martedì 18 gennaio 2022

VIAGGIO A TOKYO

(Tōkyō monogatari di Yasujirō Ozu, 1953)

Yasujirō Ozu è una sorta di monumento nazionale per ciò che concerne la storia del cinema nipponico, il regista di Tokyo ha contribuito all'evoluzione del cinema giapponese passando per varie fasi, esplorando il cinema del reale, la condizione della famiglia e dell'uomo nell'immediato dopoguerra, in un Paese che usciva non soltanto dalla brutalità della Seconda Guerra Mondiale ma anche dalle tragedie senza pari di Hiroshima e Nagasaki, per concentrarsi poi sui cambiamenti di un Paese che poco a poco andava incontro alla modernità e a un'occidentalizzazione sempre più ingombrante. All'interno della nutrita filmografia del regista Viaggio a Tokyo viene considerato il capolavoro di Ozu, un film che appare un classico moderno anche rivisto oggi, il più celebre lascito di un regista cresciuto a suon di film hollywoodiani e alcool. Se il cambiamento dei paesi asiatici sarà un tema ricorrente in diverse filmografie di registi orientali di nazionalità diverse (si pensi al lavoro di Jia Zhang-ke per quel che concerne la Cina degli ultimi decenni), un fenomeno di transizione visto spesso attraverso la sofferenza dei protagonisti, la visione di Ozu illustra questa fase di passaggio in maniera meno conflittuale, esplorandola attraverso un semplice viaggio di due anziani in occasione di un ricongiungimento familiare; tutto è molto naturale, realista appunto, lo sguardo di Ozu mostra cambiamenti epocali, che stravolgeranno anche le antiche tradizioni, senza strappi, mostrando gli eventi della vita più comuni, come farà in maniera superba anche Yoji Yamada nel 2013 proprio con il remake di Viaggio a Tokyo che nella sua versione diventerà Tokyo family.

La storia l'abbiamo più o meno già raccontata proprio quando parlammo di Tokyo family, tra il film di Yamada e quello di Ozu ci sono alcune differenze, anche nella composizione familiare, rimangono però inalterati il significato e il messaggio che i due film vogliono trasmettere. I signori Hirayama, l'anziano Shūkichi (Chishū Ryū) e sua moglie Tomi (Chieko Higashiyama), lasciano Onomichi per intraprendere il lungo viaggio che li porterà a Tokyo dove vivono due dei loro figli e una nuora, Noriko (Setsuko Hara), vedova del secondogenito Shōji deceduto durante la guerra; a casa gli Hirayama lasciano Kyōko (Kyōko Kagawa), la più giovane delle loro figlie, l'unica dei loro cinque discendenti ad abitare ancora a Onomichi. Una volta a Tokyo i due anziani saranno ospitati dal primogenito Kōichi (Sō Yamamura), un pediatra di quartiere che vive con la moglie e i due figli piccoli in un quartiere periferico, ad accogliere i genitori ci sarà anche l'altra figlia Shige (Haruko Sugimura), proprietaria di un salone da parrucchiera. I due anziani genitori si figurano giornate in compagnia di figli e nipoti passate a visitare Tokyo, atmosfera familiare, tempo piacevole passato con i propri cari, purtroppo sia il lavoro di pediatra di Kōichi sia il salone di Shige non lasciano tempo libero da dedicare ai genitori, i due figli non sembrano così intenzionati a fare degli sforzi per prendersi cura di Shūkichi  e Tomi, li manderanno anche in una località termale per non averli sempre intorno, ma il posto non è proprio adatto a una coppia della loro età. L'altro figlio, Keizō, vive in un'altra città, sarà così Noriko, l'unica a non avere legami di sangue con i due anziani, a occuparsi dei suoi genitori acquisiti e a far breccia nel loro cuore, per la sua gentilezza e anche per il lutto pluriennale che la giovane continua a portare nei confronti del loro figlio, saranno proprio i due anziani a spronarla a rifarsi una vita.

La narrazione per immagini di Ozu trasmette pacatezza e serenità, la camera si muove poco, le sequenze sono ammantate di un classicismo tenue, la vita scorre anche nel cambiamento in tutta la sua quotidianità. I nuovi ritmi imposti dalla vita moderna, che non sempre mantiene ciò che promette, sottraggono importanza ai legami familiari, a quel senso di onore e rispetto tanto importante nel paese del Sol Levante, gli affetti sono messi in secondo piano finché, una volta troppo tardi, non si avrà di che pentirsene. La sceneggiatura curata dallo stesso Ozu sottolinea come non siano i legami di sangue e carne necessariamente quelli in cui risiedono i sentimenti profondi, la vecchia generazione non può far altro che prendere atto del cambiamento, accettare qualche piccola delusione e, tirando le somme, riconoscere anche quanto di buono hanno avuto dalla vita durante la quale altri sicuramente sono stati più sfortunati di loro. Le generazioni cambiano, Ozu lo mostra bene già con il comportamento dei due piccoli nipoti non troppo rispettosi nei confronti della visita dei nonni, i due anziani sapranno mostrare la loro gratitudine a chi ha donato loro sincerità e devozione. Con uno sguardo lucido e sereno Ozu riflette su due mondi che sembrano essere sempre più distanti tra loro, in maniera inevitabile, il flusso del tempo scorre e alle sue spalle lascia immancabilmente alcune rovine. Film da recuperare, per chi avesse timore di cimentarsi con un'opera del '53, in giapponese con sottotitoli e in bianco e nero, una validissima alternativa rimane il più moderno Tokyo Family di Yamada altrettanto bello e significativo.

2 commenti:

  1. Ho visto la versione moderna come sai, mi piacque abbastanza, e riscoprire questo potrebbe rivelarsi interessante ;)

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    1. L'impianto è molto simile, puoi confrontare così due epoche diverse, il lavoro del maestro e quello dell'allievo (Yamada in gioventù fu assistente proprio di Ozu), vale la pena.

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