venerdì 8 gennaio 2021

SANPA - LUCI E TENEBRE DI SAN PATRIGNANO

(di Gianluca Neri, 2020)

Ormai anche i muri sapranno di Sanpa grazie alla massiccia campagna di marketing lanciata da Netflix per questa produzione, un battage pubblicitario capace di far passare in secondo piano tutti gli altri prodotti della piattaforma lanciati in questo periodo, compresa la serie in costume Bridgerton. Sanpa è un documentario costruito secondo gli stilemi classici della non fiction: narrazione cronologica, immagini contemporanee affidate alle interviste ai protagonisti che nel bene e nel male hanno vissuto sulla loro pelle, oltre a quella della tossicodipendenza, l'esperienza della nascita e dello sviluppo della comunità di recupero più grande d'Europa, in alternanza tantissimo materiale di repertorio, sia quello istituzionale dei tg dell'epoca e delle riprese dei vari processi che il fondatore Vincenzo Muccioli ha dovuto affrontare nel corso degli anni, sia quello tratto da fonti diverse come i filmati girati da Red Ronnie, amico e accanito sostenitore di Muccioli.

Sanpa si concentra molto, quasi totalmente, sulla comunità e sui suoi occupanti, strutturato su cinque episodi da circa un'ora l'uno manca forse, soprattutto in partenza, di un più completo quadro d'insieme, superfluo per chi come me ha vissuto e ricorda gli anni di massima diffusione nelle strade dell'eroina, potenzialmente utile per chi è arrivato dopo e che magari avrebbe gradito un'introduzione più approfondita sul contesto sociale. Poco male comunque, una volta entrati nella narrazione la documentazione è molto completa, variegata e di massima imparziale, viste le ambiguità sulla gestione della comunità che verranno presentate nel corso del documentario, l'ideatore Gianluca Neri e il team di sceneggiatori che stanno dietro Sanpa si adoperano per equilibrare al meglio le voci pro e quelle contro l'operato di Muccioli e quello dei suoi più stretti collaboratori. Ma di cosa parliamo con precisione?

Siamo al pionerismo della lotta alle tossicodipendenze, piaga sociale in ascesa rapidissima, Stato assente e imbambolato che non sa nemmeno da che parte guardare. Fine anni 70, Vincenzo Muccioli fonda una piccola comunità di recupero in una proprietà della moglie nelle campagne della provincia di Rimini. Grazie all'aiuto economico della famiglia Moratti, di Gianmarco e Letizia in particolare che a Muccioli rimarranno sempre vicini, la comunità cresce e cerca la via per una sua indipendenza, potendo contare sulla presenza carismatica di un leader veramente capace di trattenere i giovani in dipendenza e portarli su una strada diversa, con tanto amore, grande personalità, e quando serve con metodi più duri e coercitivi, con un atteggiamento che per Muccioli sembra sinceramente essere quello del "buon padre di famiglia" che per il bene di un figlio non esita a rifilargli due lecche a fin di bene per evitare danni ben peggiori, e quelli causati dall'eroina li conosciamo tutti. La comunità poi cresce, aumentano gli ospiti, iniziano le collaborazioni con organi regionali e di Stato, vengono fuori i primi malumori legati ai metodi rieducativi (le famose "chiusure" con le catene) che indignarono parte della stampa e degli organi di giustizia ma, attenzione, non le famiglie dei ragazzi ospiti, non le madri e i padri che sapevano che vedere uscire il figlio da quella comunità avrebbe significato probabilmente vederlo morire, magari per strada, nel lercio, con un ago ficcato in un braccio, perché così accadeva in quegli anni. Quelle stesse madri e quegli stessi padri sostenevano che per veder salvi i propri figli, due schiaffi e qualche giorno in catena potevano essere più che accettabili. Passano gli anni, San Patrignano cresce e cresce, i ragazzi salvati dal tunnel della droga aumentano, diventano centinaia e centinaia, Muccioli è ormai una delle personalità più importanti d'Italia, un santo, un guru, e qui le cose iniziano a sfuggire un po' di mano, Muccioli inizia a delegare, a non seguire più i suoi ragazzi in prima persona, non è più possibile, la fama magari da un po' alla testa anche a lui, i metodi coercitivi continuano ad esserci ma i delegati non sono sempre in grado di gestirli e applicarli nella giusta misura. Alla fine ci scappa il morto, più d'uno in realtà.

Il resoconto dei fatti è corale, grazie alle immagini di repertorio sentiamo la stessa voce di Muccioli ampiamente documentata, tra le interviste più significative quelle a Walter Delogu (papà della conduttrice Andrea nata e cresciuta a San Patrignano), ex tossicodipendente ospite della comunità prima, autista e braccio destro di Muccioli poi, quella del figlio di Muccioli, Andrea, quella all'attuale medico di San Patrignano (uno dei tanti) Antonio Boschini, ospite della prima ora e sempre rimasto in comunità, e ancora Red Ronnie, Fabio Cantelli, prima ospite poi responsabile alle pubbliche relazioni della comunità e ora vicepresidente del Gruppo Abele, e ancora giornalisti, giudici, altri ragazzi che sono riusciti a venire fuori dalla dipendenza grazie alla comunità. Molto sentite le testimonianze delle famiglie di chi a San Patrignano ha perso la vita in circostanze quantomeno torbide o chiaramente criminose, il riferimento è al brutale omicidio di Roberto Maranzano e al suicidio molto sospetto di Natalia Berla.

Il grande pregio del documentario, oltre alla sufficiente completezza, è l'espressione in egual misura dei due schieramenti, quello a favore dell'operato di Muccioli e della comunità, quello che ne condanna i metodi e che incolpa il suo fondatore delle vite perdute al suo interno. Alcune testimonianze sono oltremodo oltranziste, quella di Red Ronnie ad esempio, in fondo a non aver mai un dubbio, anche di fronte a fatti gravi, l'idea di un filo d'ottusità (sicuramente in buona fede) la si trasmette, ma anche nel pensare che Muccioli non fosse sempre stato sinceramente interessato alla sorte di questi ragazzi probabilmente si sbaglia. Qualcosa è accaduto, qualcosa è andato storto, questi sono fatti. Sanpa lascia la libertà allo spettatore di decidere di chi siano state le colpe e se queste ci siano state. Si riflette anche sull'importanza della comunità, brutti episodi certo, ma anche tantissime vite salvate, cambiate in meglio, recuperate. Ognuno è libero di tirare le somme, forse gli autori un loro indirizzo l'avevano, ogni tanto c'è l'impressione che questo traspaia, ma nel complesso la narrazione appare equilibrata, un equilibrio che mi sembra ben rappresentato in particolare dalla testimonianza di Cantelli più di altre, che sembra davvero pesare in maniera sofferta ogni parola e accogliere con sincerità il buono e il brutto che questa esperienza ha portato.

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