Un paio di anni fa, nel 2023 per la precisione, commentando la sesta stagione del
Black Mirror di
Charlie Brooker ci lasciammo chiedendoci se la serie sarebbe tornata ad assolvere a uno dei suoi compiti primari, ovvero se sarebbe riuscita nuovamente a stupirci e a colpirci nel profondo come fece anni addietro all'epoca della messa online delle primissime stagioni di un show allora geniale, anticipatore, intelligente e ficcante in maniera puntuale e molto pessimistica. Oggi, a visione della settima stagione ultimata, possiamo dirci senza timore che no,
Black Mirror non ha più quella capacità di stupire che aveva quando iniziò a muovere i suoi primi passi, non ha forse nemmeno più l'indole per leggere e predire il prossimo futuro e l'uso nefasto che potremmo fare delle tecnologie in via di sviluppo già nel nostro presente; ciò non toglie che la serie ideata da
Charlie Brooker sia ancora capace di offrirci ottimi spunti di riflessione per leggere noi stessi e il nostro oggi, ancor più che un nostro possibile domani, nel farlo punta ancora sulle paura e sulle angosce alle quali potremmo andare incontro da qui a poco ma soprattutto preme sulle emozioni, sui sentimenti, su tutta quella sfera affettiva che si spera i device, i social network, le connessioni perenni non riusciranno mai a farci dimenticare e mettere da parte. Come già nelle scorse stagioni la qualità delle puntate è altalenante, si passa da episodi ottimamente riusciti (un paio) a passaggi più deboli che vedono almeno un episodio completamente trascurabile. Diamo un'occhiata proprio ai sei nuovi titoli rilasciati negli scorsi giorni su
Netflix.
Il lotto si apre con Gente comune (Common people), probabilmente l'episodio in potenza più angosciante e che più richiama la sintesi d'intenti propria del primissimo Black Mirror. L'episodio è una triste e nerissima disamina del sopravvento del capitale sull'empatia e sul sentimento, l'azzeramento della solidarietà, dell'amore per l'altro, della pietà, tutti sentimenti nobili sconfitti di fronte all'opportunità del profitto. Amanda (Rashida Jones) e Mike (Chris O'Dowd) sono due persone comuni che si amano, due persone belle e semplici, lui operaio, lei insegnante, ancora innamorati dopo tanti anni insieme, con i loro riti, le loro difficoltà quotidiane affrontate sempre con ottimismo. Poi Amanda si ammala, un tumore al cervello che la costringe a uno stato di coma all'apparenza irreversibile. Alla disperazione di Mike sembra poter porre rimedio la RiverMind, un'azienda che si occupa di biotecnologie avanzate e che attraverso la sua rappresentante Gaynor (Tracee Ellis Ross) offre all'uomo una soluzione: un trapianto della parte lesa del cervello di Amanda con una nuova che verrà nutrita tramite una sorta di tecnologia wireless con i dati mutuati dalla vecchia, un servizio a copertura regionale (Amanda non potrà uscire dalla zona di copertura) con un canone mensile nemmeno così oneroso se confrontato alla possibilità di perdere per sempre l'amore della propria vita. Qualche sacrificio, ore di straordinario in più, ore di sonno in meno e Mike potrà riavere la sua Amanda. Ma per tutto c'è un prezzo da pagare e non sarà solo quello dell'iniziale canone mensile. Probabilmente l'episodio migliore del lotto, il più riuscito se pensiamo alla Black Mirror di cui ci siamo innamorati in quel lontano 2011, una riflessione sul cinismo aziendale pronto a calpestare la dignità di ogni essere umano visto solo come unità da spremere in nome del profitto.

Si prosegue con Bestia nera, un racconto che affonda le mani in una fantascienza più estrema, anche se a un primo impatto non si direbbe, inevitabile che si perda un po' per strada quel magone che ci assale quando Black Mirror tratta temi potenzialmente a noi più vicini, più concreti, derive di una realtà oggi in nuce già presente. Qui si lavora su basi meramente teoriche per costruire un buon racconto che perde un poco sul finale, quando le carte in tavola si andranno a scoprire. Maria (Siena Kelly) si sta ritagliando una buona posizione all'interno di un'industria produttrice di cioccolato in qualità di sviluppatrice di nuovi prodotti. Durante un incontro con alcuni volontari contattati come tester per uno dei nuovi cioccolatini ideati da Maria, la ragazza riconosce tra i partecipanti una vecchia compagna di liceo, una di quelle ragazze escluse dal gruppo e da tutti considerata un po' una sfigata. Verity (Rosy McEwen), questo il nome della ragazza, riesce a guadagnarsi la simpatia di molti membri del team di Maria riuscendo a farsi assumere come nuovo membro della squadra. Maria inizia a patire un poco la competizione di Verity che sembra avere un forte ascendente non solo sulle persone che la circondano ma in qualche modo sulla realtà stessa; la rivalità tra le due andrà in crescendo, una situazione che metterà Maria in cattiva luce agli occhi dei colleghi mettendo a repentaglio la sua carriera e la sua intera esistenza. Episodio ben realizzato ma decisamente meno interessante di altri presenti in questa settima stagione.

Il terzo episodio si intitola Hotel Reverie; si torna a riflettere su questioni attuali legate allo sfruttamento digitale delle immagini, tema che già oggi crea confusione e problemi dovuti all'utilizzo improprio della tecnica del deep fake e alla mancanza di una legislazione chiara su cosa sia lecito fare con le immagini di altri, un assillo che legato al mondo dell'arte non è nemmeno più futuro ma presente assodato, pensiamo alle tecniche adoperate (in maniera lecita) nel recente Here di Zemeckis, al De Niro ringiovanito di The Irishman, insomma, da qui all'appropriarsi dell'immagine di star ormai scomparse è un attimo, discorso attualissimo per l'industria del cinema, e proprio di cinema si parla in questo episodio. Brandy Friday (Issa Rae) è un'attrice che sogna un ruolo da protagonista che possa darle qualche nuovo stimolo; quando le viene offerta la parte principale nel remake di Hotel Reverie, una sorta di Casablanca della Hollywood classica, Brandy accetta senza pensarci due volte nonostante il ruolo da protagonista in origine fosse maschile. Il nuovo Hotel Reverie non sarà però il classico remake, sotto la direzione dell'intraprendente Kimmy (Awkwafina) la star verrà immessa all'interno di una realtà virtuale nella quale Brandy avrà la possibilità di recitare sullo sfondo dello scenario originale del film interagendo con l'identità digitale ricreata dei vecchi protagonisti tra i quali spicca la bellissima e ormai defunta coprotagonista femminile Dorothy (Emma Corrin). Durante la sessione di registrazione qualcosa però andrà storto, Brandy rimarrà bloccata all'interno della simulazione innamorandosi col tempo della proiezione digitale di Dorothy. Hotel Reverie, senza raggiungerne i vertici, ricorda nell'aspetto sentimentale lo splendido episodio San Junipero; è proprio il comparto sentimentale qui a interessare nonostante il discorso sulle immagini, sulle potenzialità delle I.A e sull'aspetto tecnico sia molto attuale, l'episodio diventa una questione di cuore, meno riuscito di altri che già in passato puntarono sui sentimenti (e meno di Eulogy, ne parliamo dopo) ma comunque piacevole e toccante, anche grazie alla splendida interpretazione di una Emma Corrin sempre più brava.

Come un giocattolo sembra essere l'esito più debole di questa annata. È questo l'episodio (non l'unico) con più rimandi alle vecchie stagioni di Black Mirror, se non consideriamo ovviamente l'ultimo in programma del quale parleremo più avanti che è un vero e proprio sequel di USS Callister presente nella quarta stagione. Si torna alla Tuckersoft, l'agenzia di software che sviluppò in passato Bandersnatch e a Colin Ritman (Will Poulter) qui programmatore di Thronglets, quello che si rivelerà essere molto più che un videogioco. Cameron Walker (Peter Capaldi) è un recensore di videogiochi che da giovane (Lewis Gribben) aveva intuito, grazie all'uso dell'LSD, le vere potenzialità del nuovo gioco di Ritman, un veicolo per cambiare le sorti del genere umano. Follia, complottismo o l'inizio di una nuova era per l'umanità tutta? Sorta di fantascienza in odore di apocalisse prossima ventura, tutto sommato privo di grandi spunti di interesse e nemmeno troppo avvincente nella sua realizzazione, Come un giocattolo si conclude con un grosso mah! Abbastanza inutile.

L'altro vero pezzo forte di questa annata è Eulogy, grandissima prova d'attore di un sofferente Paul Giamatti. Anche per questo episodio il fulcro sono i sentimenti, le relazioni con le altre persone, con l'altro sesso, le letture spesso sbagliate che diamo alle azioni e alle parole dell'altro e che possono portare al fraintendimento e al deragliare di amori altrimenti potenzialmente fortissimi, magari eterni. Anche qui l'aspetto tecnologico, seppur affascinante e anche inquietante, cede il passo a quella che è una storia d'amore sofferta, spezzata, che un Giamatti fantastico riesce a farci sentire sulla pelle nella sua mancanza e nella sua interruzione forzata. I punti di vista, le convinzioni sbagliate, le gelosie, gli stupidi preconcetti che in ogni momento possono andare a rompere qualcosa che, almeno per un periodo, magari anche molto lungo, sarebbe potuto essere perfetto. Poi si può riflettere su tutto il resto ma il cuore è il cuore, quello che qui ci interessa davvero è la storia d'amore di Philip e di Carol. Per chi si lascia prendere non è esclusa la lacrimuccia finale. Forse è questa la via più interessante da seguire per un Black Mirror che fa ormai difficoltà a stupirci con le previsioni di un futuro che è già presente.

Si chiude con USS Callister: Infinity, vero e proprio sequel di USS Callister, Infinity ne riprende i temi e rilancia, andando a riflettere sulle identità digitali autocoscienti e sviluppate a partire da diverse tecnologie (qui è coinvolto il dna, il tema è presente in maniera diversa anche in Hotel Reverie), un buon intrattenimento per chi ha amato il predecessore, torna una Cristin Milioti in forte ascesa protagonista di un dittico che personalmente a chi scrive ha lasciato poco, si prosegue sulla strada già battuta senza particolari scossoni, Black Mirror è stato in passato (e a volte è ancora) molto di più.

Nel complesso una stagione che conferma il trend delle precedenti, non c'è più quello stupore che la serie provocava ai suoi esordi, rimane comunque un prodotto dalla buona qualità media che è ancora capace di affondare qualche buona zampata, soprattutto quando la serie di Brooker ci porta a riflettere sui nostri sentimenti e sui loro possibili sviluppi, a tratti ancora ci angoscia ma, appunto, questo accade solo a tratti. Nonostante tutto uno show che vale sempre la pena seguire.