giovedì 10 settembre 2020

BIRD BOX

 (di Susanne Bier, 2018)

Ciò che guardiamo è ciò che ci uccide. Smettere di guardare è la salvezza. Strano che questo paradigma si concretizzi in una produzione Netflix, azienda che non cerca altro che farci guardare e guardare e guardare. Abbastanza paradossale l'assunto se viene poi accostato alle diverse critiche che il canale streaming riceve causa la massificazione dei contenuti, la ricerca di un livellamento dei gusti del proprio pubblico, cosa che renderebbe sempre più semplice conquistare utenti e creare nuovi prodotti. Ormai tutti conoscono il tema: algoritmi creati per consigliare percorsi di visione a un pubblico un po' impigrito ma soprattutto per creare nuovi film o serie tv con le caratteristiche giuste per piacere a quel pubblico (caratteristiche di cui anche questo Bird box sembra essere fatto) appiattendo varietà e qualità delle proposte. È davvero così? Lascio ad altri l'ardua sentenza non essendo un assiduo frequentatore della piattaforma, nella fattispecie però il discorso fatto a monte funziona, il film ha un sacco di quelle caratteristiche che sembrano essere considerate vincenti nel Cinema degli ultimi anni, assemblate con cura, e che riescono in effetti a portare a casa il risultato, Bird box infatti pur non avendo in sé nulla di innovativo riesce ad avvincere lo spettatore rivelandosi un'ottimo prodotto di intrattenimento nel genere apocalittico.

Come si affronta un mondo che ci priva forzatamente di uno dei nostri sensi? Malorie (Sandra Bullock) è una pittrice in dolce attesa, single e un tantino cinica. Malorie non è pronta per la gravidanza, a sostenerla c'è sua sorella Jessica (Sarah Paulson), decisamente più positiva di lei. Mentre le due donne si apprestano a recarsi dal ginecologo, vedono in televisione un servizio su una strana forma di follia che sta colpendo la Russia causando numerosi casi di suicidio. Una volta in ospedale le due donne si trovano di fronte ai primi casi di quella strana follia giunta anche in America. All'improvviso le persone sentono il bisogno irrefrenabile di togliersi la vita, purtroppo anche la stessa Jessica cadrà vittima di questa specie di maledizione. Nel caos che ne consegue si inizia a capire che c'è qualcosa che alla vista fa impazzire le persone, l'unica salvezza è smettere di guardare. Malorie si troverà presto rintanata al chiuso con un gruppo di estranei, tutti dai caratteri diversi tra loro, costretti a convivere in una casa dalle finestre oscurate, col cibo razionato e con la consapevolezza che una volta usciti, per questa o quella necessità, non avrebbero potuto contare sul senso della vista, pena una morte terribile e autoinflitta.

Il film è strutturato su due livelli temporali, quello della tragedia apocalittica e conseguente adattamento e uno spostato di qualche anno più avanti dove una Malorie ormai sola con i suoi due figli dovrà affrontare un viaggio alla ceca lungo un fiume impetuoso per raggiungere una fantomatica comunità attrezzata per fronteggiare la nuova realtà. Lungo i giorni dell'Apocalisse la regista Susanne Bier tratteggia il percorso di (tras)formazione di una donna inizialmente lontana dall'istinto materno utile a una donna incinta, Malorie dovrà imparare sulla sua pelle, con pochi aiuti, cosa vuol dire essere madre in un mondo stravolto, lo farà in maniera tanto brutale quanto peculiare, il cinismo della protagonista è ben evidenziato nelle sequenze iniziali dall'indifferenza con la quale apprende e liquida le notizie provenienti dalla Russia. Anche se poco sottolineata la scena apre a interpretazioni attualissime, questa ventilata fine del mondo che ci stiamo tirando addosso con il mancato rispetto degli equilibri del nostro pianeta, non può essere affrontata con l'individualismo e la chiusura degli Stati Sovrani, perché come ci dice la Bier, forse anche involontariamente, la merda cade a pioggia ovunque, non è pensabile che solo qualcuno apra l'ombrello, la puzza travolgerebbe comunque tutti quanti. Interessante il discorso su un mondo che priva i suoi abitanti del vantaggio della vista ribaltando la condizione di chi già non ci vedeva che ora non corre pericoli (o comunque rischia meno). Il film come abbiamo detto non offre nulla di nuovo però è capace di creare tensione su più fronti, primo fra tutti quello della minaccia ultraterrena che sembra guardare agli Antichi di Lovecraft, ma tesi sono anche i rapporti tra i personaggi costretti a convivere tra loro in una situazione anormale, spiccano qui la presenza di uno stronzissimo John Malkovich e quella del prestante Trevante Rhodes. La Bullock offre un'altra ottima prova nei panni di una donna molto forte e determinata, capace in qualche modo di sopravvivere e tornare alla vita come già accadeva in Gravity. A conti fatti quindi possiamo dire che questa volta l'algoritmo, se davvero c'è stato, ha funzionato, Bird box non ci sconvolge la vita ma di certo avvince il giusto, resterebbe da capire come mai è diventato uno dei prodotti in assoluto più visti della piattaforma, ma questo forse solo quel famoso algoritmo ce lo può dire.

2 commenti:

  1. Il film secondo me può essere considerato carino, ma avendo letto prima il libro posso dire che non è neanche da mettere vicino. Non che il libro sia eccezionale, è solo molto meglio del film.
    Il successo probabilmente è dovuto a una specie di campagna di marketing "parallela" basata sulla diffusione "spontanea" di meme e sfide su internet a compiere azioni da bendati. Quanto di questo (breve) fenomeno mediatico sia davvero spontaneo e quanto costruito ad arte, non si sa.

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    1. Io devo dire di essermelo goduto parecchio questo film, il genere mi piace e qualche buon momento di tensione c'è, della campagna meme non sapevo nulla, grazie per l'info, magari anche quella ha contribuito,ormai la rete è l'oppio dei popoli, da lì si può far di tutto :)

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