mercoledì 11 maggio 2011

GIU’ LA TESTA

(di Sergio Leone, 1971) 

La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con tanta serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia, la rivoluzione è un atto di violenza.
 

Così si presenta al pubblico la pellicola di Sergio Leone nella quale la rivoluzione sarà sfondo della storia dei due protagonisti. Una storia dove non si fanno sconti, non si eccede in eleganza, dove la revolucion è mostrata senza indulgere tanto sugli ideali ma nella sua crudeltà e nella sua viscerale violenza. A mettere subito le cose in chiaro la scena iniziale, ripresa d’un terreno bisogno primario. Non una scena d’effetto patinata ma una semplice e comune pisciata. 

Juan Miranda (uno strepitoso Rod Steiger) è un peone messicano, bandito e padre d’una nutrita famigliola dedita alle rapine, unico loro mezzo di sostentamento nella difficile realtà del Messico del 1916 attraversato dai moti rivoluzionari capeggiati da gente come Zapata e Pancho Villa contro la dittatura e la miseria alla quale erano condannate le classi sociali più povere. La sua vita subirà una svolta dopo l’incontro/scontro con Sean “John” Mallory (un glaciale James Coburn), ex attivista dell’IRA fuggito in Messico, verso una nuova rivoluzione. Un personaggio enigmatico del quale impareremo qualcosa grazie ad alcuni flashback disseminati lungo il film, grande esperto di esplosioni ed esplosivi. Proprio in questa sua abilità Juan vede la luce della speranza. Il suo sogno di rapinare la banca di Mesa Verde, “Non una banca! La banca! La più grande, stramaledetta, bella, fantastica, formidabile, magnifica banca di tutto il mondo”, sembra potersi realizzare. Ma Mallory è interessato alla rivoluzione, per nulla intimorito dal bandito gli offre subito una dimostrazione delle sue abilità e non manca di apostrofare il suo futuro compare prima del botto con un: ”giù la testa, coglione”. Proprio quest’ultima frase doveva essere il titolo del film ma Leone dovette tagliare l’ultima parola causa pressioni della censura. I due uomini però sono segnati da un destino comune e proprio a Mesa Verde le loro strade, dopo essersi separate, si incontreranno nuovamente. 

Il film gode di una fama minore rispetto alla così detta Trilogia del dollaro di Leone (Per un pugno di dollari, Per qualche dollaro in più e Il buono, il brutto e il cattivo) e pure questo scarto non è meritato. Assenti attori della fama di Eastwood, Van Cleef, Wallach e Volontè, il duo Steiger/Coburn offre una prova straordinaria. L’esuberanza genuina del primo in contrasto con gli sguardi di ghiaccio del secondo creano una miscela esplosiva come quella che Mallory porta sempre con se. Un’amicizia virile che cresce poco a poco in virtù delle terribili esperienze condivise e una disillusione sempre maggiore che pervade l’animo di questi due atipici eroi. Inspiegabili anche le critiche di prolissità e lungaggine rivolte da qualcuno alla pellicola, due ore e mezza che passano senza nessuna traccia di noi tra grandiose inquadrature e amare riflessioni. « Quelli che leggono i libri vanno da quelli che non leggono i libri, i poveracci, e gli dicono: Qui ci vuole un cambiamento! e la povera gente fa il cambiamento. E poi i più furbi di quelli che leggono i libri si siedono dietro un tavolo e parlano, parlano e mangiano, parlano e mangiano; e intanto che fine ha fatto la povera gente? Tutti morti! Ecco la tua rivoluzione! Per favore, non parlarmi più di rivoluzioni! »
   

1 commento:

  1. E' il mio film preferito di Leone. Ma se accusano di lunghezza questo film che, come dici tu, è di due ore e mezza che passano senza accorgere, come fanno a guardare C'era una volta il west? Enormemente più lento, ma ENORMEMENTE, eh.

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