tutti gli amanti della settima arte.



Diciannovesimo classificato:
Azor di Andreas Fontana (2021)
Fabrizio Rongione attraversa in maniera sublime un film nel quale il regista Fontana racconta un periodo terribile, quello della dittatura Argentina, senza mai mostrarne le brutture, un'opera originale e riuscita che in qualche modo ci mostra se non un linguaggio nuovo almeno una maniera inusuale e indovinata di adoperarlo. Intelligente.



Diciottesimo classificato:
Transamerica di Duncan Tucker (2005)
Ottima commedia on the road confezionata da Duncan Tucker, regista poi sparito dalle scene (peccato), una Felicity Huffman perfetta interpreta un uomo alla ricerca della sua identità sessuale che all'improvviso si scopre padre/madre. Il rapporto con suo figlio, ignaro di tutto, sarà da scoprire poco a poco sulle strade di un'America marginale.



Diciassettesimo classificato:
La battaglia di Hacksaw Ridge di Mel Gibson (2016)
Film di guerra classicheggiante secondo gli stilemi di Hollywood diretto con mano sapiente da un Mel Gibson che narra la storia di un pacifista al fronte, medico e obiettore di coscienza che attraverserà i campi di battaglia, tra bombe e proiettili, senza mai imbracciare un'arma. Dalla vera storia di Desmond Doss.



Sedicesimo classificato:
Madeline's Madeline di Josephine Decker (2018)
La regista Josephine Decker ibrida in maniera riuscita le arti di cinema e teatro, trova una bellissima protagonista (Helena Howard) che riesce con forza e naturalezza a portare in scena, nel film e a teatro, una condizione di instabilità mentale dinamica e non chiarificata. Ottimo sviluppo del personaggio, film che cresce mentre sedimenta.



Quindicesimo classificato:
Inside out 2 di Kelsey Mann (2024)
Per il film di casa Pixar il giudizio dalle nostre parti non è potuto essere imparziale; chi sa cosa voglia dire avere una figlia adolescente in lotta continua con ansia, aspettative e attacchi di panico non può sottovalutare la potenza emotiva dell'opera di Mann che coglie in pieno difficoltà e dolori di un'età molto difficile. 



Quattordicesimo classificato:
Diaz - Don't clean up this blood di Daniele Vicari (2012)
Il Diaz di Vicari è già un film della memoria per non dimenticare mai la macelleria di Stato, uno dei crimini più aberranti che possano esserci (e spero non si debbano spiegarne le ragioni). Per un senso di giustizia che oggi sembra sempre più necessario.



Tredicesimo classificato:
Capitalism: A love story di Michael Moore (2009)
Torniamo pure al senso di giustizia di cui sopra, concetto totalmente estraneo alla società del capitale; in un documentario sicuramente di parte e spesso divertente Michael Moore ci mostra ingiustizie, storture e idiozie di un sistema da arginare senza perdere altro tempo.



Dodicesimo classificato:
Il sacrificio del cervo sacro di Yorgos Lanthimos (2017)
Colpa e contrappasso nella narrazione glaciale e allo stesso tempo terribile del talentuoso regista greco Yorgos Lanthimos. L'espiazione apre al caos vite altoborghesi altrimenti protette e ordinatissime, ci si rifà nel titolo al mito di Ifigenia in Aulide.



Undicesimo classificato:
L'amico di famiglia di Paolo Sorrentino (2006)
Fa il paio con Le conseguenze dell'amore, film che trovate nella categoria "classici", il "primo periodo" di Sorrentino regala grandissimi film e personaggi uno più indovinato dell'altro; questo Geremia 'de Geremei e il Titta Di Girolamo di Servillo rimarranno negli annali del cinema italiano.



Decimo classificato:
Quando hai 17 anni di André Téchiné (2016)
André Téchiné torna all'adolescenza e ai temi dell'omosessualità, argomenti già affrontati in passato dal suo cinema, con la sofferta e sentita storia d'amore tra due giovani, Tom e Damien, non parimenti disposti ad accettare le loro inclinazioni sessuali. Sceneggiatura di Cèline Sciamma.



Nono classificato:
I delinquenti di Rodrigo Moreno (2023)
Sulle note di Adónde está la libertad? dei Pappo's Blues il regista argentino Rodrigo Moreno sembra volerci dire che quella libertà non stia nella schiavitù reiterata del lavoro, imbastisce così per i suoi protagonisti vite alternative che passeranno da esperienze poco usuali ma fortemente significative. Bellissima sorpresa.



Ottavo classificato:
Top Gun: Maverick di Joseph Kosinski (2022)
Con Maverick si vola altissimo sull'onda della nostalgia; per godere appieno dell'opera di Kosinski (fruibile ovviamente da tutti) è quasi necessario aver vissuto in prima battuta quel Top Gun del 1986, tutto è al suo posto, la storia si ripete, le emozioni riemergono. Noi invecchiamo, Tom Cruise anche, ma lui sembra non darlo a vedere. Mito.



Settimo classificato:
Anatomia di una caduta di Justine Triet (2023)
Anatomia di una caduta che in assenza di uno dei due protagonisti diventa anatomia di un matrimonio, di un rapporto di coppia. La morte è un punto di partenza per esplorare altro, la Triet gioca benissimo sui piani di lettura di un film pensato più con e per la testa che non per il cuore. Come può una parte terza entrare e giudicare dall'esterno dinamiche di coppia (e relative conseguenze) consolidate da anni? Incetta di premi e Palma d'oro a Cannes.



Sesto classificato:
My first film di Zia Anger (2024)
Ottima costruzione per un film indipendente che lavora sulla struttura della narrazione in maniera originale e propone vie nuove o quantomeno poco battute dell'atto del guardare, già per questo operazione preziosa che acquista ancor più valore una volta appresa la genesi del progetto. Una delle rivelazioni del mio anno da spettatore.



Quinto classificato:
Sick of myself di Kristoffer Borgli (2022)
La ricerca di visibilità e attenzione, la mania di protagonismo portate fino agli eccessi in un film intelligentissimo e crudele del norvegese Kristoffer Borgli, dinamiche di coppia malate nelle quali i rispettivi ego sgomitano per emergere su tutto. Cinico e terribile ma anche divertente.



Quarto classificato:
Killers of the flower moon di Martin Scorsese (2023)
Scorsese, e chi meglio di lui?, torna al concetto di un Paese, gli Stati Uniti d'America, costruito sul sopruso e sulla violenza, nella fattispecie narrandoci come la popolazione Osage, proprietaria di territori carichi di petrolio, è stata ingannata ed estromessa dalla partita, poco a poco, da parte dell'avidità nota dei bianchi. Ancora Di Caprio protagonista per un altro tassello d'eccezione nella carriera di uno dei più grandi registi viventi.



Terzo classificato:
Joker: Folie à deux di Todd Phillips (2024)
Film spiazzante e divisivo con il quale Phillips va per la sua strada fregandosene di quel che il pubblico adorante del primo capitolo avrebbe potuto pensare di questa nuova sortita di Arthur Fleck, un sempre grandissimo Joaquin Phoenix. Film intelligentissimo e impossibile da condensare in due righe, una delle opere dell'anno se la si vuole guardare sotto una certa luce. Avercene.



Secondo classificato:
Il ragazzo e l'airone di Hayao Miyazaki (2023)
Quello che forse nelle intenzioni del Maestro Miyazaki voleva essere un film testamento (in realtà sembra che Miyazaki sia di nuovo al lavoro) racchiude tantissimi elementi del suo cinema e deflagra in una parata immaginifica senza rivali. Lo Studio Ghibli si conferma ancora una volta la vera eccellenza dell'animazione con pochissimi rivali al mondo. Incrociamo le dita per il futuro.



Primo classificato:
Aftersun di Charlotte Wells (2022)
I cedimenti del cuore, la profondità dei sentimenti, soprattutto quelli dolorosi, vincono su tutto. L'ultima estate della piccola Sophie con suo padre, un uomo con la cui assenza la bambina, poi la ragazza e infine la donna dovranno convivere per sempre. Film struggente, straniante, costruito in potenza e fatto di piccoli ricordi di una vacanza e sull'amore tra padre e figlia. Meraviglioso e dolente.



Per quest'anno è tutto, vedremo se ci saranno ancora la forza e la voglia di parlare anche di fumetto.
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