(Berlin - Die Sinfonie der Großstadt di Walter Ruttman, 1927)
Quello che Walter Ruttman crea con Berlino – Sinfonia di una grande città è un lavoro sperimentale che oggi, a noi spettatori, permette di ammirare il futuro di un passato in forte sviluppo e il passato del nostro presente, che può così tornare a guardare uno scampolo di mondo che oggi non c'è più, fotografia di una città andata oltre. Ruttman ci racconta, ci mostra se preferite, una giornata nella Berlino di fine anni Venti, ce la mostra come se fosse un’entità brulicante di vita, operosa, indaffarata; lo fa con una sinfonia d’immagini che unisce l’astratto al concreto tramite l’utilizzo delle forme, dei segni, delle linee, della direzione. Il regista tedesco costruisce questa sorta di documentario cittadino sul ritmo, proprio come fosse una sinfonia composta dal montaggio, dall’accostamento di fotogrammi e segni che diventano racconto di un momento e di un luogo, con tutto ciò che comporta in termini di rapporto tra umano e sviluppo, tra individuo e massa, tra la pulsazione intima dei gesti quotidiani e il battito collettivo della metropoli. In questo intreccio di movimenti e contrasti, la città emerge come un organismo vivo, capace di assorbire e restituire le energie di chi la abita: una macchina moderna che affascina e inquieta, che attrae e sovrasta, ma che soprattutto testimonia la potenza trasformativa del progresso e l’inevitabile tensione che esso genera nello sguardo umano.Non c’è trama, non c’è storia. C’è una città che pian piano si risveglia, prende vita, coinvolge la sua cittadinanza in una serie di compiti, lavori, incombenze ma anche in svaghi, momenti più lieti, con energia, in mezzo al caos di una Berlino in pieno fermento. Ruttman apre sul quieto movimento delle onde alle quali presto si sovrappongono linee che ne richiamano il fluttuare, poi forme geometriche a seguirne la direzione, sempre più veloci, un paio di linee che descrivono semicerchi diventano le due barre di un passaggio a livello che preannuncia l’arrivo del treno. Da qui il montaggio diventa a dir poco frenetico: gli stacchi si susseguono rapidissimi, dalla fiancata del treno alle barre parallele dei binari, da questi ai cavi elettrici e ancora sulle ruote del treno e poi cavi, binari, ruote, cavi, binari, ruote, fino a staccare su porzioni di paesaggio in rapida successione. È un gioco di linee e rimandi che guarda alla forma, agli accostamenti, alla continuità e alla discontinuità; il racconto non è narrativo, è formale, basato sull’associazione di fotogrammi che creano una continuità di ritmo, a volte davvero troppo elevato, tanto da faticare a stargli dietro. E ancora: alberi visti dal finestrino che schizzano davanti ai nostri occhi, i tralicci di un ponte, poi si rallenta gradualmente fino all’arrivo del treno alla stazione di Berlin Anhalter Bahnhof.
Ruttman, dopo questa concitata sequenza iniziale, usa diverse soluzioni per mostrarci una città nel momento del suo risveglio: quiete riprese dall’alto sui tetti di Berlino, strade deserte che si alternano grazie all’uso delle sovrimpressioni, il dettaglio sulla Torre dell’orologio ci mostra l’ora; la camera è per lo più fissa, l’incedere è dato dai raccordi, dal montaggio, dai vari particolari della città che si susseguono sullo schermo, dall’accostamento e contrasto di linee e forme. Pian piano Berlino si popola: un uomo che porta a spasso il cane, un gatto randagio, dei passanti, un attacchino, due gendarmi, i trasporti e poi finalmente i lavoratori, le macchine, le scuole, Berlino diventa la città operosa che era in quel periodo. Con Berlino – Sinfonia di una grande città, Ruttmann porta alle estreme conseguenze le possibilità del montaggio come principio ordinatore della realtà urbana: non più semplice strumento narrativo, ma dispositivo capace di generare significato attraverso ritmo, analogia e contrasto. È in questo rigore formale, quasi matematico, che il film rivela la sua modernità e la sua distanza da ogni tentazione documentaristica convenzionale.







