lunedì 27 giugno 2022

FUNNY GAMES

(Funny games U.S. di Michael Haneke, 2007)

Era il 1997 quando Michael Haneke girava per la prima volta il suo Funny games, lo faceva in Austria, sua patria adottiva (il regista nasce in realtà in Germania a Monaco di Baviera) con attori di lingua tedesca. Il film fu poi presentato al cinquantesimo Festival di Cannes dove passò inosservato senza riscuotere particolare successo. Dieci anni più tardi il regista decide (accetta?) di farne un remake statunitense per offrire alla sua opera la possibilità di arrivare a un pubblico più vasto, si passa quindi alla lingua inglese e si punta su un cast di grandi star all'interno del quale spiccano i nomi di Naomi Watts, Tim Roth e Michael Pitt. Haneke sceglie la via del rifacimento fotocopia, gira il suo remake scena per scena ricostruendo con precisione il film di dieci anni prima cambiandone ovviamente location e protagonisti, un po' la stessa operazione in cui si imbarcò Gus Van Sant con il rifacimento dello Psycho di Hitchcock, operazione indubbiamente coraggiosa con la quale Van Sant si prese una buona dose di rischio. Per Haneke la situazione era un poco diversa, non andava a scomodare nessun mostro sacro e metteva mano a materiale già di sua proprietà con il vantaggio di aumentarne la diffusione e se possibile aggiungere qualche chiave di lettura alla sua opera tutta da decifrare, Funny games ha infatti generato una serie di interpretazioni e la ricerca di chiavi di lettura da parte della critica e di quel pubblico più attento alle intenzioni degli autori e ai livelli di significato nascosti all'interno delle loro creazioni.

Una famigliola felice è in auto diretta verso la loro casa di villeggiatura in riva al lago, papà George (Tim Roth) e mamma Ann (Naomi Watts) giocano a indovinare gli autori di arie d'opera estratte dai loro cd, il piccolo Georgie (Devon Gearhart) dal sedile posteriore li guarda divertito. Una volta al lago i due George si dedicano alla manutenzione della loro piccola barca a vela, Ann inizia a sistemare delle cose in casa. Dopo qualche minuto alla porta si presenta il giovane e goffo Peter (Brady Corbet) in perfetta tenuta da golfista, il ragazzo è ospite dei vicini di casa ed è venuto a chiedere ad Ann delle uova per conto appunto della vicina. Dopo che Peter ha combinato qualche pasticcio con le uova ed è riuscito a far perdere la pazienza ad Ann sulla porta si presenta il suo compare Paul (Michael Pitt), anche lui in tenuta da golfista; per mezzo di quelle che sembrano delle provocazioni studiate ad arte i due ragazzi diventano sempre meno educati e la tensione in casa sale, nel frattempo rientrano anche il marito e il figlio di Ann. Dopo qualche alterco la situazione ben presto precipita, i due ragazzi si rivelano per quello che sono, due squilibrati ben disposti a usare violenza e a esercitare ogni tipo di crudeltà per ottenere un po' di quello che considerano una sorta di malato divertimento. I due coniugi e il loro bambino si troveranno in una situazione d'impotenza dalla quale sarà difficile uscire.

Funny games è un film a tema che ha come punto nodale la violenza, in questo caso gratuita, e ancor di più la violenza e il suo consumo nella cultura di massa e in particolare nelle visioni cinematografiche o domestiche, ne consegue tutto un discorso su quanto possa essere deleterio (o almeno punto su cui riflettere) il fatto che a questa violenza lo spettatore si sia ormai assuefatto e abituato, tanto da non provare più nessuna emozione di fronte a episodi come quelli mostrati nel film che, a dispetto di tutto, mantiene appunto un registro molto freddo e distaccato. Non è l'unico film in cui Haneke ci fa riflettere, senza mostrarcela apertamente, sulle conseguenze del rapporto che ognuno di noi ha con la violenza, ne è un esempio il pluripremiato Il nastro bianco, film di tutt'altro genere che arriverà un paio d'anni dopo questo Funny games ma che ha delle connotazioni che riverberano in armonia con il suo predecessore. Come accadeva con il film appena citato anche Funny games è un film che acquista valore a posteriori, quando la riflessione su ciò che il regista ha messo in scena è ormai in moto; in entrambi i casi per me è possibile affermare di aver apprezzato l'idea e le intenzione alla base dei film di Haneke, anche molto nel caso de Il nastro bianco, ma di non aver amato in modo particolare nessuna delle due opere. Haneke ci catapulta in quello che dovrebbe essere un film appartenente al filone dell'home invasion privando però lo spettatore del conflitto, la direzione degli eventi è qui a senso unico e anche quando arriva il momento del possibile tripudio per lo spettatore, tripudio ovviamente legato a un po' di (in)sana violenza, Haneke scombina le carte in tavola tornando alla sua struttura a tema, spezzando le regole della narrazione classica, ergendosi così a deus ex machina di una vicenda che già in precedenza aveva mostrato regole libere con la rottura della quarta parete. Film interessante su cui riflettere, ben girato ma che nonostante le ottime prove dei suoi interpreti, tutti in gran forma (anche se Roth ha dichiarato che girare Funny games è stata un'esperienza davvero dura), sembra infilarsi più nel cervello che non nel cuore o nella pancia, scelta con tutta probabilità cercata da Haneke. Personalmente continuo a preferire cuore e pancia alla testa, in base alle inclinazioni di ognuno Funny games potrà essere considerato un gran film o solo un buono spunto per riflessioni interessanti (che, per carità, non è poco), non resta che scegliere quale delle due opzioni sposare.

15 commenti:

  1. Per me, questo e Il nastro bianco sono stati due miei personali capisaldi.

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    1. Concettualmente posso essere anche d'accordo, a posteriori, durante la visione però mi hanno lasciato un po' freddo.

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  2. Ammetto di non avere mai visto il remake, ma l'originale è uno dei film più fastidiosi ed angoscianti che ricordi. Un capolavoro, in un modo tutto perverso.

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    1. Io il contrario, non ho visto l'originale, ma sembra appunto sia stato rifatto inquadratura per inquadratura, credo l'effetto finale sia simile, dovrei guardare l'altro però per esserne sicuro.

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  3. Questo (di cui originale non ho visto e non penso comunque di farlo) e Il nastro bianco i suoi migliori per me, diciamo che certamente i suoi non sono film leggeri e che riflettere fa.

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    1. Dal punto di vista intellettuale lo apprezzo molto, almeno per questi film che ho visto, diciamo che sono film di cui durante la visione non mi sono innamorato.

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  4. Quando vidi la locandina di questo film me ne tenni alla larga finché una sera in seconda serata lo mandarono in onda in TV. Volevo mettere alla prova me stessa perché il mio istinto mi diceva che andavo a farmi del male. Ero veramente all'inizio di un mio personale percorso cinematografico, insomma stavo non proprio gettando le basi ma costruendo una mia personale visione, esperienza nel campo della settima arte. Bene, tornando al film, sono riuscita ad arrivare alla fine e moltissime sono state le emozioni durante la visione: incredulità, rabbia, impotenza, inquietudine. Ti approcci a certe pellicole e poi vuoi vedere come va a finire, giusto? In questo caso ti aspetti un colpo di scena che speri con tutto il cuore ribalti la situazione, ma Haneke è perfido e la situazione prende la strada prevedibile e purtroppo non c'è salvezza alcuna. Non vorrei entrare in un cul de sac parlando dell'obiettivo o del contesto etico e/ filosofico che ci sta dietro, si aprirebbe un' enorme tematica.... questo film è stato il via a vedere altri film di questo regista che apprezzo e ammiro, ma stranamente oppure no, un suo film difficilmente lo rivedrei o comunque non a cuore leggero, vedere un film di Haneke è un po' come 'sporcarsi' , la fuliggine ti resta addosso e non riesci a debellarla. Ma credo sia questa infine la grandezza di un artista, aprirti occhi e mente attraverso strade scomode. Film cerebrali, intellettuali dove però l'inquietudine la respiri, quando ti approcci a un suo film lo sai , però non è mai fine a sé stessa e questo lo rende un grande regista certamente.
    Nel tempo ho anche visto l'originale, ma nonostante siano uguali non ti so spiegare perché, ho preferito il remake, probabilmente per gli attori in particolare i due 'simpaticoni'.
    Merita seguire la sua filmografia almeno per una conoscenza propria, ne ho visti diversi, "Nulla da nascondere" è un film che ti consiglierei.

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  5. * "Niente da nascondere", correggo 👋

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    1. Il valore dei film di Haneke, almeno quelli che ho visto e posso giudicare, è indubbio, sono film realizzati in maniera esemplare, colmi di significato e soprattutto che scavano dentro a visione conclusa, film cerebrali forieri di tante riflessioni e interpretazioni e quindi necessari. In questo caso anche crudeli, sia per i temi trattati, per la gratuità e la banalità del male messo in scena, sia perché Haneke è un bastardo e ci toglie ogni possibilità di soddisfazione e rivalsa. Devo dire, e probabilmente è un po' il discorso che fai tu dicendo che faresti difficoltà a rivederli, pur apprezzando il lavoro realizzato (il voto su Loudd credo sarà 7.5, devo ancora decidere) non riesco ad amare i film di Haneke con il cuore e questa è una cosa che, per me ovviamente, li rende meno preziosi di altri, ciò non toglie i meriti del regista e dell'opera.

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    2. Ti eri spiegato chiaramente. Nonostante Haneke rientri tra i miei registi preferiti se devo fare una lista dei miei film del cuore non credo che i suoi ci rientrerebbero. Hanno connotazioni diverse, i film oltre a farti pensare, oltre ad aprirti anche squarci dolorosi su realtà che non conosci, fatti storici,....poi però alla fine quello che determina la riuscita per me, il posto tra i film del cuore è l'emozione, la sensazione che ti ha lasciato un film ed è indubbio insomma che Haneke lo metto in un'altra lista, non meno importante comunque.

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    3. Assolutamente d'accordo, grande autore, ottimi film, impegno che pochi hanno, ma il cuore va verso altri lidi (almeno il mio).

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  6. Io li ho visti entrambi, e confermo: il remake è la perfetta (voluta) fotocopia, inquadratura per inquadratura, dell'originale. Haneke girò il remake con attori famosi affinchè fosse più fruibile al pubblico americano, ma i due film sono praticamente identici. Hai ragione: la messinscena "distaccata" di Haneke è una scelta precisa, un elemento caratterizzante di tutto il suo cinema. Che io adoro: i suoi film non giudicano ma ti inchiodano al muro, contringendo(ci) ad assumerci le nostre responsabilità.

    p.s. uno dei due squilibrati, Brady Corbet, sarà il futuro regista de "L'infanzia di un capo" e "Vox Lux". Piccoli Haneke crescono... :)

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    1. Bene, cercherò di recuperarmi anche i suoi film, grazie per la segnalazione!

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  7. L'avrei voluto aggiungere anch'io il finale del commento di Kris, ha fatto bene, ho apprezzato il film di Corbet proprio grazie alla filmografia di Haneke, di cui Il nastro bianco ha messo una base solida su cui partire.

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  8. Mi riferivo a "L'infanzia di un capo", l'altro non l'ho visto.

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