venerdì 9 settembre 2016

L'ARTE DI VINCERE

(Moneyball di Bennett Miller, 2011)

Biopic, film sportivo, percorso di formazione in età adulta, riflessione sul potere del capitale su tutto il resto, scavo psicologico sull'autostima e sulle fisime personali e grande prova d'attore. L'arte di vincere è tutto questo, confezionato in una classica forma tanto cara al cinema di Hollywood. E funziona.

Brad Pitt è Billy Beane, general manager della squadra di baseball degli Oakland Athletics. A me Brad Pitt è sempre piaciuto, ho sempre pensato che oltre alla botta di culo di essere uno degli uomini più amati dall'altra metà del cielo per la sua bellezza, il ragazzone avesse tonnellate di talento da dispensare qua e là. In questo film l'attore si carica praticamente tutto (o quasi) sulle spalle, impallando lo schermo di continuo e realizzando un (quasi) one man show da applausi.

E dico quasi non tanto per la presenza di un Philip Seymour Hoffman utilizzato poco e male che qui avrebbe potuto essere sostituito da un qualsiasi altro attore, quanto per quella del fondamentale Jonah Hill nei panni di Peter Brand.

La storia è di quelle vere. Billy Beane è un ex giocatore di baseball, giovane promessa che nella League professionistica si è rivelato utile quanto il due di picche. Passato il suo tempo rimane nell'ambiente come general manager degli Oakland Athletics svolgendo il suo ruolo anche con ottimi risultati. Purtroppo gli Oakland sono una squadra relativamente povera che non può competere con i New York Giants o con colossi simili, quindi i risultati di Billy vengono ridimensionati dalle difficoltà economiche e gli impediscono di portare la squadra alle World Series. Inoltre i suoi giocatori migliori, fatti crescere negli Athletics, a fine stagione vengono razziati dai manager di altre squadre con il portafoglio gonfio.

Billy è deluso perché la lotta non è equa, non si tratta di sport, non più, si tratta solo e unicamente di soldi. Poi in un incontro di mercato con la dirigenza dei Cleveland durante il quale Billy si sente strapazzato e impotente, il GM degli Oakland incontra Peter Brand (Jonah Hill), giovane laureato in economia a Yale con il quale ha una strana chiacchierata. Così, invece di tornarsene a Oakland con un giocatore, Billy torna a casa con un collaboratore dalle idee rivoluzionarie. L'idea è quella di far girare la squadra statistiche alla mano, quella di scomporre tutti i fondamentali del gioco e guardare quali giocatori economicamente alla portata degli Athletics avrebbero potuto sostituire le prestazioni dei tre grandi nomi persi sul mercato la stagione precedente. Si andrà a comporre così una squadra che tra le sue fila annovera atleti di secondo piano, scarti di altre squadre, ex campioni sul viale del tramonto, giocatori infortunati e via discorrendo...


La cosa interessante, nonostante i risultati, nonostante il fatto inequivocabile di aver portato una sorta di rivoluzione al mondo del baseball professionistico, è che in fondo Billy continui a sentirsi un perdente, forse per come è andata la sua carriera da giocatore, forse per una sua semplice fissazione, forse per una spinta ideologica che avrebbe voluto vedere l'azzeramento dell'importanza del divario economico nello sport. Forse per una semplice ma sacrosanta idea di giustizia sfuggitagli fra le dita.

Tra l'altro bellissimo finale (no spoiler) dove la figlia canta al padre un qualcosa che qui non rivelo sulla sua condizione di totalmente inaspettato anche se affettuoso.

Oltre la splendida prova di un Brad Pitt bravissimo ci sono diverse riflessioni possibili sul film, oltre a quella sul capitale sulla quale qualsiasi uomo dotato di un briciolo di intelligenza ormai non nutre più nessuna speranza, ci sono quelle sull'uomo, quelle sì alla nostra portata. E qui c'è un uomo non così facile da interpretare, forse proprio per questo così affascinante. Un film adatto anche a chi non ama lo sport che qui è centrale ma nelle varie sequenze di puro contorno.

3 commenti:

  1. Pensa che mi ero fatto l'idea che fosse un film sentimental/romantico sullo sfondo di qualche sport, invece a quanto pare c'è più carne al fuoco!

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    1. La confezione è classicamente hollywoodiana ma carne al fuoco ce n'è. A me è piaciuto parecchio.

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