sabato 20 aprile 2024

A SWEDISH LOVE STORY

(En kärlekshistoria di Roy Andersson, 1970)

Opera prima del regista svedese Roy Andersson che dopo i primi due lungometraggi degli anni 70 sparisce dagli schermi per tornarvi solo venticinque anni più tardi; nel 2014 gode di una seconda e diffusa popolarità grazie al film Un piccione seduto sul ramo riflette sull'esistenza, Leone d'oro al Festival di Venezia. A swedish love story è l'ottimo esordio di un regista allora ventisettenne che guarda all'amore negli anni dell'adolescenza in maniera delicata e altrettanto profonda ed evocativa, in un film che visto oggi riporta la memoria non solo per ogni spettatore al suo "tempo delle mele" ma anche a un immaginario anni 70 che, seppur qui ovviamente svedese, richiama stili, abitudini e comportamenti non solo europei ma universali (con tendenze occidentali, dell'altra parte del mondo almeno gli scenari, se non i sentimenti, erano diversi). Con il suo esordio Andersson cerca di cogliere le istanze che in quegli anni, e già nei precedenti in realtà, abitavano il cinema europeo (ma anche statunitense se pensiamo alla New Hollywood) con uno sguardo sia alle nuove generazioni, qui rappresentate dalla storia d'amore del titolo tra i giovani Annika e Pär, sia allo status quo relativo alla situazione sociale, con un focus sulle famiglie, per nulla sereno e rassicurante.

Annika (Ann-Sofie Kylin) è una tredicenne molto bella, i suoi genitori portano avanti un matrimonio poco sereno, suo padre John (Bertil Norström), venditore di frigoriferi, ha inoltre problemi con il lavoro, si sente poco realizzato e non apprezzato agli occhi della moglie. Pär (Rolf Sohlman) va a scuola e lavora anche nella carrozzeria di suo padre Lasse (Lennart Tellfelt), nel tempo libero il ragazzo va in giro sul suo motorino poco performante insieme a un gruppetto di amici che iniziano ad avere in testa le esponenti dell'altro sesso. Sia Annika che Pär sono ragazzi molto timidi, il loro primo incontro avviene durante una visita delle rispettive famiglie a dei parenti ricoverati in casa di riposo. Dopo questo primo contatto visivo i due si cercano con difficoltà, nessuno riesce a fare il primo passo. Nel frattempo Annika si confida con la zia Eva (Anita Lindblom), Pär ha il suo gruppetto di amici. Quando finalmente i due ragazzi riusciranno a conoscersi la loro storia correrà in parallelo a quella delle loro famiglie nello scenario di una Svezia anni 70 i cui ragazzi giovani guardano nel look e nei modi a ciò che arriva da oltreoceano. Questa inedita situazione sarà per Annika e Pär tutta una scoperta.

Roy Andersson ci mostra una visione amorevole e delicata della nascita del rapporto tra questi due adolescenti belli e puri, riesce a farlo ponendo l'accento su piccoli gesti, particolari minimi che potrebbero sembrare banali ma che ricondotti all'età dell'adolescenza, al momento in cui tra mille timori si cerca di dichiarare o far percepire all'altro il proprio amore, titubando, con la paura di sbagliare, di fare figuracce che a quell'età possono sembrare irreparabili, beh, allora in quel caso nulla è banale, nemmeno il gesto più innocente del mondo. A questo proposito Andersson infila alcune sequenze deliziose, in una di queste i due ragazzi si confidano con i rispettivi amici, nessuno di loro ha il coraggio di palesare l'interesse per l'altro, hanno paura di apparire stupidi, il gruppo torna verso casa, i ragazzi spingono a mano i loro motorini, Pär apre il gruppo, Annika è in coda, sono distanti, lei guadagna terreno, fa il primo passo (le donne sono sempre più coraggiose in questo), poggia la mano sul sellino del motorino di Pär, un gesto all'apparenza semplice, senza importanza, ma è facile immaginare e percepire quanto i cuori di Annika e di Pär battano veloci in quel momento, quanto può essere costato in termini di coraggio quel gesto all'apparenza infinitesimale, una vertigine che apre a sentimenti di tenerezza e nostalgia per un tempo puro e andato, per emozioni che oggi non ci sono più se non di riflesso (bravissimo Andersson a farcele rivivere). Poi la luce cambia, è passato del tempo, la mano di Annika è ancora su quel sellino ma i due ragazzi parlano tra loro, si è instaurata un minimo di confidenza, una musica dolce li accompagna, non sentiamo quel che si dicono ma non è necessario, sentiamo la sintonia del battito dei loro cuori, poi un treno, due parole, finalmente un bacio e l'abbandono in un abbraccio. Una piccola sequenza perfetta. Ottimo il lavoro sul contesto, siamo in un'altra epoca, vediamo questi tredicenni fumare senza remore, il look è mutuato dai modelli nordamericani, motori, giacche di pelle, chewingum immancabile, ottima la scelta dei brani a corredo (la scena in discoteca ad esempio), Andersson coglie bene anche i turbamenti di quell'età, l'umiliazione delle botte prese davanti alla ragazza di cui si è innamorati, la vergogna e la fuga che portano a dover cominciare tutto da capo, una vergogna difficile da affrontare e superare, il tradimento degli amici: "Cosa le dico ora? Non ce la faccio. E tu te ne sei stato lì a guardare". Lui la ignora per un po', lei soffre poi lo chiama (è di nuovo lei a muoversi per prima), grida il suo nome sopra il rumore dei motorino, lo insegue, lui scappa, il volto bellissimo di Annika è rigato dalle lacrime, finalmente lui trova il coraggio di tornare, salta giù dal motorino, la abbraccia. Altra piccola sequenza perfetta come perfetta è l'inquadratura finale. Andersson dà poi sempre più spazio alla famiglie, al disagio del contesto fino ad arrivare a un finale che porta in sé un tocco di grottesco surreale da applausi. Forse in A swedish love story c'è davvero il meglio dell'adolescenza.

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