mercoledì 23 settembre 2020

LUCA IL CONTRABBANDIERE

(di Lucio Fulci, 1980)

In seguito al successo di Zombi 2 che instradò Fulci sulla via dell'horror e del gore dopo che lo stesso aveva lungo la sua già prolifica carriera fatto veramente di tutto, il regista romano sceglie di realizzare un noir vicino al poliziottesco di fine anni 70, si gira nel golfo di Napoli e nelle strade della città partenopea e come protagonista ci si affida al veneto Fabio Testi, un'unione di elementi che rappresenta il nostro stivale da nord a sud. Non era facile non fare un passo falso dopo l'ottimo esito del film precedente, Fulci pur cambiando genere si conferma ottimo regista con delle linee di stile da seguire; nonostante oggi non goda della stessa popolarità del film precedente anche Luca il contrabbandiere, titolaccio cheap, si rivela invece un'ottima visione con parecchi spunti interessanti. Come dicevamo si guarda al poliziottesco, ai film di Fernando Di Leo, ma qui Fulci ibrida la narrazione da gangster movie al suo gusto per il truce e il sanguinolento, la violenza eccessiva, non solo a livello visivo ma anche psicologico, esplode in guizzi di carni martoriate e crudeltà assortite alle quali non è difficile collegare exploit successivi di registi blasonati come Tarantino o Roth che non nascondono l'ammirazione per il nostro. Da questo punto di vista le scene da ricordare sono diverse, se in di Zombi 2 si ricorda la penetrazione del bulbo oculare della Karlatos con una scheggia di legno, qui rimangono la deturpazione del viso della bella Ingrid con la fiamma ossidrica o i proiettili che aprono gole e teste, o ancora i corpi martoriati dall'acido delle solfatare. Insomma, Fulci cambia ancora una volta genere, ne segue con rispetto le caratteristiche essenziali ma non rinuncia al suo tocco, non per niente fosse stato per lui il film si sarebbe intitolato Violenza.

Ancora una volta, come accadeva in Zombi 2, il film si apre con una bella sequenza in mare, qui sono i veloci e guizzanti motoscafi della squadra di contrabbandieri di sigarette coordinata da Luca Ajello (Fabio Testi), padre di famiglia prestato al crimine a causa della chiusura delle fabbriche al nord, a dover sfuggire a una vedetta della Guardia di Finanza. Le riprese aeree sul Golfo di Napoli sono una bella presentazione, un ottimo primo impatto che verrà confermato con l'avanzare del film. Luca e suo fratello Michele (Enrico Maisto) gestiscono un racket di sigarette, sono contrabbandieri vecchio stampo che portano avanti i loro traffici in maniera pulita, gente che non spara inutilmente e che si limita a qualche scaramuccia innocua per sfuggire alle forze dell'ordine. Ma la capacità organizzativa dei fratelli Ajello, quella di Luca soprattutto, fa gola a una nuova criminalità più spudorata, priva d'onore e di scrupoli che ha capito che il futuro del guadagno vero, quello forte, è legato a filo doppio alla diffusione della droga, cosa che i vecchi boss della mala napoletana, gente d'onore come Don Morrone (Guido Alberti) non possono accettare, perché "con questo sole e con questo mare la droga che c'entra?". Presto lo scontro diventa aspro, non solo ideologico ma vero e proprio scontro per la sopravvivenza e per il territorio, e in questi scontri come da copione cadono i morti, emergono i voltafaccia, volano le pallottole.

Luca il contrabbandiere è un film riuscito, nonostante il vestito sdrucito da serie B appassiona e regala ottime sequenze, mostra una Napoli dei vicoli molto indovinata nella scena della retata della Finanza, tra poveri cristi e gente costretta ad "arrangiarsi", contrappone il vecchio malaffare che faceva soldi su un traffico ancora "innocuo" alle nuove leve del crimine organizzato, mischia buone scene d'azione anche ben coreografate (il balletto dei motoscafi) alla vena più cruda di Fulci sostenuta da sprazzi musicali che richiamano qua e là suoni da blaxploitation. A stretto giro il regista inanella cose come questo Luca il contrabbandiere, Zombi 2 e Sette note in nero rivelandosi qualcosa in più dell'artigiano del Cinema italiano di quegli anni.

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